venerdì 31 maggio 2013

Iron Man, che due... no, sono tre!



“Dicono che la migliore arma sia quella che non si deve usare mai,
io preferisco l'arma che si deve usare solo una volta, è così che faceva mio padre, è così che fa l'America, e finora ha funzionato piuttosto bene... alla PACE!”
Tony Stark (Robert Downey Jr.)
Ora non è che uno voglia per forza rompere i maroni, andare a trovare il pelo nell’uovo e fare il bastian contrario di professione.
Uno qualsiasi magari no, ma io sì, almeno questa volta.
Ed allora via con il pistolotto!

Oggetto: la saga (per ora trilogia) di Iron Man.

Il primo film mi ha divertito, insomma mi è piaciuto. Robert Downey Jr. è bravo e mi risulta ben inserito nella parte, ed ovviamente anche nell’armatura. C’è dell’ironia e tutto sommato rispetto del personaggio e degli spettatori. Il ruolo degli effetti speciali è secondario ed il film si risolve onestamente in un action movie per teste pensanti. Anche se poi mi è venuto il dubbio che il tutto fosse solo un modo elegante di far pubblicità ad Avengers (che è un’altra storia, non per niente è un crossover).

 

Il secondo, ovvero Iron Man 2, a parte Tony Stark che se la fa addosso nell’armatura, è una festa di effetti speciali, inseguimenti, scene fracassone che tentano di riempire una sceneggiatura esile e che fa spesso acqua. Poco AC/DC nonostante le promesse e le premesse. Ci sono  Scarlett Johansson e Gwyneth Paltrow (come se bastassero), ma il povero Mickey Rourke poteva essere usato meglio. Definiamolo un inciampo, inevitabile forse, ma comunque un po’ fastidioso, anche se in fondo si può guardare, magari non pensando troppo al supereroe.

Ed ora Iron Man 3. E vai! c’è il Mandarino (no, no, i Matia Bazar non c’entrano). Ma è tutta una buffonata! Non esiste una storia seria, la sceneggiatura non convince, aumentano esplosioni, missili, bombe, fuoco e fiamme. A far da contraltare, gag da cinepanettone vanziniano, un ricorso alla commedia ed alla facile, un po’ piaciona, quando non pecoreccia, ironia, per far ridere per forza. Insomma le cose migliori di un action movie come si deve, fatte nella maniera peggiore. Che diamine! I supereroi devono essere rispettati, almeno un po’. Non bastano guai e peripezie del protagonista ed il “cattivo” questa volta è Ben Kingsley, insomma Gandhi ed il contabile ebreo di Schindler (che sia una scelta suggerita da qualche lobby antisemita?). Forse hanno fatto tutto questo in tal modo per esaltare il contrasto con il Batman diNolan. In quel caso ci potrebbe anche stare(poco), ma tremo per il quarto film.


 
Ben Kingsley/Gandhi nei panni de Il Mandarino

"...Una vita inconsistente o una morte considerevole?"
The Mandarin (Ben Kingsley)   


Un’ultima cosa: a me le Audi cominciano a stare sulle palle!

... lei invece no!

 Provate ad immaginare l’entrata in scena de Il Mandarino con questa musica:



        

giovedì 30 maggio 2013

Arte, dei nostri giorni



I titoli dei quotidiani mi fanno impazzire!

“L’arte di vincere”, “l’arte del complotto”, “un’esecuzione a regola d’arte”, “vendere è un’arte”, “l’arte di arredare”, “un ritiro dalla scena con arte”, “resistere è un’arte”, “l’arte di cavarsela”, “l’arte di vivere”, persino “l’arte della sconfitta”, e così via…

Inoltre vi è mai capitato di sentire qualche esaltato/a proferire che per buona parte delle cose che vengono fatte o facciamo mettiamo in campo, utilizziamo personali competenze, qualità e doti e bla bla, bisogna studiare ed esercitarsi e cose così, per cui arrivano a dirci che “fare la tal cosa è un’arte”, oppure affermano: “l’arte di …” mettete pure quello che vi pare, anche l’arte di arrangiarsi).

Ora, considerato ciò, io sostengo:

-        preparare la colazione è un’arte;
-        scegliere come vestirsi ed abbinare gli indumenti è un’arte;
-        accompagnare i figli a scuola senza fare tardi al lavoro e rispettando il codice della strada è un’arte;
-        rispondere a mail idiote è un’arte;
-        mantenere la calma di fronte ad un capoufficio ottuso ed arrogante è un’arte;
-        ricordarsi le password è un’arte;
-        ordinare al bar è un’arte;
-        rompersi i maroni è un’arte;
-        scrivere è un’arte;
-        leggere è un’arte;
-        compilare è un’arte;
-        scrivere post è un’arte;
-        la fuga è un’arte;
-        camminare veloce è un’arte;
-        la cena è un’arte;
-        raccontare una storia ai bimbi è un’arte;
-        l’ascolto attento e paziente è un’arte;
-        l’ammissione di colpa è un’arte;
-        il sonno è arte.

E tutto questo in una sola giornata!
Non sarò un po’ troppo artista?

mercoledì 29 maggio 2013

I Figli danno dei pensieri



Essere padre, ormai lo so, è impegnativo. Ci sono certamente momenti molto belli ed emozionanti, si intende.
Però i figli danno anche tanti pensieri. Credetemi!


Vi confesso che da quando è nato mio figlio, spesso penso al momento in cui si presenterà da me per pronunciare le parole che Luke Skywalker rivolse a Darth Vader appena saputo che era suo padre: papà, mi compri il motorino? 


...sperando che mio figlio sia meno pirla di Skywalker

lunedì 27 maggio 2013

Primo amore



Primo amore di Ivan Sergeevič Turgenev



Amore e Sentimenti, Passioni e Sofferenze. 
L'amore destabilizza?

Il giovane Vladimir si innamora, di un amore adolescenziale e sconvolgente, della bellissima e affascinante Zinaida, che ai suoi occhi incarna l'ideale dell'eterno femminino. La storia di un amore difficile e impossibile. Ma anche un'analisi dell'amore vissuto come sogno, come rimpianto e anche come mezzo di formazione.

“Il fucile mi scivolò sull’erba, dimenticai tutto; divoravo con gli occhi il corpo armonioso, il collo, le belle mani, i capelli biondi un poco arruffati sotto il fazzolettino bianco, gli occhi socchiusi e intelligenti, le ciglia e, sotto di esse, le guance delicate…”

I diversi stadi dell’innamoramento sono analizzati minuziosamente e restituiti con delicatezza attraverso brevi tocchi e stile semplice ed efficace.

“La osservavo: come mi era cara e vicina! Mi sembrava di conoscerla da chissà quanto tempo e, prima di averla conosciuta, di non aver saputo niente, di non aver vissuto…”

Questo evento, il primo amore vissuto e sperimentato da Vladimir, dà origine anche ad un conflitto generazionale, sviluppato in un ambito quasi claustrofobico, fra passione e angosce sentimentali esposte attraverso una narrazione attenta all’elemento psicologico, con archetipi di stampo edipico che si affacciano (pochi anni dopo Turgenev scriverà Padri e Figli).

“Passi conosciuti risuonarono dietro di me; mi guardai indietro; con un’andatura veloce e leggera stava arrivando mio padre.
-È la principessina”- mi chiese.
-Proprio lei-
-La conosci?-
-L’ho vista stamattina dalla principessa-.
Mio padre si fermò e, giratosi bruscamente sui tacchi, tornò indietro. Arrivato all’altezza di Zinaida s’inchinò con garbo. Lei pure fece un inchino, non senza una certa meraviglia sul viso, ed abbassò gli occhi. Vidi come lo seguiva con lo sguardo. Mio padre vestiva sempre con molta eleganza, originalità e semplicità; ma mai la sua figura mi era parsa più slanciata, mai il cappello grigio gli era stato così bene sui riccioli appena radi.
Mi diressi velocemente verso Zinaida ma lei neanche mi guardò, sollevò di nuovo il libro e si allontanò.”

Ma Turgenev è abile nel proporre anche una concezione accentuatamente negativa dell’amore. Se è vero che attraverso un racconto, una ricostruzione memoriale, si dice:

“Ciò che provavo era così nuovo e così dolce… Me ne stavo seduto, immobile, e, girando appena lo sguardo intorno, respiravo lentamente; ora ridevo in silenzio, ricordando, ora mi sentivo gelare al pensiero che ero innamorato, che, ecco, era lui, l’amore.”

Si giunge anche a dichiarare:

“Ho detto che da quel giorno iniziò la mia passione; potrei aggiungere che da quello stesso giorno iniziarono anche le mie sofferenze”.

Poiché ci dice il giovane Vladimir:

“ero tutto preso da un sentimento indefinibile, in cui c’era di tutto: e la tristezza, e la gioia, e il presentimento del futuro, e il desiderio, e la paura della vita.”

Si insinua il sospetto, la gelosia, il timore di perdere l’amata:

“Avevo perso la testa; pensavo, ripensavo e con insistenza osservavo Zinaida, anche se di nascosto, per quanto possibile. In lei c’era stato un cambiamento – era evidente”.

“È lui? Oppure non è forse lui – mi chiedevo, facendo correre con trepidazione il pensiero dall’uno all’altro dei suoi corteggiatori”.

Ci viene quindi presentata, e con noi il protagonista, l’amore come malattia, fonte di turbamento, recuperando una concezione epicureo-virgiliana dell’amore come elemento negativo in quanto fonte di alterazione per l’imperturbabilità dell’anima e l’equilibrio interiore (suggerisco sul tema la visione del film di Claude Sautet “Un Cuore in Inverno”). 

Vladimir viene, per così dire, avvertito dal dottor Lušin, uno dei corteggiatori della bella Zinaida:

“Non capite? Tanto peggio per voi. Considero un dovere mettervi in guardia. Un nostro fratello, un vecchio scapolone, può ben venire qui: non gli fa né caldo né freddo. Siamo gente infuocata, non ci lasciamo impressionare da nulla; ma voi avete ancora la pelle tenera; qui per voi c’è aria cattiva, credetemi, potreste esserne contagiato”.

Il giovane scopre della relazione fra il padre e la bella principessa causa delle sue tribolazioni:

“Eccolo…Eccolo finalmente! Mi balenò nel cuore; cavai convulsamente il coltello dalla tasca, convulsamente lo aprii – quali scintille rosse mi mulinavano negli occhi, dal terrore e dalla collera mi si rizzarono i capelli…I passi si dirigevano verso di me; mi curvai, mi tesi verso di essi…Comparve un uomo…dio mio! Era mio padre!”.

Emerge quindi, dalle pagine di Primo Amore, una visione negativa dell’amore, con il conflitto con il padre che non ne è parte integrante, bensì un accessorio che ne rivela la pericolosità (il vero conflitto ci sarà in Padri e Figli). Tutti ne sono danneggiati: il padre che muore improvvisamente ancora giovane, Zinaida che muore di parto senza che il protagonista, ancora insicuro ed inesperto, la riveda un’ultima volta, mentre Vladimir stesso pare salvarsi, raffreddando i suoi sentimenti, anestetizzando le sue passioni e la sua gioventù, canalizzando le proprie energie in altre direzioni.

“Non importa - continuò Lušin – non abbiate vergogna. La cosa principale è vivere normalmente e non lasciarsi sopraffare dalle passioni. Che serve? Dove la volontà scappa via va tutto male; bisogna star saldi sulle gambe”.
“Una lezione per voi, giovanotto. E tutto perché non si è capaci di staccarsi in tempo, di rompere le reti. Voi sembra che ne siate uscito felicemente, ma badate di non ricaderci. Addio”.

(Gli estratti riportati sono nella traduzione ad opera di Rosa Mauro)

sabato 25 maggio 2013

Perchè un blog



A più di 6 mesi dal primo post che ho pubblicato, è giunta l’ora di svelare le vere ragioni per cui ho deciso di creare questo blog.

Il mio intento non è parlare di me, delle cose che mi piacciono, di libri, film o fumetti, il mio fine non è comunicare con qualcuno su temi a me cari, siano essi di attualità o caduti nel dimenticatoio, ampiamente discussi e dibattuti o riguardo a cose di cui non frega a nessuno.

Bensì il mio vero ed unico scopo è finalmente trovare e divulgare le definitive risposte alle domande che l’umanità tutta si pone da secoli e a cui filosofi, re, teologi, condottieri, sacerdoti,  illustri capi di stato ed illuminati studiosi si sono vigliaccamente sottratti.

Ovvero:

Chi siamo?
Da dove veniamo?
Dove stiamo andando?
Esiste Dio?
Qual è la vera religione?
C’è una vita dopo la morte?
C’è vita al parco della Montagnola dopo le 23?
Perché saliamo le scale e non zuccheriamo gli ascensori?
Perché hanno fatto Star Wars Episodio I?
Quando si mangia?

Ma soprattutto,
Cosa fa Federica Pellegrini quando non nuota?

a parte strafocarsi di Pavesini e litigare con i fidanzati...

venerdì 24 maggio 2013

Vampiri, per chi non si è ancora stancato




Per chi si è un po’ stancato di vampiri teenager, licantropi da college e ibridi da nuovo millennio, nonchè sente un po' la mancanza di Buffy, consiglio di spostare la propria attenzione al mondo del fumetto

Tra le varie proposte, in poco più di un anno la GPPublishing, con “Il Cacciatore”, e la Cosmo Edizioni, con “Il Vampiro di Benares”, ci vengono in aiuto attraverso la riproposizione di storie a fumetti che vengono dall’area francofona, entrambi nel formato “bonellide”, ovvero albo nel formato storico "bonelliano" 16 x 21 centimetri.

Il Cacciatore“, una miniserie in 3 volumi: autore della serie è lo scrittore e disegnatore belga Yves Swolfs , famoso anche per la sua serie western Durango.
Ne “Il Cacciatore” centrale è la figura del vampiro con tratti e caratteristiche ormai consolidate e abbastanza classiche, donando al lettore una  piacevole e appagante storia dai tratti gotici come, ultimamente, si fatica a trovare.
Protagonisti sono Kergan, diabolico vampiro che fin dal medioevo imperversa per l'Europa in cerca di giovani fanciulle di cui nutrirsi e da rendere sue schiave, e l'ultimo discendente di un'antica famiglia francese, Vincent, da secoli votata alla sua caccia allo scopo di eliminarlo. Ci troviamo di fronte ad un horror gotico di stampo classico, che non manca di citare nei testi opere note e meno note sul tema dei vampiri e da cui trae ispirazione esso stesso. Nonostante la struttura delle tavole disegnate sia meno rigida dei classici italiani e proponga scene ed ambientazioni molto belle, il bianco e nero, scelto per questa edizione, penalizza la resa. Siamo comunque di fronte a disegni molto belli, intensi, curati e che conquistano (spettacolare il chiaroscuro). Un tratto realistico che, immagino, venga ulteriormente esaltato dal colore, ma per avere l’opera ad un prezzo veramente “popolare” il bianco e nero sembra sia una scelta pressoché obbligata.
La sceneggiatura segue un modello ampiamente usato e noto, in cui la trama prosegue, su due livelli narrativi e temporali, nella sua continuità dal medioevo al presente della storia. Il racconto di Yves Swolfs ci presenta la lotta impari tra l’uomo e il mostro, nella quale il primo deve attingere a tutte le sue forze ed al coraggio e andare avanti con tutte le proprie forze. Bisogna ammettere che, seppur argomento ampiamente utilizzato, narrato, disegnato, rappresentato e dibattuto, ne “Il Cacciatore”, la lotta tra i due mondi non risulta come qualcosa di “già visto” e mantiene una sua peculiarità. Insomma è una bella storia, non del tutto originale, ne convengo, ma ben sceneggiata e ottimamente disegnata, una storia con giuste dosi di gotico, con tratti da horror vecchio stile (evitiamo lo splatter!), tipicamente “europea”, sia per ambientazione che stile e che risulta migliore di altre proposte di provenienza nipponica o nordamericana.
 



“Il Vampiro di Benares”, volume unico: scritto e disegnato da Georges Bess, uno degli autori di punta del fumetto di provenienza francofona.
Il genere è chiaramente l’horror e presenta una vicenda di vampiri. Tuttavia, la trama non è ambientata in Transilvania o in un luogo tipico delle saghe vampiresche ma in un contesto inconsueto, quello dell’India. Poiché l’India, agli occhi di un europeo, è in gran parte mistero e genera un misto di attrazione e timore, le leggende di questa terra, il misticismo e le suggestioni dell’induismo giocano un ruolo importante. È qui che giunge il protagonista, Mircea, in cerca di un amico scomparso. Impegnato nella ricerca, rimane coinvolto in una serie di situazioni che diventano sempre più inquietanti, collegate ad efferate uccisioni che sconvolgono persino le autorità locali. Un serial killer si aggira nelle anguste, maleodoranti e claustrofobiche stradine di Benares. O c’è altro e la verità è più agghiacciante?
I responsabili sono dei vampiri! Ma non si tratta di vampiri ottocenteschi, dandy eleganti e raffinati, o pallidi e tormentati adolescenti appassionati di letteratura decadentista o semplicemente emo. No, i vampiri immaginati da Bess sono mostruosi, simili ad orrendi ragni o a creature assimilabili ad arcaiche divinità.
Bisogna rendere onore all’originalità della scelta. Vampiri in India, senza stereotipi o facili cliché, peraltro probabilmente poco adatti allo stile del disegnatore, ma la trama, interessante e ben sviluppata per circa metà della storia, ad un certo punto smarrisce il ritmo, rallenta, e la lettura ne risente. Si appesantisce un po’ il tutto, viene privilegiata la proposizione di una tesi (scopritela se vi va), si perde il coinvolgimento ed è un peccato, perché una storia horror, con i risvolti gialli della prima parte, ha bisogno di un ritmo sostenuto, quasi incalzante. Il finale manca di pathos e la vicenda si “risolve” in un modo un po’ semplicistico.

Da apprezzare comunque i disegni e la resa dei personaggi, umani e non, la scelta delle ambientazioni e gli spunti, purtroppo non adeguatamente approfonditi, che vengono presentati.

 
Meritano una lettura:

NATHAN NEVER n.26 VAMPYRUS di Michele Medda e Nicola Mari.
L'equipaggio del laboratorio spaziale Demeter, di cui faceva parte l'agente Alfa Altuna, è stato massacrato senza usare armi da fuoco. Gli unici sopravvissuti sono topi, serpenti, pipistrelli da esperimento e Vlad Shreck, un ricercatore della Stoker University. Nathan Never, incaricato di indagare, si reca su Melpomene e interroga Shreck che lamenta però una totale amnesia. Per questo motivo, infatti, è in cura presso il dottor John Seward: ma oltre all'amnesia, Shreck inizia a manifestare una bizzarra paura della luce (sinossi da sergiobonellieditore.it);



DYLAN DOG n.180/181, storia doppia.
n.180 NOTTI DI CACCIA di Pasquale Ruju e Nicola Mari.
Twilight Duscombe è cieca. Lo è dalla notte in cui Jargo, il vampiro maestro, e i suoi "figli" hanno massacrato la sua famiglia. Ed è proprio da quella notte che la sfortunata ragazza vede cose che gli altri non vedono, poiché Jargo parla alla sua mente, donando a Twilight persino qualche istante di felicità. Eppure, è da allora che lei e suo fratello Reginald battono i continenti in una caccia incessante. Adesso il vampiro è a Londra e, all'ombra del Big Ben, c'è un solo uomo che possa aiutarli a uccidere il mostro. Ma Dylan tentenna… a Reginald piace troppo dare la morte, per essere certi che il vero mostro sia Jargo! (sinossi da sergiobonellieditore.it);

n.181 IL MARCHIO DEL VAMPIRO di Pasquale Ruju e Nicola Mari.
"Là dove le stelle sono più vicine…". Questo è il messaggio telepatico che la dolce Twilight intercetta. Ma come capire dove si incontreranno Jargo e i non-morti del suo branco? Dylan ha un'intuizione, che lo condurrà a incrociare i suoi passi con quelli di Manila, una giovane seguace di Jargo, e dal loro incontro nascerà un patto di reciproca salvezza. Ma potranno le leggi del cuore imporsi sull' odio e la brama di uccidere? (sinossi da sergiobonellieditore.it);


DAMPYR, pressoché tutta la serie (tra alti e bassi, ma la media è più che dignitosa). Uno dei fumetti italiani sull’argomento realmente validi. Gli autori-creatori Mauro Boselli e Maurizio Colombo sono molto preparati sul tema vampiri, romanzo gotico-horror, soprannaturale e dintorni. Harlan Draka è un dampyr, il figlio dell’unione tra un vampiro e una donna umana. Dotato di facoltà che gli consentono di uccidere i vampiri (chiamati maestri della notte), dopo aver preso consapevolezza della sua condizione inizia a dar loro la caccia in cerca di risposte su se stesso e la sua natura.


Ovviamente ci sono molte altre opere, anche fra i Manga…

Hellsing
 Ultimamente (a febbraio) anche Alan Ford:

Neanche i Simpsons hanno potuto ignorarlo!

mercoledì 22 maggio 2013

Departures. Una splendida casualità



Departures: smarrirsi e poi ritrovarsi tra la morte e la vita.


Ieri sera, casualmente e grazie all'intuito di chi ho al mio fianco, ho visto in televisione un film straordinario: Departures del regista giapponese Yojiro  Takita.

Scrivo straordinario per sensibilità, profondità, regia raffinata e recitazione intensa, contenuta e sempre efficace. Una vera e propria occasione per riconciliarsi con il cinema che sa essere d’autore, ricercato ma non noioso o inutilmente estetizzante.

Praticamente ogni scena ed ogni dialogo sono efficaci e pressoché perfetti, sia dal punto di vista visivo che di contenuto. Eleganza e raffinatezza al servizio di una emozionante storia, con al centro la morte, il rispetto per essa e la celebrazione, nell’ordinario e nel quotidiano, della vita, delle sue gioie e dei suoi dolori.
 
Daigo/Masahiro Motoki e Mika/Ryōko Hirosue
Trama: Daigo Kobayashi è un giovane violoncellista costretto a tornare nella sua città natale dopo lo scioglimento dell'orchestra di cui faceva parte. Per mantenere se stesso e sua moglie, Daigo accetta un impiego come cerimoniere funebre, ovvero colui che compie il rito di lavaggio, vestizione e posizionamento nella bara dei morti per accompagnarli nel trapasso. La sua nuova occupazione non è ben accetta tra parenti e amici, soprattutto da sua moglie, ma il costante contatto con la morte e con coloro che hanno subito la perdita di uno dei propri cari, aiuterà invece Daigo a comprendere quali siano i più importanti legami e valori nella vita (da cinematografo.it)

Mi sono emozionato durante la visione di più scene, impreziosite da una fotografia talmente rispettosa dei protagonisti, dei loro volti e sentimenti da sembrare assente. La colonna sonora ha esaltato i paesaggi fisici e dell’anima, le musiche accompagnano con grazia lo spettatore ed il protagonista attraverso un percorso di scoperta di se stessi e dei significati più intimi delle nostre esistenze. Tutto ciò rende questo film un autentico gioiello.

Departures, film del 2008, ha vinto una lunga serie di meritatissimi premi, tra cui l’Oscar al miglior film straniero, “battendo” nel 2009 opere come “Valzer con Bashir” e “La Classe”.


Regista e attori sono riusciti a trattare al meglio un tema che è ancora un tabù, ovvero la morte, presentato con grande rispetto e calore, senza cadere nel melenso o rendere un’immagine esotica di un paese, il Giappone, e di una cultura, quella giapponese, ancora molto lontani da noi. Personaggi delineati molto bene e con garbo. Morte presentata, attraverso l’incontro ed il contrasto tra moderno e tradizionale, tra piccoli paesi di provincia e grande città, per farci riflettere sulla vita e sull’amore, quello che doniamo e quello che riceviamo. Non mancano “concessioni” (poche) al gusto occidentale, ma sono “furbizie” che, a mio giudizio, rendono ancora più valido un film, poiché si nota quanto si eviti l’autoreferenzialità e l’elitarismo, tipico di alcuni circuiti.
il protagonista con il "principale" Sasaki/Yamazaki Tsutomu
 
Ryōko Hirosue, nelle vesti della graziosa moglie

martedì 21 maggio 2013

Vietnam, Horror, Giallo e Soprannaturale per “Le Storie”



La collana di Sergio Bonelli Editore, “Le Storie”, sta offrendo delle buonissime proposte.
Alcune uscite sono veramente ottime, con vicende efficacemente sceneggiate, trame spesso  ben costruite, sempre apprezzabili, disegni, di vari autori, validi e degni di essere gustati.

Gli ultimi due albi sono accomunati dall’utilizzo dell’elemento “soprannaturale”, per presentare due distinte vicende e temi che in realtà sono ordinari, quasi quotidiani nella loro valenza e che vengono calati in situazioni per così dire “estreme”.

La Guerra in Vietnam in “La Pattuglia” ed un caso di omicidio, odioso in particolare perché la vittima è un bambino, in “Amore Nero”.

La Pattuglia
Soggetto e sceneggiatura: Fabrizio Accatino
Disegni: Giampiero Casertano
Copertina: Aldo Di Gennaro


Vietnam, 1967. Il capitano Artz ha rimediato una brutta rogna dal suo superiore diretto: infilarsi nella giungla indocinese – nel bel mezzo di quella guerra assurda – per andare a recuperare una pattuglia scomparsa nel nulla un anno prima. Un pugno di soldati per cercarne un altro; spediti verso l’ignoto, in balìa della morte in agguato e delle proprie paure… (trama da sergiobonellieditore.it)

Testi e disegni di buon livello, per una storia dalle molte sfaccettature e dai molteplici risvolti, che cattura i lettori, prima accompagnandoli in un incipit che in poche pagine “svela” riferimenti letterari e cinematografici ben riconoscibili e poi si rende capace di tenerli col fiato sospeso, sorprenderli e anche un po’ disorientarli. Dall’orrore della guerra all’horror vero e proprio, il salto è già stato tentato in passato, ma sarebbe comunque un rischio, e qui ne è valsa la pena perchè il risultato è valido

Sceneggiatore e disegnatore sono in ottima forma (Casertano ha comunque fatto anche meglio, nella stessa collana, in “Il boia di Parigi”) e ci regalano un’opera capace di passare dal documentario all’horror, dallo psicologico al giallo, sempre con “misura” e capacità di intrattenere, informare, illustrare e toccare molte corde della sensibilità ed animo umano. Citazioni, anche “illustri” (Mohammed Alì tra gli altri), che arricchiscono una trama e tavole coinvolgenti e di grande valore, trattando il tema della guerra, e di quella guerra in particolare senza schematismi o sufficienza. Quel poco che è concesso al “già visto” è funzionale ad accogliere il lettore e metterlo di fronte, in bilico tra realismo e grottesco, al tema della lotta con i propri demoni, del nemico che è in ognuno di noi, del confronto fra ciò che è esterno a noi e quello che invece è dentro ogni uomo. Non a caso, qui, il nemico è pressoché assente, si vede solo in poche scene e mai a lungo, se ne parla, lo si “sente”, lo si evoca ma quello vero ha la stessa divisa dei soldati.


Amore nero
Soggetto e sceneggiatura: Gigi Simeoni
Disegni: Gigi Simeoni
Copertina: Aldo Di Gennaro
Il commissario de Vitalis, deve indagare sul brutale assassinio di Francesco, giovane fratello della moglie Ada. Il caso, però, è destinato a complicarsi quando a infrangere le regole dell'investigazione scientifica si profila uno scenario da incubo, e dal mondo delle tenebre un'anima nera si affaccia ringhiando... (trama da sergiobonellieditore.it)


Questa è l’occasione per esprimere chiaramente la mia personale gratitudine a Gigi Simeoni, che in passato ci ha donato, sempre tramite edizioni bonelliane, due assoluti capolavori, ovvero  “Stria”, ma soprattutto “Gli Occhi e il Buio”, di cui “Amore Nero” si può considerare l’ideale seguito. “Amore Nero” è comunque apprezzabile per suo conto ed assolutamente indipendente ed autonomo nella lettura (non ci sono rimandi imprescindibili alla precedente opera e dunque il lettore se le può godere entrambe senza vincoli di temporalità).

I disegni sono eccezionali: riescono a spaziare dal “reale” all’onirico ed all’inconoscibile, dai ricordi alla cruda realtà, con facilità e notevole maestria. Tutto ciò supporta una trama che, pur non offrendo colpi di scena a ripetizione, non concedendosi allo spettacolo puro e non cercando la creazione di pathos a tutti i costi, si dispiega coerente e metodica in una strada tortuosa, quella di un’indagine poliziesca, che si trova a dover far convivere la razionalità della scienza investigativa (siamo nella Milano del 1912) e l’irrazionalità, il mistero, l’elemento soprannaturale.

Crudezza e realismo si affiancano ad elementi di fantasia per un ottimo incontro di stili e temi. A farla da padrone è l’opposizione tra razionale e irrazionale, dove gioca la sua parte il dissidio del protagonista, ultimo baluardo della ragione e della logica in un mondo che, di fatto, deve fare i conti con l’esistenza di fantasmi ed episodi inspiegabili. E proprio l’intimo dissidio, gli stati d’animo, i tormenti fisici e psicologici che si trovano a vivere i personaggi sono un punto di forza di “Amore nero”, dato che l’autore è riuscito a tradurli ottimamente in testi ed immagini.

Entrambe le opere sono forse penalizzate dal limitato numero di pagine a disposizione. Una foliazione più ampia avrebbe magari permesso un maggior approfondimento di alcuni “caratteri”, qualche ritocco nei dialoghi (alcuni lo richiederebbero) ed un maggior sviluppo delle trame, specialmente i finali, le conclusioni. Ma come si dice è “voler trovare il pelo nell’uovo”, dato che siamo di fronte a due lavori di buonissima fattura, che si inseriscono a pieno merito in una collana, “Le Storie”, nettamente al di sopra della media delle proposte editoriali da edicola, a costo contenuto (valore aggiunto, dati i tempi) e con firme che sono veramente una garanzia, quando sono libere da serialità o dettami legati a personaggi un po’ stretti nelle loro dinamiche e caratteristiche (non solo in casa Bonelli).