lunedì 30 giugno 2014

Citazioni Cinematografiche n. 51


“Se voi signorine finirete questo corso e se sopravviverete all'addestramento... sarete un'arma! Sarete dispensatori di morte, pregherete per combattere! Ma fino a quel giorno siete uno sputo, la più bassa forma di vita che ci sia nel globo! Non siete neanche fottuti esseri umani, sarete solo pezzi informi di materia organica anfibia comunemente detta "merda"! Dato che sono un duro non mi aspetto di piacervi, ma più mi odierete, più imparerete. Io sono un duro, però sono giusto: qui non si fanno distinzioni razziali, qui si rispetta gentaglia come negri, ebrei, italiani o messicani! Qui vige l'eguaglianza: non conta un cazzo nessuno! I miei ordini sono di scremare tutti quelli che non hanno le palle necessarie per servire nel mio beneamato corpo! Capito bene, luridissimi vermi?!”



(Sergente maggiore Hartman/R. Lee Ermey in “Full Metal Jacket”, di Stanley Kubrick - 1987 )

domenica 29 giugno 2014

La Grande Guerra # 2


Come detto arriviamo alla guerra combattuta dall’Italia, in particolare al fronte italo-austriaco, con “Un Anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu. L’altopiano è quello di Asiago dove Lussu e l’intera Brigata Sassari di cui faceva parte viene dislocata, fra alterne vicende.


È noto che l’Italia, indegnamente regnata da Casa Savoia, entrò in guerra nel 1915, al fianco delle Nazioni Alleate, contro gli Imperi Centrali. Il Regno d’Italia aveva stretto un accordo (la prima stesura era del 1882) con l’Impero Austro-Ungarico e l’Impero Tedesco, la Triplice Alleanza, il quale di fatto lo costringeva a schierarsi con gli Imperi Centrali solo in caso di guerra di difesa. Austria-Ungheria e Germania risultavano potenze attaccanti perciò l’Italia rimase neutrale durante la prima fase del conflitto.



Questa breve precisazione non è superflua, poiché come ormai la storiografia militare dichiara ed ha dimostrato, se l’Italia fosse subito intervenuta al fianco dei vecchi alleati l’evoluzione del conflitto sarebbe stata molto diversa. Innanzitutto la Francia si sarebbe vista impegnata su un ulteriore fronte, molto ampio, che si sarebbe sviluppato dalle Alpi al mare Mediterraneo (in effetti lo Stato Maggiore italiano aveva iniziato la mobilitazione all’indomani della dichiarazione di guerra di Francesco Giuseppe e del Kaiser Guglielmo II) e l’Inghilterra avrebbe dovuto impegnare una parte delle sue forze armate contro le truppe e la Regia Marina italiane giacché, seppur di “serie B”, anche l’Italia aveva un suo status di potenza coloniale ed avrebbe potuto intervenire in Africa e nel vicino Oriente dando così appoggio all’ormai decadente Impero Ottomano.


Nel momento in cui invece l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, ma non alla Germania (lo farà nel 1916), i benefici andarono alle Nazioni Alleate, che così poterono approfittare del fatto che gli Imperi Centrali si sarebbero dovuti occupare di contrastare l’ex-alleato.

Comunque dal 1915 l’Italia si schiera sul fronte lungo il confine con l’Austria ed il suo impero, impegnandosi principalmente in una guerra di posizione nel fango delle trincee, lungo il Carso e l’arco alpino orientale. In questo contesto si svolge quanto narrato da Lussu nella sua opera.

“Un anno sull’altopiano” è, secondo le parole di Mario Rigoni Stern, “il più bello tra i libri sulla Prima Guerra Mondiale”, ed in effetti se continua ad essere ristampato e letto non è solo perché qualche insegnante invita, giustamente, i propri studenti a prenderlo tra le mani, ma perché è in effetti un capolavoro. La vitalità e la forza di quest’opera resistono al passare delle generazioni e continuano ad essere testimonianza di eventi e vicende umane. Raccontando di come la Brigata Sassari, dal giugno 1916 al luglio 1917 (questo il periodo trattato), combatté estenuanti battaglie per conquistare inespugnabili trincee, l’autore prosegue una narrazione scevra da ogni retorica patriottica che si fa dura requisitoria contro l’orrore della guerra. In tale scenario di sofferenza spicca la dignità dei soldati semplici, su cui si abbattono le conseguenze di irresponsabili scelte politiche e militari.


Un dato a mio parere fondamentale è che l’autore è riuscito a raccontare fedelmente l’ottusa strategia che l’esercito italiano perseguì fino alla disfatta di Caporetto, fatta di continui, inutili e infruttuosi assalti, per conquistare poche decine di metri di terra od una collina al prezzo di migliaia di vite umane.
 

sabato 28 giugno 2014

La Grande Guerra # 1

Quest’anno ricorre il centenario dello scoppio della Grande Guerra (1914-1918).

Fu definita così prima che si rendesse necessario numerare le guerre mondiali. È un evento che, nella sua drammaticità, ha di fatto segnato il 20° secolo e posto le basi per tutto ciò che è accaduto successivamente, o comunque gran parte.

Rientra inoltre in un periodo storico che mi ha sempre molto affascinato e condotto anche a impegnare parte delle mie vacanze estive per ripercorrere alcuni luoghi simbolo della Grande Guerra. Trincee, vette alpine, resti di fortificazioni, sentieri e mulattiere su cui hanno lasciato tracce del loro passaggio soldati italiani, austriaci, boemi, magiari, slavi.

Per ricordare e in qualche modo mantenere viva, in me e magari in qualcuno che avrà la voglia e il tempo di leggere queste righe, la memoria di quegli eventi inizio oggi una breve serie di post a tema “La Grande Guerra”, ovvero la Prima Guerra Mondiale rappresentata attraverso il fumetto, il cinema, la letteratura e le canzoni. Non intende essere una accurata e completa disamina di quanto tratta quel fondamentale passaggio della Storia europea e mondiale, ci mancherebbe. Ritengo che difficilmente si potrebbe giungere ad un risultato soddisfacente e interamente esaustivo, perciò proporrò una selezione di cose che ho letto, che conosco e che ritengo sufficientemente esplicative e valide.

Si comincia con un fumetto dell’area francofona: Ambulanza 13 – La Guerra in Trincea, testi di Patrick Cothias e Patrice Ordas, disegni di Alain Mounier, colori di Sébastien Bouet.

Recentemente ristampato da Mondatori Comics, all’interno dell’ottima serie “Historica”, tratta di una storia di guerra (war story), è inevitabile, ma ha al suo interno numerosi spunti di riflessione e diversi temi che vengono presentati e trattati con grande sensibilità e competenza. Dialoghi pressoché perfetti, veloci e secchi quando è opportuno, meditativi, intensi e profondi per “raccontare” al lettore non solo gli scontri e le battaglie, tra le quali quella di Verdun occupa gran parte dell’opera, ma anche per illustrare e definire il contesto storico-sociale europeo, francese e tedesco in particolare, in cui i personaggi presentati si trovano a vivere.

Protagonista principale è Louis Charles Bouteloup,  giovane medico di buona famiglia che, inviato al fronte (franco-tedesco, come in “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, ma dall’altra parte), si trova ad esercitare la sua professione nell’unità di campo Ambulanza 13, destinata a soccorrere i feriti della prima linea francese, dalla fine del 1915 fino al già citato assedio di Verdun. Proprio una delle pagine più atroci di quel conflitto, una logorante e crudele guerra di posizione, viene utilizzata come “pretesto” per illustrare e denunciare la brutalità, l’orrore e le aberrazioni tipiche di ogni confronto militare.

La cecità politico-militare e l’arroganza dei potenti e di una buona parte degli ufficiali dell’esercito francese sono contrapposte alla sofferenza ed al sacrificio di migliaia di soldati, di diverse estrazioni sociali, religione, lingua e colore della pelle (ricordiamo che la Francia era una potenza coloniale). Non manca il sarcasmo nei confronti dei politici e degli “alti gradi”, così come non viene risparmiato il disprezzo verso gli ufficiali e la loro vuota retorica. I temi principali sono la morte, che raggiunge ogni individuo, anche il “nemico”, che parla la lingua della filosofia e dell’arte ma anche dell’invasione, la responsabilità individuale e le scelte che ognuno compie, il tenente Boutelop ma anche i suoi compagni, l’importanza del “fronte interno” (un tema non esclusivamente italiano), illustrata attraverso le vicende di Suor Isabelle e del tenente Favre), l’inadeguatezza degli ufficiali francesi ad adattarsi alla “prima guerra moderna”, il senso di unione e fratellanza delle truppe.

Ottima ricostruzione storica, precisione dei dettagli, qualche passaggio ironico e più “leggero”, una, forse due, possibili storie d’amore che vengono accennate e astutamente evocate più che mostrate, rendono l’opera godibile ad un pubblico potenzialmente ampio. Più sottotrame che nell’ultima parte di Ambulanza 13 vengono risolte, per donarci emozioni e mostrarci i frutti di quanto seminato nelle pagine lette e assaporate.

I disegni di Alain Mounier rappresentano al meglio le vicende raccontate, sia le grandi battaglie che la vita di trincea, i momenti di azione con belle e drammatiche scene dinamiche, quelli di “pausa” con il contrasto fra il fango della prima linea ed il lusso di chi è rimasto “a casa” o al caldo dei quartier generali. I colori, il rosso è pervasivo, sono evocativi e raffinati, i chiaroscuri da applauso e incontrano i testi che mostrano estrema cura e interesse.


Un bel modo di accostarsi alla Prima Guerra Mondiale, partendo dal fronte occidentale franco-tedesco. Per farsi un’idea di cosa fu la Grande Guerra suggerisco la visione di questo breve servizio che Alberto Angela propose qualche anno fa all'interno di "Ulisse".
Brevissimo video che riassume la prima guerra mondiale mostrandone le principali fasi, dall'attentato di Sarajevo all'armistizio passando per l'intervento americano e l'entrata in guerra delle colonie.

Domani, per chi lo vorrà, si andrà sul fronte italo-austriaco con “Un Anno sull’Altopiano”, di Emilio Lussu.
 

venerdì 27 giugno 2014

Sempre a proposito di rose



Rose ai pilastri, rose lungo i muri
e dentro i vasi, da per tutto rose
che sbocciano fiammanti e sanguinose
come ferite sopra i seni impuri.
Rose thee dai bei labri immaturi
dalle fini ceramiche untuose,
rose di siepe, rose rugiadose
avvinghiate ai cancelli e ai vecchi muri.
Eruzione di rose nei giardini,
di rive sanguinose ed odorose,
vive e rampanti per la mia ringhiera.
Rose e rose ne i miei vasi murrini
rose odorose, rose sanguinose
rosee bocche della primavera!

(Andrea Zanzotto – Rose ai pilastri)

Andrea Zanzotto

giovedì 26 giugno 2014

Una passante

Va bene, basta con i passanti, la smetto con questa mania delle passanti, che un po' ha rotto, ne convengo.

Ma, sebbene lei, con tutte le sue mossette e quelle smorfie da ragazzina mi abbia stufato, qualora la incontrassi per la strada, come se, appunto, fossimo due anonimi passanti, ebbene credo che il mio cuore farebbe un bel salto!




martedì 24 giugno 2014

Hai perso il treno?


"If you missed the train 
I'm on
You will know that I am gone"


"You can hear
the whistle blow
a hundred miles"



lunedì 23 giugno 2014

Citazioni Cinematografiche n. 50


Jules: Di' un po', Marsellus Wallace che aspetto ha?
Brett: Cosa?
Jules: Da che paese vieni, eh?
Brett: Cosa?
Jules: "Cosa" è un paese che non ho mai sentito nominare. Lì parlano la mia lingua?
Brett: Cosa?
Jules: La mia lingua, figlio di puttana, tu la sai parlare?
Brett: Sì!
Jules: E allora capisci quello che dico!
Brett: Sì! Sì! Sì!
Jules: Descrivimi perciò Marsellus Wallace, che aspetto ha!
Brett: Cosa?
Jules: Di' "cosa" un'altra volta, di' "cosa" un'altra volta!! Ti sfido, due volte, ti sfido, figlio di puttana: di' "cosa" un'altra maledettissima volta!!
Brett: È nero...
Jules: Vai avanti!
Brett: ...è senza capelli...
Jules: Secondo te sembra una puttana?
Brett: Cosa?
[Jules spara alla spalla di Brett]
Jules: Secondo te... lui... ha l'aspetto di una puttana?
Brett: Nooo!
Jules: Perché allora hai cercato di fotterlo come una puttana?
Brett: Non l'ho fatto...
Jules: Sì tu l'hai fatto... sì, tu l'hai fatto, Brett, hai cercato di fotterlo!
Brett: No!
Jules: Ma a Marsellus Wallace non piace farsi fottere da anima viva tranne che dalla signora Wallace.

(Jules Winnfield/ Samuel L. Jackson e Brett/ Frank Whaley in “Pulp Fiction, di Quentin Tarantino – 1994)



giovedì 19 giugno 2014

La Croce sulla Montagna



Conoscete Caspar David Friedrich?
No, no, non è un attaccante della nazionale della Germania est anni 70, nemmeno il nome di un criminale nazista o di un membro dei Kraftwerk.

Caspar David Friedrich era un artista, un pittore nello specifico.
È l’autore de “Viandante sul mare di nebbia”, dipinto ad olio su tela, probabilmente la più famosa delle sue opere.


Ovviamente ha fatto anche altro, per cui, seguendo la profonda suggestione in stile pubblicità della Opel, “noi tedeschi lo facciamo meglio/io mi fido delle tedesche”, propongo il dipinto “La Croce sulla Montagna”.

Cosa presenta di tanto particolare questa pala d’altare, realizzata per la cappella privata del Castello di Tetschen, in Boemia?


Ebbene parto un po’ da “lontano”. La riforma protestante, inaugurata dal buon Martin Lutero, aveva già da qualche tempo rivoluzionato l’iconografia religiosa nei paesi di lingua ed influenza tedesca. Per cui l’intero repertorio artistico, fatto di dipinti, statue, edifici di culto ed altro ancora si distingue, sempre più nettamente, da quello presente nei paesi rimasti “fedeli” alla Chiesa di Roma ed al suo papa.

Insomma si abbandonano Gesù sanguinanti e mezzi morti, santi martirizzati e sofferenti, sante che presentano su vassoi occhi, seni ed altre parti anatomiche mozzategli, non trovano più spazio quell’intero armamentario di fedeli piangenti ed invocanti ed i ritratti dei vari committenti che, importuni e vanitosi, volevano essere inseriti nei dipinti e nei quadri.

In particolare la rappresentazione della “Passione” di Gesù, il cristo, nell’opera di Friedrich, è lontanissima dall’atmosfera solenne, dorata, eccezionale (propria di un’eccezione) presente nelle opere precedenti, “rispettose” dei dettami della chiesa cattolica. Quell’ambientazione ed atmosfera volutamente (e colpevolmente) investita del compito di astrarre dalla realtà l’evento, infondendogli ieracità, lascia il posto ad una rappresentazione, semplice e molto vera, comune, della realtà.

La croce, simbolo del martirio del “figlio di Dio”, è poco più di una linea scura, inserita in un paesaggio molto “vero”, quasi banale. Un paesaggio di montagna, come ce ne possono essere tanti in Germania od Austria, cosicché ognuno dei fedeli possa riconoscerlo e ritrovarlo nella sua quotidiana esperienza. Ovvero semplicità, elementi quotidiani, un luogo molto familiare che trasmette il senso di una fede alla portata di tutti. Non più misteriosi e lontani dogmi, ma una spiritualità quotidiana, dove ogni fedele riconosce e si riconosce nella Passione del cristo, tanto vicina a lui e, per così dire, “alla sua portata”, da essere rappresentata lungo un comune sentiero di montagna che è possibile percorrere e vivere nel proprio ambiente. Ogni singolo protestante se ne sente coinvolto e accoglie il senso di un’esperienza e della sua rappresentazione.

Ancora più impressionante è la potenza della scelta di inserire una rappresentazione della natura, semplice, ma senza abbandonare la suggestione della fede, in una pala d’altare di ispirazione gotica.

Siamo così di fronte all’incontro fra lo stile ed il rigore luterano ed il Romanticismo in campo artistico e letterario. L’unione di questi elementi è di grande impatto e potenza, arriva al cuore di chi osserva l’opera.

Spiritualità religiosa e spiritualità romantica si donano vicendevolmente forza. La Fede e la Natura esaltano un duplice messaggio, con quella luce che, apparentemente senza ragione, proviene dal basso anziché dall’alto. Nessun sole, luna, stella od altro astro dona luminosità allo splendido paesaggio, ma è la Natura stessa, la terra che sprigiona luce, innescata dal noto episodio evangelico.

La spiritualità romantica pone al centro la Natura, che non funge più da sfondo ma è vera protagonista dell’arte, in tutto il suo splendore ed il suo potere di conquistarci e metterci nella condizione di contemplarla, per trovare un senso alla nostra vita, per allontanarci da interpretazioni e dibattiti teologici e condurci a vivere sensazioni, misticismo ed emozioni.

D’altra parte il filosofo Friedrich Schelling, in quegli stessi anni, diceva che “la Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito è Natura invisibile”.

martedì 17 giugno 2014

Passanti # 5



Andavano e sempre camminando cantavano eterna memoria, e a ogni pausa era come se lo scalpiccio, i cavalli, le folate di vento seguitassero quel canto.
I passanti facevano largo al corteo, contavano le corone, si segnavano. I curiosi, mescolandosi alla fila, chiedevano: "Chi è il morto?" La risposta era: "Živago." "Ah! allora si capisce." "Ma non lui. La moglie." "È lo stesso. Dio l'abbia in gloria. Gran bel funerale."

(Boris Pasternak – Il Dottor Živago, trad. Pietro Zveteremich)



lunedì 16 giugno 2014

Citazioni Cinematografiche n. 49


Jake: Ah! Ti prego, non ucciderci! Ti prego, ti prego, non ucciderci! Lo sai che ti amo, baby! Non ti volevo lasciare! Non è stata colpa mia!
Ex-fidanzata di Jake: Che bugiardo schifoso! Credi di riuscire a cavartela così? Dopo avermi tradito?
Jake: Non ti ho tradito. Dico sul serio. Ero... rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!

(Jake Blues/John Belushi e Ex-Fidanzata/Carrie Fisher in “The Blues Brothers” di John Landis - 1980)






sabato 14 giugno 2014

Su sentiero di montagna


Avevano camminato per due ore, almeno, quando P., vincendo la sua reticenza, facendo violenza alla sua abitudine, si rivolse a lei, diretto, senza formule di cortesia, buone per prendere tempo e chiudere, così, gli spazi ad impulsi da mortificare, fermare in tempo.
In bocca il sapore della liquirizia che aveva finito di succhiare pochi minuti prima. Se l’era furtivamente ficcata in bocca per farsi coraggio, per trovare dentro di sé un po’ di fiducia. Tutta la spinta che gli veniva da quel dolore, intimo, alla sommità dello stomaco, sopra la cinghia dello zaino, che aveva stretto forte, il più possibile, quasi a provocarsi una fatica maggiore, con cui impegnare il corpo e la mente, in modo da pensare il meno possibile al suo viso. Al suo viso ed alla sua presenza, la sua figura, qualche passo dietro di lui, in leggera pendenza.

Il volto di G. era rosso di impegno e concentrazione, ma sempre dannatamente impossibile da fissare senza sentirsi turbato, compromesso, costretto a sentirsi trasportato in un altro luogo, doloroso e  appagante allo stesso tempo.

“Era, voglio dire, è da mesi che desideravo venire qui con te”. 
Le parole gli erano uscite goffe, leggermente inciampate, ma le avevano comunque fatto crescere un sorriso. Uno di quei sorrisi che le brillavano gli occhi, come da tempo ormai P. aveva imparato a riconoscere e che temeva di non poter più rivedere.

“Mi piace camminare presto al mattino” gli disse, prendendo appena un po’ di fiato. “mi piace l’odore del bosco umido, ed è bello che tu sia con me”.

Le parole di lei gli avevano fatto saltare il cuore in petto, mozzato le parole che stava per pronunciare approfittando dello slancio. Non riuscì a dire più nulla fino al rifugio, con i pensieri che si accavallavano, uno dietro l’altro. Parole e sensazioni che si rincorrevano e gli facevano andare più veloci i piedi, gli rendevano insaziabili le gambe. Le sue gambe che ora si muovevano febbrili, incapaci di quiete e bisognose di raggiungere le pietre, i cespugli lì davanti, momentanee mete, parziali traguardi di una personale impresa.

G. ora faticava a tenere il suo passo ma, comprendeva, non c’era scortesia nella fretta, nella animosità di P. Era fatto così, inquieto nel suo intimo, e la camminata svelta ne era il segno più evidente. Ma andava bene, a lei non dava fastidio, le piaceva quella sua modalità di vivere i sentimenti, da solo e rivolto, quasi avviluppato, su di sé.

Nel suo cuore aveva scelto e i sorrisi che gli donava lo testimoniavano.

lunedì 9 giugno 2014

Citazioni Cinematografiche n. 48


“Sto cercando un mezzo sigaro, con dietro la faccia di un gran figlio di cagna alto, biondo e che parla poco”.

(Tuco/Eli Wallach riferendosi a “il Biondo”/Clint Eastwood in “il Buono, il Brutto, il Cattivo”, di Sergio Leone - 1966)



sabato 7 giugno 2014

L'amore non comprende indipendenza


“Dal momento in cui aveva conosciuto Julia, Félix aveva iniziato a preoccuparsi per lei e per i suoi stati d’animo, e non appena si era accorto che la sua allegria lo rallegrava, la sua tristezza lo rattristava, il suo malumore lo irritava ed era capace di odiare persone che non conosceva solo perché le odiava lei, aveva capito che non c’era modo di tornare indietro: Julia si era impossessata emotivamente di lui e quell’invasione non poteva che essere amore. E aveva capito anche che l’amore cancellava qualsiasi traccia di oggettività e indipendenza.”



(Clara Sánchez, in “La Voce Invisibile del Vento” – Garzanti 2012, trad. Enrica Buretta)

giovedì 5 giugno 2014

Luna d’Argento – Editoriale Cosmo


Un interessante ed intrigante incontro tra ambientazioni western, temi esoterici e scene horror, così potremmo sintetizzare e presentare “Luna d’argento”, recente uscita della serie “I Capolavori del Fantastico” per l’Editoriale Cosmo.

Èric Hérenguel fa tutto da solo, poiché sceneggiatura, disegni colori e copertina sono interamente opera sua, e ammetto che la prima lettura è stata dedicata ad ammirare e assaporare le splendide tavole proposte. Tanto belle da far passare in secondo piano una storia comunque avvincente, dove la suspense non viene mai meno e lo svolgersi della trama fila via con brio e buon ritmo, senza cedere su nessun aspetto.

I riferimenti e l’omaggio alle atmosfere horror d’autore, a Lovecraft in particolare, sono evidenti già dal nome della città dove la storia è ambientata. Providence, infatti, è la città natale dello scrittore statunitense, uno tra i maggiori autori horror. Le evidenti esagerazioni nella trama e nella caratterizzazione dei mostri/demoni ci fanno capire che abbiamo a che fare con una storia “fantastica” e, per l’appunto, “di fantasia”, ma dove echi e richiami alla realtà non stonano e rendono bensì maggiormente apprezzabile la valida proposta.

I disegni, con qualche tratto espressionista ed una attenta caratterizzazione dei tanti personaggi (sia maschili che femminili), sono senza dubbio un elemento di qualità e si scoprono valore aggiunto di questa pubblicazione, dove anche i colori svolgono molto bene il loro ruolo. L’esoterismo, la magia, i misteri dei Templari e i richiami alla Cabala ed al misticismo in genere mi lasciano un po’ freddo, ma almeno non ci sono derive alla “Codice da Vinci”, che sicuramente mi avrebbero infastidito. D’altra parte lo scontro fra ragione e fede, ordinario e soprannaturale, scienza e leggenda è reso bene e qui si apprezzano testi e dialoghi efficaci e ben costruiti. Inoltre non ci si dimentica di divertire ed intrattenere, fino all’ultima tavola ed al colpo di scena finale!

Editoriale Cosmo vi presenta questa meravigliosa storia di weird western, scritta e disegnata magistralmente da uno dei principali autori francesi oggi in attività. Seguirete, in questo one-shot la vicenda dello sceriffo di Providence, James Redwall, impegnato a risolvere una catena di misteriosi ed efferati delitti. E tutto questo proprio quando è arrivata da Washington Cathy Gatling, giunta per ispezionare la casa di un morto e quando tutti capiscono che tutti gli omicidi sono avvenuti… di notte! Tutti gli amanti di Joe R. Lansdale non possono farsi scappare questo libro autoconclusivo! (da editorialecosmo.it)
 

martedì 3 giugno 2014

Passanti # 4



“Dall’altra parte della strada, attraverso i vetri appannati e la neve, potrebbero averci visto, io e Maggie, fianco a fianco, sotto a un portone, in piedi come passanti che all’improvviso si mettono a baciarsi per poi riprendere la posizione di passanti e assumere l’aspetto di chi sta aspettando un taxi.”

(Jack Kerouac – da “Maggie Cassidy”, trad. Monica Luciano)