lunedì 27 febbraio 2017

Citazioni Cinematografiche n.189

Chiunque perda una persona desidera vendetta su qualcuno, su Dio se non riesce a trovare nessun altro. Ma in Africa i Matobo e i Ku credono che l'unico modo di estinguere il dolore è salvare una vita. Se qualcuno viene ucciso un anno di lutto finisce con un rituale chiamato "la prova dell'uomo che affoga". Per tutta la notte c'è una festa accanto a un fiume; all'alba l'assassino viene messo su una barca, portato fino al largo e gettato fuori, è legato così non può nuotare. La famiglia del morto deve fare una scelta: può lasciarlo affogare o raggiungerlo a nuoto e salvarlo. I Ku credono che se la famiglia lascia che l'uomo affoghi avrà giustizia ma passerà il resto della vita nel lutto. Ma se salva l'uomo, se ammette che la vita non è sempre giusta.... proprio quel gesto porterà via il dolore. La vendetta è una pigra forma di sofferenza. 

(Silvia Broome/Nicole Kidman in "The Interpreter", di Sydney Pollack - 2005)





sabato 25 febbraio 2017

Giallo, Noir & Thriller/36


Titolo: La Fuga
Autore: David Goodis
Traduttore: Simona Fefè
Editore: Fanucci - 2004


Romanzo da cui è tratto l'omonimo film con protagonisti Humphrey Bogart e Lauren Bacall, La Fuga di David Goodis si caratterizza per il ritmo, indispensabile in un giallo-noir che meriti di essere letto, per la scrittura, essenzialmente un efficace mix di limpido e torbido, e per il susseguirsi di colpi di scena e di eventi che spingono la narrazione in un crescendo di inquietudine, tensione e anche sottile humor.

Il lettore viene catturato da una prosa asciutta, in alcuni passaggi essenziale, ma non banale anzi spesso brillante e scattante, senza giri di parole o descrizioni pedanti, bensì che offre un'avvincente narrazione, dove i protagonisti vengono ottimamente caratterizzati, miscelando realismo, acutezza di indagine dell'animo umano ed emozioni.


Vincent Parry è un uomo tranquillo che non chiede mai troppo, né alla fortuna né al destino. Eppure tutto è andato male, nella sua vita. Accusato dell'omicidio della moglie e condannato all'ergastolo, decide che tra un'esistenza di soprusi dietro le sbarre e una fuga pericolosa, la scelta è obbligata. Nel tentativo disperato di provare la propria innocenza Vincent affronta un percorso da fuggiasco che gli riserverà sorprese e rivelazioni: una donna che desidera aiutarlo, un tassista volenteroso, un truffatore pasticcione e, soprattutto, la scoperta che gli eventi che sembravano casuali nascondono invece una trama oscura. Da questo romanzo fu tratto nel 1947 il classico noir "La fuga", con Humphrey Bogart e Lauren Bacall.

giovedì 23 febbraio 2017

Destino

 La Forza del Destino - Overture. G. Verdi

"Mi sembra presuntuoso affermare che un uomo possa determinare il proprio destino dall'interno. Quel che invece un uomo ha in mano è il proprio orientamento interiore verso il destino. I fatti esterni non bastano per capire la vita di una persona: bisogna conoscerne i sogni, il rapporto con la famiglia, gli stati d'animo, le delusioni, la malattia e la morte".

(Etty Hillesum, Diario 1941 - 1943 - trad. Chiara Passanti)

lunedì 20 febbraio 2017

Citazioni Cinematografiche n.188

Gordie: Tu mi trovi strambo?  
Chris: Eccome!  
Gordie: No, davvero, seriamente. Sono strambo?  
Chris: Sì, ma che vuol dire?... Siamo tutti un po' strambi.

(Gordie/Will Wheaton e Chris/River Phoenix in "Stand by Me - Ricordo di un estate", di Rob Reiner - 1986) 



domenica 19 febbraio 2017

Domenica

Edward Hopper, Early Sunday Morning, 1930
New York, Whitney Museum of American Arts

Domenica! il dì che a mattina
sorride e sospira al tramonto!..
Che ha quella teglia in cucina?
Che brontola brontola brontola.
.

E' fuori un frastuono di giuoco,
per casa è un sentore di spigo..
Che ha quella pentola al fuoco?
Che sfrigola sfrigola sfrigola..
E' già la massaia ritorna da messa;
così come travasi adorna s'appressa:
 la brace qua copre, là desta,
passando, frr, come in volo,
spargendo un odore di festa,
di nuovo, di tela e giaggiolo.
Giovanni Pascoli

venerdì 17 febbraio 2017

Oggi


"Perché Oggi è una parola che solo i suicidi dovrebbero usare, per tutti gli altri non ha assolutamente alcun senso, 'oggi' è soltanto la designazione di un giorno qualsiasi per loro, di oggi precisamente, per loro è evidente che debbono lavorare ancora una volta otto ore, oppure sono liberi, faranno commissioni, compreranno qualcosa, leggeranno un giornale del mattino e uno della sera, prenderanno un caffè, avranno dimenticato qualcosa, hanno un appuntamento, devono telefonare a qualcuno, un giorno quindi in cui deve succedere qualcosa oppure, meglio ancora, non succede gran che.
Se io invece dico 'oggi', il mio respiro comincia a diventare irregolare, subemtra l'aritmia che ora è anche verificabile su un elettrocardiogramma, solo non risulta dal tracciato che la causa è il mio Oggi, una cosa sempre nuova, incalzante, ma la prova del disturbo posso produrla, redatta nel volubile codice dei medici, di qualcosa che precede l'attacco di angoscia, mi predispone, mi stigmatizza, oggi in modo ancora funzionale, così dicono, credono loro, gli esperti. Solo io temo sia l''oggi', che è per me troppo eccitante, troppo enorme, troppo commovente, e in questa eccitazione patologica sarà per me 'oggi' fino all'ultimo momento".

(Ingeborg Bachmann, "Malina" - Adelphi 2003 - trad. Maria Grazia Manucci)





 


lunedì 13 febbraio 2017

Citazioni Cinematografiche n.187

Io ho vissuto ogni giorno come se fosse una brutta copia, una prova. Io avuto tutto e niente. Né una vera casa, né una vera famiglia, nemmeno mia figlia che mi assomiglia come una goccia d'acqua.
Non mi ricordo di niente. Non mi ricordo di niente. Se morissi in questo momento e il padre eterno mi dicesse: «Romano, cosa ricordi della tua vita?».
La ninna nanna che mi cantava mia madre quando ero piccolo, il volto di Elisa la prima notte, e le nebbie della Russia. Luli, liuli liuli, e liuli liuli...do svidaniya!
(Romano/Marcello Mastroianni in "Oci Ciornie", di Nikita Sergeevič Michalkov - 1987)



venerdì 10 febbraio 2017

Sussurri e Grida (1972)


Si può definire la tematica dei film di Ingmar Bergman perlomeno limitata, poichè, di fatto, verte pressochè esclusivamente sulla difficoltà, forse l'impossibilità dell'uomo di realizzare un'autentica comunione con i suoi simili, con il Divino e perciò, infine, con sè stesso.

Ciò che fa la differenza e che quindi ci autorizza a considerare il regista svedese un autentico maestro, è la serie di variazioni sul tema, tanto che anche film che ad una prima analisi sembrano molto simili, forse addirittura ripetitivi, rivelano allo spettatore che abbia la necessaria calma e la giusta disposizione d'animo, spunti e suggerimenti sempre nuovi.


Non fa naturalmente eccezione "Sussurri e Grida", attraverso il quale Bergman presenta tale tema tramite il dolore ed il trauma cui sono sottoposte quattro donne, che si trovano riunite in una villa dotata di un grande parco all'inizio del 900.
Tre di loro sono sorelle, una è la domestica a servizio presso la villa. Una delle sorelle, Agnese, sta morendo tra terribili sofferenze, bisognosa delle cure che le altre due non riescono o non intendono offrirle, chiuse ed impermeabili come sono, una, Karin, in una autopunitiva nevrosi, l'altra, Maria,  nella sua fatua leggerezza, che si riversano nel rapporto con gli uomini ed il loro corpo.
Questo perché, come si diceva, nella variazione specifica dell'opera sul tema, il film è anche una esposizione sul rapporto che ognuna di queste donne ha con il proprio corpo. Agnese non ha più il controllo sul suo, divenutole una trappola insopportabile, mentre Karin, pur non malata, vive come se lo fosse, odiando la propria corporeità (come viene efficacemente mostrato), specie in rapporto al marito. Non è da meno Maria che pur mostrandosi più solare, maggiormente carnale, si serve della propria bellezza, segnando la sua relazione con il marito e gli amanti con la menzogna e la superficialità.
Quindi il corpo di fronte al disfacimento fisico e la morte e al terribile interrogativo se alla dissoluzione della corporeità, malata, mutilata o distorta nell'essere agita, corrisponda una analoga dissoluzione, distruzione dell'anima. In altre parole se esista qualcosa oltre la morte, se esista un'anima e dove finisca una volta conclusasi la vita.

Fin qui potrebbe sembrare una semplice variazione, come si è detto, magistralmente supportata da lunghe dissolvenze in chiusura ed in apertura, con le tonalità del rosso a far da contraltare alle vesti bianche. Ma interviene un altro elemento, ad "evitare" che il tutto possa risolversi in un "interno" alla Strinberg. Ovvero la quarta donna: Anna è il personaggio che permette un salto espositivo e dialettico, aggiungendo qualità e ulteriore profondità ad un'opera prettamente bergmaniana.
Lei è l'unica ad occuparsi di Agnese sempre e comunque, senza nulla chiedere in cambio. L'unica a porsi, in modo sinceramente legato al suo essere credente e allo stesso tempo pragmatica e pratica delle vicende della vita, di fronte alla morte con amore, tenerezza e conforto.

Una pietà di fronte al dolore ed alla morte che viene rappresentata attraverso una delle immagini più belle del film. Anna accoglie Agnese sul proprio grembo, come una Maria fa con il proprio figlio morto. Una "Pietà" al femminile quindi, nel rovesciamento dell'iconografia cristiana, ovvero con Anna/Maria con il seno scoperto e Agnese/Cristo totalmente coperta dai lenzuoli e dal corpo di chi l'accoglie.

Le attrici sono superbe.
Harriet Andersson (Agnese) incontra maggiormente i miei personali favori, per la sua incredibile capacità di andare oltre l'obiettivo e donare umanità e calore ad ogni inquadratura.

Non sono ovviamente da meno Ingrid Thulin (Karin), Liv Ullman (Maria) e Kari Sylwan (Anna), che insieme alla già citata Andersson riescono a recitare al meglio i propri caratteri, con in più l'umiltà di non prevaricare l'una sull'altra.



Un'ultima annotazione per gli interni, con le ampie sale, le tappezzerie ed i drappi rossi, i mobili antichi, e gli esterni, ovvero il giardino, il prato e gli alberi secolari, esaltati dalla essenziale fotografia premiata con l'Oscar.

lunedì 6 febbraio 2017

Citazioni Cinematografiche n.186

Armande: La tua cannella sembra rancida.
Vianne: Non è cannella, è uno speciale tipo di peperoncino.
Armande: Peperoncino nella cioccolata calda?
Vianne: Mm-hm, ti tirerà un po' su.

(Armande Voizin/Judi Dench e Vivianne Rocher/Juliette Binoche in "Chocolat", di Lasse Hallström - 2000) 



venerdì 3 febbraio 2017

Donne sul'orlo di una crisi di nervi (1988)


Primo film di Pedro Almódovar, che vidi quando avevo appena iniziato la non troppo brillante esperienza di studente alla scuola superiore.
Donne sull'orlo di una crisi di nervi era stato presentato a Venezia alla 45ma edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, rivelandosi una intrigante e stuzzicante sorpresa.
In pratica fu la rivelazione di un regista e di uno stile, figlio o comunque fortemente legato ai ritmi ed alle peculiarità di quella "movida" generata dalla condizione di passaggio dalla Spagna franchista a quella odierna, connotata da una maggiore libertà, forse più modestamente ricevuta che non conquistata.

L'arrivo sulla scena internazionale di un talento brillante e di una visione delle storie e dei personaggi che mescolava furore comico e omaggio a diversi generi cinematografici, facendoli interagire tra loro, con il risultato di innovare e allo stesso tempo celebrare il cinema, fin dalla scelta dei due protagonisti da cui si genera il tutto, Pepa e Ivan sono infatti doppiatori.

Quella di Almódovar è una commedia praticamente ambientata in un solo spazio, un appartamento, dove vengono presentati una serie di singolari personaggi. Oltre a Pepa, interpretata da Carmen Maura che dona ritmo e vivacità alla vicenda e agli altri, ci sono il figlio dell'amante, la sua fidanzata, una ragazza ossuta che tenta il suicidio, un tecnico della compagnia telefonica, terroristi sciiti, un tassista ossigenato, poliziotti, un avvocato femminista ed una ex  moglie pazza e pericolosa.

La progressione delle situazioni è esaltata dalla scelta dei tempi comici, delle battute e delle azioni di ogni personaggio, con la chiave che risiede in un gazpacho riempito di sonnifero che verrà bevuto da tutti quelli che saranno entrati nell'appartamento della protagonista.

Non manca una classica resa dei conti, in un confronto a tre che insieme al risveglio degli addormentati ribalta le situazioni e rende evidente come la vita sia qualcosa che procede inesorabile, non solo seguendo ma anche contro la volontà degli stessi che la vivono.