venerdì 28 febbraio 2014

Oggi mi va di ricevere un sorriso!



Sorrise come soltanto i veri timidi sanno sorridere.
Non era la risata facile dell’ottimista
né il rapido sorriso tagliente dei testardi ostinati e dei malvagi.
Non aveva niente a che fare col sorriso equilibrato,
usato di proposito, del cortigiano o del politicante.
Era il sorriso strano, inconsueto, che sorge dall’abisso profondo, buio,
più profondo di un pozzo, 
profondo come una miniera profonda,
che è dentro di loro.

(“Di là dal fiume e tra gli alberi”, Ernest Hemingway, 1950)
 

giovedì 27 febbraio 2014

A proposito di Davis - La Colonna Sonora


“A proposito di Davis” è il nuovo film di Joel e Ethan Coen. Ne ho già scritto, apprezzandone regia, fotografia e recitazione del protagonista, un bravo e sorprendente Oscar Isaac, che tra l’altro canta, molto bene, gran parte delle canzoni che compongono la colonna sonora di questa pellicola.

I fratelli Coen hanno sempre dedicato molta cura ed attenzione alla musica dei loro film, con un certo gusto retrò, che ha reso le rispettive colonne sonore delle vere chicche, per appassionati e non solo.

Se è veramente cult quella de “Il Grande Lebowski”, che omaggia il rock USA anni ’60 e ’70 (compresi i miei adorati Creedence Clearwater Revival), non lo è certo da meno quella che esalta ed accompagna le peripezie degli evasi di “Fratello dove sei?”, dove a farla da padrone è la musica folk.

In “A proposito di Davis” ritorna alla grande proprio la musica folk, con alcune bellissime composizioni tradizionali nordamericane. I pezzi sono principalmente nuove incisioni e, come già detto, sono cantati dallo stesso attore protagonista, una rivelazione.

Uno dei brani più intensi, che apre e chiude la pellicola, è “Hang Me, Oh Hang Me”.

Ad affiancare lo sfortunato musicista ci sono amici e colleghi, tra i quali i personaggi interpretati dalla dotata, dal punto di vista esecutivo, Carey Mulligan (delicata e godibile la sua interpretazione) e dalla popstar Justin Timberlake, che si cala bene nella parte. 

Loro eseguono, insieme a Stark Sands, l’emozionante “Five Hundred Miles”.

Non meno intensa è l’esecuzione di “The Shoals of Herring” (qui nella versione "The Dubliners"), nella scena dove Llewyn Davis fa visita al vecchio padre, in quello che si presenta a metà strada tra un tentativo di riconciliazione ed un commiato.



Il mio brano preferito risulta essere lo struggente “The Death of Queen Jane”.




martedì 25 febbraio 2014

Sono un illusionista?


Tutti che impazziscono per Dynamo.
Io, quando sono fermo ad un semaforo, riesco a far sparire il mio indice dentro la narice destra.
Posso essere considerato un illusionista?
 
 

lunedì 24 febbraio 2014

Citazioni Cinematografiche n. 33


Non mi piace quando uno viene dopo una mia commedia e mi dice: "Ho veramente capito il tuo messaggio, ne ho colto tutti i significati, ho pianto!". Ecco, sono contento quando uno viene da me il giorno dopo, una settimana dopo e mi dice: "Ho visto la tua commedia... che cacchio vuol dire?"

(Jeff Slater/Bill Murray in “Tootsie” di Sydney Pollack – 1982)

domenica 23 febbraio 2014

Illudersi


“Per Miranda le altre donne sono prive di difetti, sono esseri che non hanno peli sul labbro superiore e sulle gambe, sempre ben pettinate, senza pori dilatati o altre irregolarità, senza bollicine, senza dita gialle di nicotina, no, soltanto lei combatte da sola contro la propria imperfezione davanti allo specchio che una volta usava Josef per radersi e dove vede tutto ciò che spera possa sfuggire a uno Josef pietoso. Ma dopo, quando Miranda ha fatto la sua autocritica, si mette davanti al mite specchio Biedermeier in camera da letto e si trova “passabile”, “può andare”, non è poi tanto male, e anche questa volta si illude, ma Miranda vive in mezzo a una dozzina di possibilità di illudersi, e tra le favorevoli e le sfavorevoli resta così in bilico ogni giorno della sua vita”.



(Occhi Felici, in Tre Sentieri per il lagoIngeborg Bachmann, trad. Ippolito Pizzetti)


sabato 22 febbraio 2014

Le Storie # 17 - Oxid Age



Mi piacciono molto i lavori di Gigi Simeoni.
Adoro “Gli Occhi e il Buio” e “Stria”, i due Romanzi a Fumetti da lui presentati nella collana omonima. Sempre in casa Bonelli, mi è piaciuto anche “Amore Nero”, per cui ero molto curioso di leggere la sua seconda proposta all’interno della serie “Le Storie”.

Ebbene, senza giri di parole, affermo di essere rimasto un po’ freddo e vagamente deluso.


Intendiamoci, i disegni sono belli, curati, piacevoli, alcune tavole veramente da gustare, i personaggi sono graficamente ben connotati e valorizzati, però la storia zoppica e presenta qualche “caduta”.

“Oxid Age” ha tutte le carte in regola per essere una grande storia, emozionante e coinvolgente. Parte veramente bene, lo scenario post apocalittico è, per quanto ampiamente proposto in passato, sempre suggestivo e le risorse pressoché infinite, con la possibilità di utilizzare elementi steampunk, western, gotici, giallo-noir, adoperare tratti realistici, fantasy o “neomedievali, mescolandoli e facendo “recitare” umano e soprannaturale, ordinario e alieno anche su più piani.


Questo, nel nuovo lavoro di Simeoni, non c’è. Magari non gli interessava, i suoi intenti e obiettivi erano, palesemente, altri, però mi sembra un’occasione poco sfruttata.

Ho l’impressione che la foliazione ridotta abbia, anche in questo caso, costretto l’autore ad affrettare i tempi e semplificare trama e sceneggiatura. Che senso ha introdurre due città e relativi abitanti, presentandole come contrapposte e in lotta tra loro (semplifico), per poi praticamente non mostrarcene una? Ci sono situazioni note declinate in modo originale ma poco valorizzate, per cui se ne perde la potenza e si fa fatica a gustarsele. Inoltre troppo buonismo gratuito quando, invece, ci si aspetta maggiore azione, dinamismo e crudeltà (comunque non gratuita ma opportunamente situata).


Se i disegni sono di buono, a tratti ottimo livello, il soggetto molto stimolante, la sceneggiatura sembra non esserne all’altezza e la storia si conclude un po’ troppo velocemente, impedendoci di gustare l’evoluzione personale e la vicenda dei protagonisti (troppo repentinamente Joe e Alba si innamorano), alcune questioni rimangono sospese (la malattia di Joe, la sorte della città natale di Alba e altro ancora). Pertanto mi faccio bastare il Simeoni disegnatore e mi auguro che abbia ulteriori occasioni e maggiore spazio e libertà, come sceneggiatore, in prossimi lavori e sedi.

Medioevo prossimo venturo. L’umanità, reduce da un passato catastrofico, affronta un futuro incerto. Una terribile malattia – l’Ossidanza – flagella la metropoli petrolifera di Civilian, che per decenni è sopravvissuta scambiando l’oro nero con l’unico farmaco conosciuto: il sangue sano dei cittadini di Lith… Ma ora l’alleanza è rotta e per gli infetti non è rimasta che la via dell’esilio. È la via imboccata da Joe, che vive nel deserto, insieme all’amico Arco, in rassegnata attesa dell’inevitabile epilogo. Un’attesa che sarà sconvolta dalla giovane Alba e dalle nuvole di guerra che si addensano all’orizzonte! (da sergiobonellieditore.it)



venerdì 21 febbraio 2014

Alle 16 Renzi al Colle con la lista dei ministri



“Come tutti gli altri funzionari dello Stato di grado elevato, il capodivisione non teneva i signori ministri in particolare considerazione. Questi ultimi cambiavano di continuo, infatti, in base ai giochi di forza politici, mentre lui no, lui e i suoi colleghi restavano al loro posto. I ministri, portati alle stelle dai partiti per poi essere spazzati via questi stessi partiti, somigliavano perlopiù a poveri naufraghi aggrappati disperatamente alle zattere del potere. Non avevano né la giusta visione per comprendere i labirintici iter del lavoro ministeriale né la giusta sensibilità per le sacre regole della burocrazia fine a se stessa. Nella stragrande maggioranza dei casi, erano uomini rozzi e mediocri che non sapevano far altro che sforzare la loro voce sguaiata per parlare in riunioni di piazza o bussare con fastidiosa insistenza alle porte di servizio degli uffici ministeriali per raccomandare i loro compagni di partito o le loro famiglie. Leonida e quelli come lui avevano invece imparato l’arte del governo né più e né meno come i  musicisti imparano il contrappunto esercitandosi per anni con scrupolo indefesso. Possedevano una squisita e raffinata sensibilità per le mille sfumature dell’organizzazione e della decisione. I ministri non erano altro (ai loro occhi) che fantocci politici, anche se, obbedendo allo stile dell’epoca, assumevano atteggiamenti quanto mai dittatoriali. Loro comunque, i capidivisione intendo, proiettavano la loro ombra di stabilità su questi tiranni. Quale che fosse la risciacquatura politica degli uffici che dirigevano, non veniva mai meno la sicura efficacia del loro comando. Di loro c’era bisogno, questo era il fatto. Alteri ed arroganti come mandarini, era abitudine dei funzionari starsene modestamente in disparte. Disprezzavano le esibizioni, i giornali, la pubblicità personale dei politici, da essi ritenuti eroi di una sola stagione.”

“Una scrittura femminile azzurro pallido, di Franz Werfel – trad. Renata Colorni”

Silenzio # 4



Noi siamo abituati a dare a parole come "silenzio" e "solitudine" un significato di malinconia, negativo. Nel caso della lettura non è così, al contrario quel silenzio e quella solitudine segnano la condizione orgogliosa dell'essere umano solo con i suoi pensieri, capace di dimenticare per qualche ora "ogni affanno".



(Corrado Augias – Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi, Mondadori 2007)

giovedì 20 febbraio 2014

Tutta colpa di Freud



Come promesso martedì scorso ora è il turno di “Tutta colpa di Freud”!

Avere la possibilità di vedere una commedia italiana, sufficientemente brillante, priva di volgarità, battute idiote e gag al limite dello schifo, quando non proprio dedite al pecoreccio, è una buona notizia. “Tutta colpa di Freud”, di Paolo Genovese, è stata una gradevole scoperta e mi ha regalato una visione soddisfacente ed un certo buonumore.

Gran parte del merito va a Marco Giallini, vero protagonista, autentico trascinatore e figura centrale della storia e delle storie raccontate. Lui, padre di tre figlie alla ricerca e scoperta del vero, grande amore e desiderose di conoscere gli uomini.

Simpatico, capace di intrattenere, tanto bravo da risultare in grado di migliorare anche la recitazione degli altri protagonisti, che vengono valorizzati e quando lo seguono si esprimono molto bene. Il soggetto e la sceneggiatura sono, all’inizio e nella prima parte del film, una boccata d’aria fresca, una gradevole novità che stuzzica e incuriosisce. Successivamente si cede ai vari, noti, stereotipi e cliché, abbracciando qualche convenzione di troppo, ma si rimane comunque su un livello discreto. I duetti fra Giallini e Alessandro Gassmann (qui nel suo ruolo tipico, quasi topico, di belloccio seducente e seduttore) sono godibili, così come i dialoghi fra padre e figlie. La splendida Vittoria Puccini sa anche recitare e le due sorelle, la lesbica Anna Foglietta (ancora più carina con i capelli corti) e la teen ager Laura Adriani, non sono da meno (anzi!).

Siamo forse lontani dalla verve di certe commedie, italiane, francesi, ma anche targate USA, poiché la drammaturgia si concede un ritmo un po’ troppo televisivo, almeno un paio di situazioni sono alquanto inverosimili e smontano la corsa verso una brillantezza ed un solo sfiorato totale rapimento del pubblico, ma comunque vale la visione. Magari qualche personaggio poteva essere meglio caratterizzato, alcune facili sentimentalismi si potevano evitare, ma il tutto funziona e, come già detto, senza mostrare gratuite nudità ed evitando il ricorso a volgarità e situazioni da barzelletta “alla Pierino”.

E poi avere un protagonista come Marco Giallini, veramente sorprendente per carisma, scelta dei tempi e delle espressioni riappacifica con il cinema italiano.





martedì 18 febbraio 2014

A proposito di Davis




Grazie ad una fortunata disposizione del calendario (compleanno e san Valentino) ho potuto, nel breve periodo di due settimane, andare due volte al cinema!


Lo so! Per i comuni mortali tale frequenza è ridicola e totalmente insoddisfacente, ma per un padre impegnato, oberato da 1000 e più immani “pataccate” che gli confondono i già incasinati pensieri e assillato dalle varie incombenze che comporta farsi mantenere una famiglia, due volte in due settimane è un evento da segnalare e trasmettere a futura memoria.



Orbene, in compagnia della donna che da ormai diversi anni ha deciso di dedicarsi alla missione di starmi a fianco, ho visto “A proposito di Davis”, di Joel ed Ethan Coen, e “Tutta colpa di Freud”, di Paolo Genovese.
Film differenti e anche distanti, non solo in senso geografico, beninteso, ma che ho apprezzato e di cui riporterò qualcosa, in verità vi propongo le mie impressioni.



Partiamo (si fa per dire) con i due fratelli Coen. 

A proposito di Davis.



I Coen ci hanno abituato, nei loro film, a personaggi di contorno, ai margini, che diventano, grazie alla attenzione che gli dedicano, protagonisti di storie a volte emozionanti, divertenti o anche tragiche nelle loro accezioni al limite fra comico e grottesco. I perdenti, nelle loro opere, prendono spazio e si fanno conoscere dal pubblico che, spesso, simpatizza per loro. I due fratelli non sempre simpatizzano per questi “sfigati”, ma in questo film sembra proprio che lo facciano.



Seguono il giovane folk singer Llewyn Davis (origini gallesi) nella New York del 1961, fra il “Village” ed una breve parentesi a Chicago (dove incontra un intenso F. Murray Abraham). Lo fanno con estrema attenzione, curando molto bene fotografia e colonna sonora, in modo da accompagnare il bravo Oscar Isaac in questa sua più che convincente interpretazione, dove oltre a recitare si cimenta, con apprezzabili risultati, nel canto.



La regia elegante, con qualche raffinatezza di stampo europeo, esalta questo sconfitto, predestinato, a suo modo, a passare da una situazione pessima ad una ancora peggiore, rispettando i propri sogni e la propria coerenza. Llewyn non viene capito, tantomeno apprezzato, da nessuno di quelli che ha intorno, familiari compresi (in alcuni casi a loro è ingeneroso chiedere questo), ma dalla sua parte ha i Coen, che gli concedono la loro arte, qui veramente ben espressa senza manierismi o eccessi.


Un film in soggettiva, nel quale il protagonista ha tutto lo spazio necessario e che utilizza al meglio, con intelligenza e misura. I “comprimari” si mettono al suo servizio, rendendogli l’onore di una interpretazione da gustare e se possibile premiare. Tra questi nota di merito per un cupo John Goodman e per Carey Mulligan, che non si fa spaventare da un “contro ruolo” non facile da gestire.


A sottolineare la sorte del protagonista c’è una struttura circolare che, sebbene in un primo momento disorienti, ci mostra come nella vita dello sfortunato cantante nulla “torni” ed i vari ricorsi non sono altro che la dimostrazione della sua (momentanea o definitiva?) sconfitta.


In realtà c’è anche della vitalità, ma che funge da contraltare ed è giustamente limitata a pochi attimi che lasciano il posto alla voce di Llewyn/Oscar. Un che di picaresco che rende godibile il film e che ci fa apprezzare anche l’irriverente, ma giocoso, omaggio a “Colazione da Tiffany”.



Apprezzo molto la “citazione”, nella locandina, di “The FreeWhelin’ Bob Dylan”, album che ha molto stimolato la mia fantasia di bambino, fin da quando lo scoprii tra i 33 giri di mio padre.

A giovedì per "Tutta colpa di Freud".



lunedì 17 febbraio 2014

Citazioni Cinematografiche n. 32


Leonard: Allora hai delle informazioni per me?
Natalie: L'hai letto sui tuoi appunti?
Leonard: Sì.
Natalie: Deve essere difficile vivere quando devi cercare su dei foglietti quello che devi fare. Confondi la lista della lavanderia con quella della spesa e rischi di mangiare biancheria a colazione. È per questo che hai quegli assurdi tatuaggi.
Leonard: Sì, è difficile. Quasi impossibile. Senti, mi dispiace ma non mi ricordo di te, non ti offendere.
Natalie: Ho le informazioni che volevi. Mi hai dato quel numero di targa e un amico ha rintracciato il proprietario. Indovina che nome è venuto fuori: John Edward Gamble, John G.
Leonard: Lo conosci?
Natalie: No. Ma dalla foto sulla patente mi sembra di averlo visto, forse l'avrò visto al locale, possibile. Qui dentro c'è la fotocopia della patente con foto e tutto il resto. Davvero lo vuoi trovare?
Leonard: Ti ho detto cosa ha fatto quest' uomo?
Natalie: Sì.
Leonard: Allora perché me lo chiedi?
Natalie: Anche se tu riuscissi a vendicarti non te lo ricorderesti. Non sapresti nemmeno di averlo fatto.
Leonard: Mia moglie merita vendetta. Che io lo sappia o no è indifferente. Il fatto che io dimentichi le cose non toglie niente al senso delle mie azioni. Il mondo continua ad esserci anche se chiudi gli occhi, no? Ad ogni modo, posso fare una foto per ricordarmelo, oppure... un altro assurdo tatuaggio.

(Leonard Shelby/Guy Pearce e Natalie/Carrie-Ann Moss in “Memento”, di Christopher Nolan - 2000)

sabato 15 febbraio 2014

Di fronte ad un corpo nero


Nel corso della vita fin qui vissuta, in ambito lavorativo, privato e anche solo per scelta o casualità, mi sono spesso trovato di fronte e ho intrecciato rapporti con la disabilità ed il disagio.

Ho vissuto e probabilmente continuerò a sperimentare emozioni e relazioni, di vario genere, facendo i conti con parti di me, della mia personalità e del mio carattere.

Sono nate riflessioni, considerazioni e studi specifici, ho letto e sperimentato diverse cose riguardo alla disabilità, alla diversità, alle problematiche ed alle energie messe in campo da parte di persone, uomini, donne, ragazzi e bambini che vivono ogni giorno “l’essere disabile”, il “vivere accanto ad un disabile”.

Recentemente, durante la lettura di “Katarina e il pericolo della neve”, di Renato Di Lorenzo, edito da Foschi Editore, ho letto questo passaggio, che mi sembra significativo e preciso, nella sua semplicità, e che riesce a rappresentare molto bene una parte non secondaria, a volte trascurata, della disabilità vissuta e dell’incontro con una persona disabile.

“Avevo l’impressione che Maj, a causa di quel suo difetto fisico, fosse stata educata a essere inflessibile, a non dimenticare mai, a non perdonare. Ma non le avevano insegnato a combattere, a non rilassarsi, a no darsi per vinta. Maj non era una macchina da competizione. Era un corpo nero, quello che ci aveva spiegato l’insegnante di fisica: una cavità che assorbe e trattiene ogni raggio di luce senza mai restituirlo, perché il raggio di luce comincia a sbattere contro le pareti senza più trovare il foro d’uscita, e ogni volta che sbatte contro una parete questa ne assorbe un po’, finché non è tutto consumato e non ne rimane nulla”.


venerdì 14 febbraio 2014

San Valentino


Oggi è san Valentino.
Una ricorrenza, dedicata agli innamorati, viene celebrata in gran parte del mondo in questo giorno, 14 febbraio.

Lascio da parte qualsiasi considerazione o recriminazione e quest'anno mi unisco alle celebrazioni.

Lo faccio proponendo l'aria di Cherubino, da "Le Nozze di Figaro", Atto Secondo, Scena Terza, qui eseguita da Frederica Von Stade.

Buon ascolto!

Voi che sapete
Che cosa è amor,
Donne, vedete
S’io l’ho nel cor.
Quello ch’io provo
Vi ridirò;
È per me nuovo,
Capir nol so.
Sento un affetto
Pien di desir
Ch’ora è diletto,
Ch’ora è martir.
Gelo, e poi sento
L’alma avvampar,
E in un momento
Torno a gelar.
Ricerco un bene
Fuori di me,
Non so chi ’l tiene,
Non so cos’è.
Sospiro e gemo
Senza voler,
Palpito e tremo
Senza saper,
Non trovo pace
Notte né dì:
Ma pur mi piace
Languir così.
Voi che sapete
Che cosa è amor,
Donne, vedete
S’io l’ho nel cor.

giovedì 13 febbraio 2014

Un bicchiere di vino


E quando, in autunno, raccoglierete l’uva dalle vigne per il torchio, dite in cuor vostro:
“Anch’io sono una vigna, e i miei frutti saranno raccolti per il torchio,
E come vino nuovo sarò tenuto in botti eterne”.
E quando d’inverno spillerete il vino, per ogni coppa vi sia una canzone.
E nella canzone vi sia un ricordo dei giorni dell’autunno, e della vigna, e del torchio dell’uva. 

(Gibran Kahlil Gibran – Il Profeta, trad. Ariodante Marianni)
Jan Vermeer, Il Bicchiere di Vino
 Eartha Kitt

Lilac Wine


I lost myself on a cool damp night
I gave myself in that misty light
Was hypnotized by a strange delight
Under a lilac tree

I made wine from the lilac tree
Put my heart in its recipe
It makes me see what I want to see
And be what I want to be

When I think more than I want to think
Do things I never should do
I drink much more that I ought to drink
Because it brings me back you

Lilac wine is sweet and heady
Like my love
Lilac wine, I feel unsteady
Like my love

Listen to me, I cannot see clearly
Isn’t that she, coming to me, nearly here

Lilac wine is sweet and heady
Where’s my love
Lilac wine, I feel unsteady
Where’s my love

Listen to me, why is everything so hazy
Isn’t that she, or am I just going crazy, dear

Lilac wine, I feel unready for my love
Feel unready, for my love.

lunedì 10 febbraio 2014

Citazioni Cinematografiche n. 31


“Fate molto male a ridere. Al mio mulo non piace la gente che ride. Ha subito l'impressione che si rida di lui. Ma se mi promettete di chiedergli scusa, con un paio di calci in bocca ve la caverete”.

(Joe/Clint Eastwood in “Per un pugno di dollari”, di Sergio Leone – 1964)