Sono stato per molto tempo un tossicomane convinto. Sì, io, Bob: il cocco di mamma, un ragazzo qualunque, uno come gli altri. Io e la mia banda rapinavamo i drugstore. Ce li siamo fatti tutti, su e giù lungo la costa del Pacifico, farmacie aperte e chiuse. Non faceva differenza, tecnica a parte. Ma non pensate che fosse una vita facile: è dura, quando sei un drogato, e fare il capobanda è ancora peggio. Io e Dianne eravamo sposati, l'amavo. Lei aveva due passioni: me e la droga. Formavamo una bella coppia. Quando uscivo di prigione tornavo sempre da lei. Rick era il mio braccio destro, il mio gorilla. Non era di primo pelo in materia di crimini: la sua fedina denunciava una crescita costante, prima delinquente minorile, poi ladruncolo. Prometteva bene. Poi c'era Nadine, la donna di Rick, una cassiera che aveva rimorchiato durante un colpo; un pezzo di ragazza niente male. Non aveva precedenti, e il suo sorriso ti coglieva sempre alla sprovvista. Ero il capo indiscusso, allora: tutto il gruppo gravava sulle mie spalle, e io ne sostenevo il peso, come un padre fa con i figli. E in fondo sapevo che non avremmo mai potuto vincere: il nostro era un gioco in perdita. Non potevamo vincere, anche nella migliore delle ipotesi.
(Bob/Matt Dillon in “Drugstore Cowboy”, di Gus Van Sant - 1989)
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