mercoledì 29 maggio 2019

Difficile ballare con un diavolo sulla schiena



"Shake It Out"

Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play

And every demon wants his pound of flesh
But I like to keep some things to myself
I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn

And I've been a fool and I've been blind
I can never leave the past behind
I can see no way, I can see no way
I'm always dragging that horse around

All of his questions, such a mournful sound
Tonight I'm gonna bury that horse in the ground
So I like to keep my issues drawn
But it's always darkest before the dawn

Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
And it's hard to dance with a devil on your back
So shake him off, oh whoa

And I am done with my graceless heart
So tonight I'm gonna cut it out and then restart
'Cause I like to keep my issues drawn
It's always darkest before the dawn

Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
And it's hard to dance with a devil on your back
So shake him off, oh whoa

And it's hard to dance with a devil on your back
And given half the chance would I take any of it back
It's a fine romance but it's left me so undone
It's always darkest before the dawn

Oh whoa, oh whoa...

And I'm damned if I do and I'm damned if I don't
So here's to drinks in the dark at the end of my road
And I'm ready to suffer and I'm ready to hope
It's a shot in the dark aimed right at my throat
'Cause looking for heaven, found the devil in me
Looking for heaven, found the devil in me
Well what the hell I'm gonna let it happen to me, yeah

Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
And it's hard to dance with a devil on your back
So shake him off, oh whoa

Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
Shake it out, shake it out, shake it out, shake it out, ooh whoa
And it's hard to dance with a devil on your back
So shake him off, oh whoa 
 
 

lunedì 27 maggio 2019

Citazioni Cinematografiche n.304

Il bello della zingarata è proprio questo: la libertà, l'estro, il desiderio... come l'amore. Nasce quando nasce e quando non c'è più è inutile insistere. Non c'è più! 
(Il Perozzi/Philippe Noiret in "Amici Miei", di Mario Monicelli - 1975)



domenica 26 maggio 2019

Vogliamo un'Europa verde, giusta, democratica senza odio e violenza



“Nessuna maledizione è peggiore di un’idea propagata attraverso la violenza”
(Ezra Pound, proprio lui dal cognome maltrattato e violato) 

Ricordiamolo oggi quando andremo a votare!

mercoledì 22 maggio 2019

Giallo, Noir & Thriller/68

Titolo: Una Traccia nel Buio
Autore: Arnaldur Indriđason
Traduttore: Storti Alessandro
Editore: Guanda – 2015


Con “Una Traccia nel Buio” Arnaldur Indriðason inaugura una nuova serie, la Reykjavík Wartime Mistery, dove il protagonista non è il commissario Erlendur che il lettore ha già conosciuto, bensì nel periodo della Seconda Guerra Mondiale l'islandese Flovent, l’unico agente rimasto a comporre la squadra di polizia investigativa dopo lo scoppio della guerra, ed un canadese originario della Nuova Islanda, agente della polizia militare, il giovanissimo Thorson. A questi si aggiunge, per un romanzo che si svolge su due differenti piani temporali, l'ex agente in pensione Konrad, che di sua iniziativa decide di indagare ed aiutare i colleghi in un caso di omicidio che inizialmente era stato liquidato come tragica morte naturale.

Passato e presente si alternano e si mescolano più volte, con il secondo che in diverse occasioni fornisce la chiave per interpretare il primo, dove chi indaga nel presente si accorge di essere richiamato dal passato e nel passato. La stessa isola, l'Islanda, che appare tanto, forse troppo lontana, oggi da quel ieri che ci viene così ben rappresentato, con una una cultura essenzialmente contadina che all'improvviso si trovò a fare i conti con una occupazione militare, per quanto pacifica, e a mettere in dubbio se stessa e chi forzatamente accoglieva in quei tragici anni. Così l'anziano Konrad e con lui il lettore deve confrontarsi con ciò che significò l'incontro tra Islandesi e Britannici prima e Americani poi. Una problematica non solo militare, ma anche culturale e di costume, al centro di una questione che venne definita come “la Situazione”, dove giovani donne venivano attratte dai componenti delle Forze d'occupazione.


In questo scenario agiscono Thorson e Flovent, in un'altro differente si trova ad operare Konrad, facendo comunque i conti con quanto accaduto ormai 70 anni prima. Fatti a cui anche la famiglia di Konrad assistette ed in cui fu coinvolta, per un continuo rimando fra i piani temporali accennati prima.

Il romanzo presenta ritmi lenti e meditati, ma ne sono rimasto comunque affascinato, sia per le caratteristiche del trio investigativo, sia perché l’autore racconta una parte interessante della storia dell'Islanda, di un'isola ai confini del mondo che ha vissuto la guerra in modo diverso dai Paesi europei, ovvero marginalmente, perché lontana da tutti i fronti di battaglia, ma comunque rimanendone segnata, soprattutto per i retroscena di un conflitto, ma anche dalla presenza delle truppe di occupazione.
Indriðason mette in campo uno stile elegante, sebbene in qualche passaggio possa apparire un po’ noioso ad una prima impressione, dal momento che le indagini procedono per progressi piccolissimi. La lettura comunque procede con una certa soddisfazione e ne sono rimasto legato e per certi versi rapito ed emozionato. Un romanzo di genere che rispetta il genere e le doti dell'autore, che lascia un pizzico di Erlendur qua e là giusto per non destabilizzare troppo i suoi lettori “storici”, ma che possiede anche il pregio di raccontare la storia recente dell’Islanda, contribuendo a stimolarne la conoscenza.


Il piccolo appartamento è in ordine e il suo anziano proprietario, sdraiato nel letto, apparentemente dorme sereno. Ma la verità è un’altra. Qualcuno ha soffocato nel sonno Stefán Þórðarson, qualcuno che evidentemente la vittima conosceva e a cui ha aperto la porta della casa dove viveva solo da anni. … (da guanda.it)

lunedì 20 maggio 2019

Citazioni Cinematografiche n.303

Anche se siamo in guerra le cicale friniscono e le farfalle volano. Dopo l'incursione aerea di giugno pensavamo che la guerra stesse ormai per mostrarsi ai nostri occhi: ma dove la combattono, e quando arriverà? 
(Suzu Urano in "In questo angolo di mondo", di Sunao Katabuchi - 2016)




sabato 18 maggio 2019

Paddleton (2019)



Consigliatomi, quasi a bruciapelo, da un giovane amico, qualche settimana fa ho visto il film Netflix “Paddleton”. Pur non esente da qualche momento meno ispirato, il film procede in modo efficace e opportunamente sospeso tra dolore e tenerezza, disagio e commozione. Un'ora e mezza che si svolge in una solo apparente linearità, che mostra una evidente dose di lucidità nel suo essere un'opera spontanea e limpida, capace di trattare temi come la malattia e la morte senza ricorrere alla trascendenza o a pietismi di sorta. Un film in grado di mettere in scena una amicizia tra due uomini soli, che proprio alla solitudine ed al caos imposto da una società e da uno stile che non gli appartiene reagiscono creandosi un'oasi fatta di abitudini e gesti ripetuti ogni giorno, insieme, rimedio a tutti i mali, che, nella loro semplicità, bastano per vivere serenamente.

In una vita ordinaria ma tutto sommato “a propria misura” irrompe il fato, nella forma di una malattia oncologica, un tumore incurabile, a cui uno dei due amici contrappone la sua volontà, condividendola con l'altro. Così una esistenza fatta di ordinarietà, basata su pizza, film sulle arte marziali, un gioco appositamente da loro inventato, il Paddleton del titolo, si misura con temi “alti” e profondi, divisivi spesso, quali l'autodeterminazione, il “fine vita” ed il dissidio fra altruismo ed egoismo, solitudine e sincero affetto per chi si ha di fronte.

Molto centrati e ben supportati da una sceneggiatura solo ad una prima sensazione troppo essenziale gli interpreti, che fanno sì che l'opera riesca ad andare oltre la messa in scena minimale e gli spazi affollati dalle piccole cose di ogni giorno. Il film va oltre i trabocchetti drammaturgichi e le facili scorciatoie emotive, in modo tale che un tocco di umorismo nonsense e due volti stropicciati, si facciano apprezzare come elementi costituenti di una vicenda che fa divertire, pensare ed eleva a dignità la riflessione base della sceneggiatura, condita da una sintonia speciale fra due esseri umani, che allontana elementi esterni e intenti melodrammatici o pietosi dal suo cerchio magico.

Micheal e Andy sono due uomini soli, vicini di casa e amici di vecchia data. Trascorrono le loro serate a mangiare pizza riscaldata, guardare film (soprattutto "Il pugno mortale") o giocare a trivial pursuit. Nel weekend giocano a Paddleton (sport simile al paddle ideato da loro stessi) mentre chiaccherano delle loro vicende quotidiane. Un giorno a Micheal viene diagnosticato un incurabile cancro. Questi, dopo aver consultato due oncologi, prende la decisione di assumere un farmaco letale anziché avviare altre terapie invasive, lasciando Andy, nell'attimo in cui gli viene comunicata questa scelta, con un velo di palpabile amarezza. Andy è l'unico a sapere di questa sua decisione. (da wikipedia.org)



mercoledì 15 maggio 2019

Io che ho potuto guardarti dormire



...

Ma io che ho potuto guardarti dormire
Ho visto l'aria venirti a mancare
So che la mente mente a comando ma il tuo corpo no
E allora non parlare, non parlare
È il tuo silenzio che voglio ascoltare, non parlare
Il tuo silenzio è più vero


... 


Irène Jacob, “La Doppia Vita di Veronica” (Krzysztof Kieślowski, 1991)


 
Benoît Régent, “Tre Colori: Film Blu” (Krzysztof Kieślowski, 1993)

lunedì 13 maggio 2019

Citazioni Cinematografiche n.302

I miei amici sul continente credono che solo perché abito alle Hawaii, io viva in paradiso. Come fossi in una vacanza permanente, pensano che qui passiamo il tempo a bere Mai Tai, a ballare l'hula hula e fare surf. Ma sono pazzi. Credono che siamo immuni alla vita. Come possono pensare che le nostre famiglie abbiano meno problemi? Che i nostri cancri siano meno mortali? I nostri drammi meno dolorosi? Sono quindici anni che non salgo su una tavola da surf. Negli ultimi ventitré giorni ho vissuto in un paradiso fatto di flebo, sacche di urina e tubi endotracheali. Il paradiso? Il paradiso può andare a farsi fottere. 
(Matt King/George Clooney in "Paradiso Amaro", di Alexander Payne - 2011)







venerdì 10 maggio 2019

Parlare di Rivoluzione


Don't you know
They're talkin' 'bout a revolution
It sounds like a whisper
Don't you know
They're talkin' about a revolution...
(Tracy Chapman)

La rivoluzione è sempre tre quarti fantasia e per un quarto realtà. (Michail Bakunin)

La rivoluzione non è questione di merito, ma di efficacia, e non v'è cielo. C'è del lavoro da fare, ecco tutto. (Jean-Paul Sartre) 
 
La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra. (Mao Tze Tung)

La rivoluzione restava sempre a sinistra, solo i suoi rappresentanti si spostavano sempre a destra. (Joseph Roth)

Yeah, yeah, yeah, yeah, yeah, yeah
Yeah
Your revolution is a silly idea, yeah
(REM)


mercoledì 8 maggio 2019

Arrival (2016)


Qualche ora la casa completamente libera, sono da solo e cosa faccio? Guardo un film! Un film di fantascienza! Guardo “Arrival” di Denis Villeneuve.
Andiamo subito al sodo e scrivo che mi è piaciuto, nonostante sia un film di fantascienza filosofica, poiché dopo il per me detestabile, nonché troppo lungo, Interstellar dell'ancora più detestabile Nolan, il sottogenere mi crea qualche disagio.

Arrival invece è un film equilibrato e ben recitato, dove la sceneggiatura è solida nella sua apparente semplicità, senza concedere sentimentalismi di sorta e soprattutto presenta temi filosofici e speculativi senza ammorbare lo spettatore che si può godere le belle immagini, con una mirabile fotografia, seguendo il dipanarsi di ipotesi e tesi. La differenza con l'altra opera citata è evidente, anche perché Amy Adams è veramente al meglio, o quasi, ben affiancata dal veterano Forest Whitaker e dal bravo Jeremy Renner.


Uno dei punti forti del film di Villeneuve è l'essere riuscito a offrire qualcosa di veramente personale e infondere nuova forza ad un genere che rischia di ripiegare su se stesso film dopo film. Invece la fantascienza proposta in questo caso pur ancorandosi molto al classico, ovvero uno sbarco alieno sulla terra, riesce ad essere declinata con convincente originalità e, partendo dalla dialettica tra linguaggio e scienza, la narrazione risulta arricchita di intuizioni filosofiche e sociologiche, senza mai perdere di vista un valido intrattenimento, né risparmiandosi attualità ed aggiornamenti più che validi sulla scienza stessa, sul cinema e sulle sue modalità artistiche ed espressive.

Anche nei momenti in cui ci si avvicina al baratro dell'involuzione espositiva e si prospetta lo spettro delle immagini autocelebrative, nonché dell'estetismo fine a se stesso, il regista decide di fermarsi un attimo prima. Così i riferimenti alle emozioni umane, alla maternità, alla riflessione dell'uomo e della scienza sono eleganti ed al medesimo tempo sostanziali e “pieni”, godibili all'interno di un prodotto che coniuga intrattenimento e divulgazione (senza che quest'ultimo aspetto venga messo in primo piano oltre che utilizzato per onanismi autoriali). Ritmo e tensione narrativa vengono mantenuti per tutto il film, senza uno sterile filosofeggiare che manderebbe all'aria il tutto, lasciando soddisfatti solo i maniaci dell'inspiegabile e dell'astratto. Invece lo spettatore si diverte e si emoziona, si gode quanto viene raccontato e viene accompagnato verso una “semplice” soluzione dell'enigma, degli enigmi privati e collettivi, non consolatoria ma profonda nella sua vitalità, in equilibrio tra scienza e fantasia, realtà e finzione.

martedì 7 maggio 2019

This is why I like you


You’re not right in the head, and nor am I, and this is why….this is why I like you.
(Morrisey - I Like You)
     

lunedì 6 maggio 2019

Citazioni Cinematografiche n.301

Moneypenny: Che succede, James? Non c'è una persona del MI6 che non ne stia parlando.
Bond: Parlando di cosa, esattamente?
Moneypenny: Di quello che hai fatto in Messico, ti sei spinto troppo in là. Dicono che sei finito.
Bond: Tu che ne pensi?
Moneypenny: Secondo me hai appena cominciato.

(Eve Moneypenny/Naomie Harris e James Bond/Daniel Craig in "Spectre", di Sam Mendes - 2015) 



domenica 5 maggio 2019

Dampyr #229 - Kurjak il vampiro






La sceneggiatura di Giovanni Di Gregorio mette Harlan e Tesla nella difficile situazione di valutare il loro operato e la loro missione. Saranno in grado di mettere in campo lucidità e decisione d'azione di fronte ad un Kurjak trasformato in creatura della notte?
Episodio che funge da collante ed allo stesso tempo “da esca” per il lettore e per il prosieguo della serie. A mio parere è segno di una certa maturità e profondità della testata porre gli eroi protagonisti di fronte a difficili quesiti sulla morale, sul senso delle loro azioni e sulla volontà o debolezza individuale e del gruppo, come ad esempio interrogarsi su quale linea mantenere davanti alla spietatezza e la ferocia che sembra sopraffare il loro amico, inoltre offrendo dialoghi adeguati ed apprezzabili, per lo più azzeccati e mai ridondanti.

Fabio Bartolini con il suo tratto pulito, delineato da neri decisi che valorizzano le figure e l'impostazione che il disegnatore propone, illustra il tormento di Harlan e la sua difficoltà nello scontarsi con Kurjak, fratello di vita e di battaglia, con tavole leggibili e impreziosite dalla cura per il dettaglio.

Da qualche tempo Emil Kurjak, l’unico umano del terzetto di ammazzavampiri, soffre di una brutta tosse. Inoltre un parassita noto come “Pallida Maschera” è stato innestato nel suo corpo per conto dei terribili Grandi Antichi. Che cos'altro gli accadrà? Qual è il nemico di Dampyr dietro a questo diabolico piano ordito alle spese dei nostri eroi?… Ma, soprattutto, Emil Kurjak, soldato tutto d’un pezzo e amico fidato, può schierarsi contro i suoi compagni di sempre? (da sergiobonelli.it)

giovedì 2 maggio 2019

Bagliori a San Pietroburgo, di Jan Brokken

Titolo: Bagliori a San Pietroburgo
Autore: Jan Brokken
Traduttore: Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo
Editore: Iperborea - 2017

 

In questo prezioso e affascinante libro leggiamo quanto scrive Nabokov nelle sue memorie: “Con pochissime eccezioni, tutte le energie creative di orientamento liberale – poeti, narratori, critici, storici, filosofi e così via – avevano lasciato la Russia di Lenin e di Stalin. A Berlino e a Parigi i russi formavano una colonia compatta. (…) Ma andarsene da San Pietroburgo per molti significava: non essere più a casa da nessuna parte”.
Proprio ad una città che periodicamente nel corso della sua storia ha cambiato nome, la meno russa delle città russe, Jan Brokken dedica questa sua opera. “Bagliori a San Pietroburgo” vive di storia e di presente, di storia dell'autore, che torna lungo la Neva quaranta anni dopo la prima volta, nel 1975, facendo inevitabili e a volte dolorosi confronti, e storia di una impressionante serie di scrittori, artisti, musicisti e compositori che a San Pietroburgo sono nati, hanno vissuto, hanno amato e lavorato ed in molti casi hanno abbandonato durante l'era sovietica.


Ci si potrebbe avvicinare al libro quasi fosse un reportage su un angolo di Europa, dimenticato e dimenticata, simbolo e crocevia di storia e cultura, ma vi è molto di più nelle pagine che il lettore non può fare a meno di godere e assaporare, continuamente stimolato ed invitato a seguire i passi dell'autore, il suo pellegrinaggio a San Pietroburgo che, dice, “se non fosse esistita, avrei inventato io questa città che sonnecchia sul fiume, come uno stato d’animo che mi corrisponde per sempre.”

Leggendo viene la voglia di recuperare poesie, romanzi, composizioni musicali, opere pittoriche o architettoniche, dal momento che nei brevi capitoli si alternano nomi come Anna Achmatova (un suo ritratto è sulla copertina), Nina Berberova, Dostojevskij e Turgenev, ma anche Solzhenitsyn e Nabokov, Esenin e musicisti quali Rachmaninov e Šostakovič, Rimskij Korsakov e Stravinskij e la pianista Marija Judina, e molti altri ovviamente.
I loro amori, le loro pulsioni, la loro arte, così come vizi, virtù, paure, debolezze, storie personali che si intrecciano con la Storia russa/sovietica ed europea. Jan Brokken segue i loro passi, ci porta nelle loro case, nei luoghi in cui hanno mostrato la loro grandezza o subito ingiustizie ed arresti, ammira la statua dell’uno o dell’altra, il ritratto che lascia indovinare il carattere, ci racconta un qualche dettaglio della loro vita. Cita versi che vanno dritti al cuore del lettore, che ce li fanno ricordare, che ci invogliano a scoprire altro su di loro. Jan Brokken non indulge con le sue storie, non ci lascia mai veramente sazi, quasi ci invitasse a scoprire altro su di loro e su questa città, che in questi ultimi venticinque anni molto ha smarrito ma altrettanto ha conservato, fosse solo ancora per poco.

È il 1975 quando Jan Brokken rimane folgorato da San Pietroburgo, l’allora Leningrado, patria splendente e malinconica di poeti e dissidenti, folli e geni, disperati e amanti, culla della ribellione agli zar e poi al regime sovietico in nome della libertà dell’arte e dello spirito. In occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, Brokken ci accompagna nelle sue passeggiate fra presente e passato attraverso strade, teatri, case e musei sulle tracce dei personaggi che hanno reso Pietroburgo una capitale mitica della cultura europea. (da iperborea.it)