lunedì 31 luglio 2017

Citazioni Cinematografiche n.210

Pu Yi: Credete che un uomo possa ritornare ad essere imperatore?
Reginald Johnston: Certo.
(Pu Yi/Tao Wu e Reginald Johnston/Peter O'Toole in "L'Ultimo Imperatore", di Bernardo Bertolucci - 1987) 




giovedì 27 luglio 2017

NO VAX, NO LOGICA, NO SCIENZA. IL CULTO DELL'IGNORANZA



"C'è un culto dell'ignoranza negli Stati Uniti, e c'è sempre stato. Una vena di anti-intellettualismo si è insinuata nei gangli vitali della nostra politica e cultura, alimentata dalla falsa nozione che democrazia significhi "la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza".
(Isaac Asimov)


Gli argomenti degli antivaccinisti, o dei sostenitori della “libertà di scelta”, dell'informazione consapevole in materia di vaccini ed altre coperture semantico-lessicali che ultimamente sono venute fuori per evitare lo “stigma” del NO VAX ed apparire quindi un po' meno integralisti, sono a mio parere tanto inconsistenti da divenire a volte demenziali. 

 
Se non fosse che ho qualche anno di esperienza di certe manifestazioni di illogicità e sbandamento dal pensiero logico-scientifico, sarei addirittura meravigliato dalla tentazione (o volontà?) di costruire una filosofia, una visione ed una posizione politica attorno a questa massa di opinioni e pensieri in libertà che riunisce e fa fermentare tra loro sostenitori di un certo primitivismo stile “ritorno alla vita sana delle origini”, rancori contro le istituzioni ed i partiti, diffidenza nei confronti di studiosi e figure tecniche, timori alimentati da false notizie e manie di protagonismo, esigenza di esercitare controllo sui propri figli tale da apparire come una forma di patriarcalismo egoistico ed ottuso, incurante della vita sociale e dei rapporti di rispetto reciproco, e istinti autolesionisti che sotto una lacera veste di libertarismo nascondono un becero nichilismo povero di struttura.
Il discorso potrebbe allargarsi, poiché è vero che l'enorme quantità di informazioni accessibili su Internet, unita alla mancanza di senso critico è una vera e propria ricetta per il disastro. Molti utenti sono spesso incapaci di distinguere la verità dalla bufala, e a causa di questa incapacità contribuiscono a un'ulteriore diffusione delle bufale, condividendole sui social network. Addirittura, in tema di vaccini (ma non solo), si nota che tra i NO VAX l'assenza di fonti accreditate viene vista come un merito: è più facile credere a una madre che racconta la storia straziante del figlio colpito dall'autismo dopo un vaccino, piuttosto che ai medici e alle compagnie farmaceutiche che ribadiscono la totale assenza di collegamenti tra i due fattori: in fondo, che motivo ha la madre per mentire? E i medici, non sono forse al soldo delle compagnie farmaceutiche che tali vaccini li vendono?
Inoltre viene sempre più consigliato di non fidarsi dei medici (a meno che non siano antivaccinisti loro stessi) e più in generale si alimenta la sfiducia nelle figure professionali, o comunque nei cosiddetti “tecnici”, che ci viene detto essere comunque in mala fede. Ebbene quando viene a mancare la fiducia nelle figure professionali, crolla una struttura che, nel bene e nel male, è funzionale all'andamento di una accettabile vita e struttura sociale. Tale mancanza di fiducia, purtroppo, sta diventando endemica e sempre più diffusa anche ad alti livelli: pensiamo ai dibattiti sulla vaccinazione nei quali vengono chiamati a intervenire un medico e una madre contraria ai vaccini, facendo passare al pubblico il messaggio che le due posizioni abbiano pari valore e pari verità scientifica, che tutte le opinioni abbiano lo stesso valore indipendentemente da chi le esprime. Questo non può essere vero: in tutti i casi in cui studi e statistiche possono dimostrare una verità piuttosto che un’altra, l’ignoranza non vale quanto la conoscenza.
 
Ovviamente non intendo dire che sia sempre opportuno prendere come oro colato le parole di un professionista: in tutti i campi ci sono correnti di pensiero diverse, ma sempre basate su una solida base culturale e su un metodo scientifico di validazione di opinioni che altrimenti rimangono tali. Quindi se dopo essere andati da un medico si vuole un altro parere, ciò è perfettamente accettabile, però si dovrebbe consultare un altro medico, non un architetto od una parrucchiera.
Una cosa che mi infastidisce particolarmente è che ascoltando le farneticazioni argomentazioni dei NO VAX (FREE VAX o altre etichette che desiderino utilizzare) si nota come comincino a presentarsi, forse magari a sentirsi, come esponenti del pensiero libero, o pensiero divergente tali da ricoprire il ruolo di precursori, di novelli eretici che indicano la retta via, che pongono le basi per una nuova e più “giusta” società. In fondo a me sembra solo illogicità, rifiuto del pensiero logico e del metodo scientifico, egoismo e stupidità privata che diviene collettiva nelle loro marce ed esternazioni pubbliche.


A pensarci bene queste righe potrebbero essere volte a loro vantaggio, quasi a sostenere e confermare l'immagine del “diverso” che viene osteggiato perché dicendo la verità si pone contro i “poteri forti”, la “casta” e così via. Ritornando al tema della Scienza inoltre mi si pone la questione di come nell'ambito della ricerca scientifica, per come l’abbiamo studiata e assimilata comunemente, il passaggio dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della conoscenza è sempre stato osteggiato, a volte in modo cruento. Poi si porrebbe una questione di immagine: il genio che con le sue teorie e le sue ricerche permette un balzo in avanti alla conoscenza, spesso è un irregolare, un tipo un po' strambo, fuori dagli schemi, per cui all'inizio deriso, osteggiato, magari punito. In seguito viene ascoltato e riabilitato. Ma pur sempre nell'ambito della ricerca scientifica, che ha metodi, principi, valori su cui si concorda e sui quali si basa, su cui si basa anche il dialogo, il confronto ed il dibattito.
Con gli antivaccinisti, invece, il dibattito è impossibile, il confronto è minato alle fondamenta, lo scambio di ricerche, dati ed informazioni, l'esposizione di tesi e risultati porta solo alla sconfitta della logica e del pensiero scientifico. Non c'è modo di uscirne. In fondo anche Karl Popper diceva che una falsa scienza non è mai falsificabile. E questo anche perché gli adepti di quella falsa scienza, davanti alle prove che presenti loro, si rifugiano sempre in ipotesi di salvataggio (i dati che mi porti sono falsi e non affidabili, non riconosco il tuo metodo di raccolta dati, io ho altre fonti maggiormente affidabili, ma a te chi ti paga?, è in atto un complotto, e così via).
Un po' come accade a Ross quando parla di Evoluzione con Phoebe in “Friends”:


Che poi, sempre cercando di rimanere dalle parti di Popper, o comunque in ambito scientifico e di epistemologia della scienza, il mondo moderno in cui viviamo, che dovrebbe essere permeato di razionalità, tende a scricchiolare, a volte anche per colpa di quanti cercano la razionalità stessa, che tra le crepe che vengono create, danno spazio all'irrazionalità (o forse semplice irragionevolezza) dei gruppi antivaccinisti. Questa posizione diventa quindi implicita alla Scienza ed alla Razionalità, potremmo considerarla un sottoprodotto, anche quando è ignoranza e arroganza, anche se non ha un briciolo di verità. Quasi a fungere da contraltare e in questo momento l'invito è a volgersi al pensiero e metodo scientifico, alla razionalità, all'intelligenza e alla serietà.


lunedì 24 luglio 2017

Citazioni Cinematografiche n.209

Charlie Wilson: Come sarebbe "lui non cerca di sconfiggere i sovietici"?
Gust Avrakotos: Be', vuole dissanguarli. Ripagarli per il Vietnam, continuare a fargli inviare truppe e denaro, truppe e denaro finché non gli si fotte il cervello come è stato per noi.  
Charlie Wilson: Vuole dirmi che la strategia degli U.S.A. in Afghanistan è che gli afghani affrontino le mitragliatrici finché i russi non finiscono i proiettili??  
Gust Avrakotos: È la strategia di Harold Holt, non quella degli U.S.A.  
Charlie Wilson: Qual è la strategia degli U.S.A. in Afghanistan?  
Gust Avrakotos: In senso stretto non l'abbiamo, ma noi ci stiamo lavorando.  
Charlie Wilson: Noi chi?  
Gust Avrakotos: Io e altri tre tizi.

(Charlie Wilson/Tom Hanks e Gust Avrakotos/Phillip Seymour Hoffman in "La Guerra di Charlie Wilson", di Mike Nichols - 2007)


 

sabato 22 luglio 2017

Del lavoro e della sua ricerca


Uno potrebbe anche stancarsi di andare in giro per uffici e sale riunioni a sostenere colloqui di lavoro. No, non intendo dire stancarsi di cercare lavoro. Purtroppo lavorare serve e quando manca il lavoro, soprattutto manca uno stipendio o quantomeno un’entrata fissa (anche modesta), ebbene bisogna comunque darsi da fare e cercare.
 Paolo Panelli“Il conte Tacchia” (Sergio Corbucci, 1982).
Intendo proprio non poterne più di incontrare selezionatori, responsabili del personale, direttori delle risorse umane, impiegati che hanno il compito di effettuare colloqui con aspiranti lavoratori, anche se magari qualche competenza per svolgere tale incarico non la possiedono nemmeno se regalatagli a natale o trovata in un sacchetto di patatine (ma poi ci sono ancora regali in quei sacchetti?).


“Qual è la sua più grande qualità?”, “qual è il suo peggior difetto?”, “in cosa ritiene di essere competente”, “cosa, secondo lei, deve ancora imparare?”, e così via. Sono queste alcune delle domande che un candidato si sente molto spesso rivolgere, almeno nel primo colloquio, ma a volte anche nel secondo o terzo. Il tizio che, armato di buona volontà e sincera fiducia nelle proprie risorse, prova a rispondere, ritiene che sia doveroso passare attraverso tale fase per procedere verso l’auspicata assunzione. Così tutte le volte che gli viene fissato un incontro conoscitivo o di selezione.
Ho studiato psicologia del lavoro, ho sostenuto esami sulle metodologie e tecniche di intervista, somministrazione questionari, compilazione test e via dicendo, perciò non mi definirei un completo profano della materia. Quindi, almeno agli inizi della mia travagliata “carriera” lavorativa, avevo una certa idea di cosa aspettarmi e di come comportarmi durante un colloquio di lavoro.
No, no, non mi riferisco a quegli slogan idioti e a quelle formule da imbonitore di piazza che campeggiano su manuali fai da te, ma anche su testi di “autorevoli” guru della comunicazione e di maestri nel miglioramento delle performance manageriali. Lungi da me il voler screditare intere categorie professionali, poiché persone serie e competenti, persino oneste e corrette, esistono anche tra gli psicologi, tra i selezionatori professionali e i responsabili di risorse umane (nelle aziende dove è previsto il loro reale contributo e non dove esiste solo un nome o una targhetta da affiggere su una porta a rotazione).
Con il passare degli anni però, oltre a lavorare abbastanza anche con qualche soddisfazione, mi sono accorto di quanto spesso in verità a condurre tali momenti di conoscenza e selezione dei candidati, si trovino personaggi delle più svariate nature e forme, alcuni magari anche simpatici ma a volte, come dire, dei consapevoli idioti e consenzienti meri filtri (pazienza) o addirittura degli arroganti e indisponenti tizi che “si sono fatti da sé” e che fanno della propria esperienza l’unico metro e valore per poter condurre delle selezioni, siano esse individuali o di gruppo (qui si entra in diretto contatto con l’orrore!).



C’è ovviamente la concreta possibilità che abbia semplicemente avuto molta sfortuna, o che sia io ad essere un idiota oppure un arrogante, ma, per il buon prosieguo di questo scritto (e la parziale salvezza di quel poco di autostima rimastami), diamo per buona la prima eventualità. Ebbene non vado oltre su questo tema e mi limito ad esporre mie esperienze, senza per l’appunto fare “di tutta l’erba un fascio” (che di fasci purtroppo ce ne sono in giro fin troppi ancora!). Le Agenzie per il lavoro, nate di fatto “grazie” al pacchetto Treu, dovrebbero svolgere tutti i compiti per loro previsti anche nell’interesse del lavoratore, diciamo dell’aspirante tale, ma poi sono orientate verso quelli che sono i loro veri clienti, ovvero le aziende che gli commissionano il lavoro. Le conseguenze non sono così difficili da immaginare!
I Centri per l’Impiego rischiano di essere autoreferenziali o quantomeno di non riuscire ad offrire un concreto servizio ai cittadini, con la conseguenza di alimentare in questi frustrazione e sfiducia nell’Amministrazione.

Fabrizio Bentivoglio e Silvio Orlando, “La scuola” (Daniele Luchetti, 1995).

Passo ora al vero obiettivo di queste righe. Ovvero sostenere come in questi anni, “di crisi” ci dicono, a pochi datori di lavoro, a poche aziende, nei fatti, interessa veramente svolgere un’accurata e seria selezione del personale, affidarsi a personale esperto e preparato nella procedura di ricerca e individuazione di candidati idonei a svolgere determinate mansioni. Forse le più serie sì, mi si avverte, me lo auguro, ma poi nel mio quotidiano io ho a che fare con aziende e datori di lavoro presenti sul territorio in cui vivo e lavoro, perciò su questo baso le mie riflessioni. Ora, con la scusa della “crisi”, c’è parecchia gente che cerca lavoro, perché lo ha perso, non l’ha ancora trovato, è stata costretta a cambiarlo, ad abbassare le proprie aspettative e così via, perciò i selezionatori, o presunti tali, si trovano fin troppi candidati di fronte. La conseguenza, nefasta, è che anche se non individuano soggetti idonei oggi, sicuramente, ritengono, lo potranno fare domani e la loro soglia di attenzione e di cura tende ad abbassarsi. Ancora peggiore è lo scenario in cui a condurre il colloquio di lavoro è il titolare stesso che, a torto o a ragione, ritiene di poter svolgere perfettamente tale compito, perché in fondo l’azienda è sua, sa bene lui cosa cerca o (attenzione!) cosa “gli serve”, è convinto di aver sufficiente esperienza per capire chi ha di fronte e via con le frasi ad effetto.

Il mantra “con questa  crisi” è buono per tutto: per far accettare stipendi bassi, contratti vergognosi, rinuncia a diritti, ridimensionamento delle aspettative, arretramenti dell’inquadramento e altre amenità del genere. Peccato che la crisi, però, in certi settori e per certe aziende, riguardi solo i dipendenti di più basso livello. I cosiddetti “quadri”, i dirigenti ed gli imprenditori datori di lavoro (ed elargitori di infimi stipendi) continuano, per esempio, ad acquistare auto di lusso, andare in vacanza in luoghi alla moda, scaricare spese sul conto della società, mantenere stili di vita “di un certo livello” e magari anche più di una ex-moglie.

La crisi per loro è un alleato! Orbene il livore ed il risentimento personale è più che evidente in queste righe e non ho certo intenzione di nasconderlo. Questo offusca e pregiudica la lucidità di cui ci sarebbe bisogno, ma non sto certo esponendo una tesi, perciò continuo su questo solco.

 Enzo Provenzano e Pietro Sermonti, “Smetto quando voglio” (Sydney Sibilia, 2014).

Può capitare di avere a che fare con personaggi che, in tempi propizi, hanno fondato una società, con lo statuto giuridico a loro più vantaggioso e secondo le possibilità che la legislazione ha loro regalato, che gli ha permesso di arricchirsi e crearsi una situazione di oggettivo privilegio. Il concetto dell’uomo di successo, artefice del proprio destino, è suggestivo ma anche foriero di sventure per chi se ne lascia abbagliare, ma soprattutto entra in crisi quando si scopre lo sporco sotto la superficie di splendore e fantastica riuscita di un “genio imprenditoriale”. Può capitare di avere a che fare con l’arroganza e la presunzione di chi, in modo furbo ed al limite della legalità, si è fatto un sacco di soldi cavalcando una qualche onda favorevole e poi rimanga convinto di essere un imprenditore capace e sagace, quando i fatti dimostrerebbero esclusivamente una grande fortuna arrivatagli grazie a competenza, capacità, merito ascrivibili ad altri, suoi collaboratori (quando va bene), suoi protettori (va un po’ peggio) o suoi corrotti e corruttibili sodali (come va male!).

Questi loschi personaggi, inoltre, nella loro protervia e disgustosa alta concezione di sé, non si vergognano di far ricadere le conseguenze di una qualche crisi sui loro dipendenti, su chi, magari seriamente, lavora per loro ed ha contribuito ad arricchirli e li mantiene nei loro agi. Sono capaci di dichiarare che i “tempi sono duri”, “bisogna stringere i denti” ed altre frasi di rito. Sono disposti a chiedere sacrifici e aiuti economici a chi vive di stipendi a tre cifre. Non temono di dichiarare di non avere denaro a portata di mano, la famosa “liquidità” delle imprese, riuscendo anche a farsi finanziare da qualche gruppo bancario, a sua volta salvato da interventi da parte di terzi (e non solo da parte dello Stato!). I dipendenti, i salariati, devono rinunciare a parte di stipendio, a intere mensilità per il bene dell’azienda, ma i titolari, i capaci imprenditori si guardano bene dal privarsi anche del minimo benefit, tenendosi stretti i propri privilegi e gli “stipendi” a cinque cifre.

Per cui: “qual è il suo maggior pregio?”, “la capacità di resistere alla tentazione di spaccarle la bocca!”; “qual è il suo peggior difetto?”, “essere disoccupato!”; “qual è la sua più grande aspirazione?”, “essere pagato per sparare cazzate come fa lei!”.

Oppure, tentando di non essere cacciato e magari ritrovarsi con un lavoro:
-         Il mio maggior pregio è riuscire ad essere cordiale anche con le teste di cazzo, come può notare in questo momento.
-         In merito ai difetti preferisco concentrarmi sulle mie qualità e sulle cose che so fare, per cui ritengo di non averne di così gravi da dovermi ridurre a fare il selezionatore di personale.
-         La mia più grande aspirazione è divenire immortale, e poi… morire. Le piace il Cinema di Truffaut? No? Mi dispiace, anzi no, meglio così, preferisco non avere nulla in comune con lei!

Riflettendoci, forse neanche così va bene. Pazienza!


“Santa Maradona” (Marco Ponti, 2001)
 

giovedì 20 luglio 2017

Le Storie #58 - Il Sangue dei Mortali


Tavole bellissime in una sceneggiatura efficace che sa alternare azione e momenti di analisi e approfondimento. Il numero 58 della collana Le Storie, in edicola a luglio.


Romanzi, film o fumetti che mettano in risalto il dolore, la sofferenza e la tragedia della guerra sono diffusi e la pubblicazione di un ulteriore albo che si inserisca in questo filone potrebbe passare inosservata, o essere accolta con freddezza perché valutata come una ripetizione di cliché narrativi e drammaturgici ormai un po' stantii.
Personalmente ritengo che, purtroppo, ci sia sempre ancora necessità di evidenziare il male di un conflitto, l'assurdità della violenza dell'Uomo sul suo simile e sulla Natura, se poi si affronta il tema basandosi sull'opera che è alla base della Cultura e della Letteratura occidentale, il rischio di “già visto” o di “già letto” si fa tangibile, ma in questo albo grazie alla bravura e al coraggio di sceneggiatore e disegnatore si annulla.


Giancarlo Marzano e Tommaso Bianchi con “Il Sangue dei Mortali” prendono l'Iliade e la smontano, con grande rispetto, demitizzando tutto ciò che è possibile, rendendola una storia “altra”, dove i protagonisti sono appunto i mortali. Ragazzi che diventano uomini, guerrieri che devono affrontare sé stessi nel combattimento contro altri guerrieri che sono uomini, mariti di donne che vivono il dolore di una perdita, padri di figli che divengono orfani per mano di altri padri, per poi a loro volta vivere la guerra in prima linea. Non si trascurano i “civili”, con le loro virtù ed i loro difetti, coraggiosi e probi o disonesti e meschini, mentre i vari Agamennone, Ulisse, Achille di omerica memoria vengono raffigurati per quello che sono o sono stati tutti i generali, i comandanti che hanno condotto una guerra sulla pelle dei sottoposti, degli inferiori, chiamandoli a sacrifici a cui loro stessi puntualmente si sottraggono.




Le tavole di Tommaso Bianchi, molto abile nell'uso del bianco-nero e delle ombre, rendono efficacemente ogni tema, ogni momento, ogni sentimento e sensazione, con grande perizia nella realizzazione dei volti, dei costumi, degli accessori e delle scene, sia quelle di movimento che quelle maggiormente meditative e di analisi, approfondendo la riflessione e l'approccio narrativo e drammaturgico che risulta evidente nella bella sceneggiatura di Giancarlo Marzano.


Il Sangue dei Mortali” è uno degli albi più belli della collana “Le Storie” e a mio parere il migliore in questa prima parte di 2017.


Cantami o dea... La Storia delle Storie, l'archetipo di tutte le guerre, consacrato dal mito, dalle gesta degli eroi gloriosi e semi-divini. Quante volte, per studio e per passione, abbiamo percorso con lo sguardo e col pensiero i versi del grande Omero? Torneremo laggiù, sotto la rocca d'Ilio, ma questa volta per vedere da vicino ciò che è sempre rimasto invisibile: il coraggio e la paura, l'astuzia e la forza dei comuni mortali! (da sergiobonelli.it)




lunedì 17 luglio 2017

Citazioni Cinematografiche n.208

Tess: Sai, potresti anche non piacermi!  
Jack: Chi, io? Nah...
(Tess McGill/Melanie Griffith e Jack Trainer/Harrison Ford in "Una Donna in Carriera" di Mike Nichols - 1988) 



Il film è stato vincitore di un Oscar per la migliore canzone, "Let The River Run" cantata da Carly Simon.

 

giovedì 13 luglio 2017

Giallo, Noir & Thriller/43

Titolo: Süden e la vita segreta
Autore: Friedrich Ani
Traduttore: Emilia Benghi
Editore: Emons:


Süden e la vita segreta è il secondo romanzo pubblicato in Italia con protagonista Tabor Süden, il taciturno investigatore privato specialista di casi di persone scomparse.

Come già scritto riguardo al precedente “Süden– Il caso dell’oste scomparso”, il fatto che il protagonista risulti credibile ed accattivante, non necessariamente simpatico ma in qualche modo “vicino” al lettore, rende godibile la narrazione, comunque curata e di buona qualità.
Elemento distintivo del romanzo non è la sequenza di avvenimenti o di colpi di scena, bensì il lento indagare di Tabor Süden, fatto di ascolti, precise domande, boccali di birra, passeggiate per Monaco di Baviera, intuizione unita alla pazienza di studiare le persone, gli ambienti, la vita che conducono, a volte ponendo maggiore attenzione a ciò che non dicono rispetto alle frasi che pronunciano.

Solitudine, latente angoscia, verità nascoste, segreti inconfessati e quel tanto di misterioso che compone esistenze quotidiane, banali ad una prima occhiata, per un'indagine che procede attraverso una città che a volte accoglie ed altre scaccia.
Il lettore viene attratto dalla ricerca che lo conduce alla cronaca nera quasi senza alcuna accelerazione, sentendo crescere dentro di sé una particolare forma di empatia verso il buon Tabor e chi viene cercato.
Un nuovo caso per Tabor Süden. Sulla misteriosa scomparsa di Ilka, la cameriera di un locale di Monaco, la polizia ha ormai chiuso le indagini. Non aveva nemici ed era gentile con tutti, ma Süden intuisce che Ilka nascondeva qualcosa. Chi era l’uomo che la notte l’aspettava fuori dal locale? Chi le telefonava gettandola nell’angoscia? Guidato dal suo fiuto, Süden scopre un passato pieno di vergogna… (da emonsaudiolibri.it)

lunedì 10 luglio 2017

Citazioni Cinematografiche n.207

Fagin: E adesso voglio sentirti recitare le tre regole d'oro.  
Oliver: Non tutte le tasche sono piene d'oro, ma tu controlla comunque!  
I ragazzi di Fagin: Controlla comunque!  
Fagin: Esattamente, perfetto.  
Oliver: Il crimine non paga a meno che sia il tuo lavoro!  
I ragazzi di Fagin: A meno che sia il tuo lavoro!  
Fagin: Ah, e la terza?  
Oliver: E se ti prendono mai, mai fare la spia!  
I ragazzi di Fagin: Mai, mai fare la spia!  
Fagin: Scolpisci, scolpisci questa regola nel tuo cuore. Bene, non ho altro da insegnarti.

(Fagin/Ben Kingsley e Oliver Twist/Barney Clark in "Oliver Twist", di Roman Polanski - 2005) 



venerdì 7 luglio 2017

Sirene



Donde proviene, sirene, il dolore
Che a notte vi fa, al largo, lamentare?
Come te, m’intramano voci, mare,
E sono gli anni i vascelli canori.


Guillame Apollinaire 
(Trad. Roberto Rossi Precerutti)



lunedì 3 luglio 2017

Citazioni Cinematografiche n.206

Lisle: Mi permetta di dirle che ho sempre ritenuto che lei avesse uno dei volti più incredibilmente belli... che abbiano illuminato il grande schermo.

Madeline: Oh, be', io...

Lisle: E che dire di suo marito? Io credo che non ci sia altro da dire, che... la sua fama ineguagliabile.

Madeline: Già.

Lisle: Sono arrivata qui, oggi. Io inseguo la primavera. Non vedo un autunno, né un inverno da anni. Siamo creature della primavera, lei ed io.

Madeline: Be', non so neanch'io perché sono venuta.

Lisle: Perché ha una paura del diavolo! Di se stessa. Di quel corpo che un tempo credeva di conoscere.

Madeline: Come dice, prego?

Lisle: Io sono quella che tutto comprende. Io sono colei che conosce il suo segreto!
(Lisle Von Rhoman/Isabella Rossellini e Madeleine Ashton/Meryl Streep in "La Morte ti fa Bella", di Robert Zemeckis - 1992)




sabato 1 luglio 2017

Le Storie #57 - Polvere di fata


Il romanzo ed il personaggio letterario di Peter Pan, creato dallo scrittore scozzese James Matthew Barrie, continua a prestarsi a riflessioni, rivisitazioni ed intriganti interpretazioni.
La Sergio Bonelli all'interno della collana Le Storie non si lascia sfuggire l'occasione e nel mese di giugno manda in edicola “Polvere di fata”, albo che conduce il lettore tra le nebbie della Londra di inizio Novecento, grazie al soggetto e sceneggiatura di Giovanni Di Gregorio e alle tavole di Alessia Fattore e Maurizio Di Vincenzo

 
Fin dalla introduzione si pone la questione dei personaggi e della loro caratterizzazione, non solo mescolando le carte per quanto riguarda Peter, Wendy e Hook/Capitan Uncino, ma addirittura mettendo in campo un non proprio indolore rovesciamento del classico confronto buoni/cattivi-eroe/antagonista.

Proprio questo elemento dona pepe e stimola alla lettura, poiché personaggio chiave diviene quello che per tutti quelli che hanno visto la versione Disney è il cattivo per eccellenza. Il pirata senza una mano ricopre un ruolo intrigante e quasi fascinoso, guadagnandosi spazio, spessore e personalità a dispetto di Peter che qui è tutto fuorché un eroe senza macchia e senza paura. Al suo fianco non ha Trilly ed il suo gruppo di bambini perduti è composto da reietti e delinquenti, che spacciano polvere di fata, neanche lontanamente avvicinabile a quella dei cartoni animati.
Qui si opera un ulteriore ribaltamento, poiché la polvere che ti fa volare verso un altro mondo diventa, in modo crudele ma molto più realisticamente, la droga, illusoria evasione verso un "altrove", la famosa Isola che non c'è. 

 
Un racconto cupo, drammatico, dove non c'è spazio per redenzione o riscatto di sorta, che utilizza elementi fisici e metafisici per stimolare a riflessioni e porsi domande difficili. Lo fa anche grazie ad un originale, importante per quanto dimesso carattere, il fotografo Arthur, a cui viene affidato il compito di fungere da collegamento e catalizzatore fra i vari personaggi, attraverso monologhi e interazioni che in qualche passaggio riescono anche a mitigare l'angoscia e la grigia prospettiva di cui l'albo è intriso.

Londra, fine Ottocento. La metropoli è attraversata da una nota d’inquietudine, sparizioni e morti misteriose colpiscono la popolazione senza riguardo per nessuno: ricchi, poveri, donne e uomini, giovani e vecchi sono travolti in egual modo. Si sussurra che un galeone fantasma scivoli silenzioso sulle acque del Tamigi, portando con sé chiunque incontra... (da sergiobonelli.it)