martedì 28 luglio 2020

La vita gioca con me, di David Grossman



Titolo: La vita gioca con me
Autore: David Grossman
Traduttore: Alessandra Shomroni
Editore: Mondadori - 2019

Non è una lettura facile quella di “La vita gioca con me”, ultimo libro di David Grossman pubblicato in Italia da Mondadori.
Affatto facile per lo stile dell'autore che, per quanto curato e tutto sommato “offerto al lettore”, risulta pagina dopo pagina sicuramente impegnativo ed a tratti difficile dato il continuo alternarsi fra presente e passato, fra attuale e ricordi e vissuti.
Difficile inoltre per la profondità e l'insistere, quasi doloroso per chi si facesse catturare dalle pagine, su due temi enormi e fondamentali: l'amore e l'identità.

Ne nascono interrogativi e problemi che il lettore non può fare a meno di spostare dai protagonisti del romanzo a sé. Scrivo protagonisti, ma forse sarebbe meglio riferirsi a protagoniste, tre per la precisione, con l'aggiunta di due elementi maschili, uno vivo e in azione diretta, l'altro defunto e operante attraverso i ricordi ed i racconti di chi lo ha amato.

Iniziando da un plot, un tema tutto sommato ad una prima analisi ampiamente utilizzato e sviscerato, ovvero come da più generazioni si generino tanti ricordi e molteplici versioni di una stessa storia, così come una buona dose di segreti nascosti per anni e sentimenti contrastanti, David Grossman ne “La vita gioca con me” riesce con efficacia e tanto calore a raccontare “la resa dei conti” (una possibile versione di essa) in una famiglia in cui i ricordi stessi e le varie omissioni hanno creato ferite che sembrano impossibili da curare, tanto meno da rimarginare.

È un romanzo che vive di contrasti, di coppie oppositive, quali, tra le tante, madre-figlia, passato-presente (quale futuro?), colpa-perdono, accudimento-abbandono e ancora altre, intensamente rappresentate attraverso i dialoghi ed i discorsi meravigliosi fra madri e figlie e le metafore ed analogie che Grossman ci presenta con una crudeltà ammantata di garbo e quel tanto di intelligente astuzia che stimola la lettura.

Non inserisco rimandi alla trama e informazioni ulteriori riguardo i fatti narrati, sia perché non mi piace farlo (spesso neanche leggerli), sia perché ritengo sia più gustoso per chi lo desiderasse scoprirli per conto proprio, nella lettura di un romanzo che sa essere “violento” nei confronti di sensibilità del lettore, così come intenso verso il lettore medesimo nel porgli interrogativi quali “quanto lotteresti per preservare te stesso e la tua identità” e “quanto sei disposto a sopportare per amore?”, oltre a quanto e cosa sono in grado di sopravvivere l'identità e l'amore stesso.

"Tuvia era mio nonno. Vera è mia nonna. Rafael, Rafi, mio padre, e Nina… Nina non c'è. Nina non è qui. È sempre stato questo il suo contributo particolare alla famiglia", annota Ghili nel suo quaderno. Ma per la festa dei novant'anni di Vera, Nina è tornata; ha preso tre aerei che dall'Artico l'hanno portata al kibbutz, tra l'euforia di sua madre, la rabbia di sua figlia Ghili, e la venerazione immutata di Rafi, l'uomo che ancora, nonostante tutto, quando la vede perde ogni difesa. E questa volta sembra che Nina non abbia intenzione di fuggire via; ha una cosa urgente da comunicare. E una da sapere. Vuole che sua madre le racconti finalmente cosa è successo in Iugoslavia, nella "prima parte" della sua vita, quando, giovane ebrea croata, si è caparbiamente innamorata di MiloŠ, figlio di contadini serbi senza terra. E di quando MiloŠ è stato sbattuto in prigione con l'accusa di essere una spia stalinista. Vuole sapere perché Vera è stata deportata nel campo di rieducazione sull'isola di Goli Otok, abbandonandola all'età di sei anni e mezzo. Di più, Nina suggerisce di partire alla volta del luogo dell'orrore che ha risucchiato Vera per tre anni e che ha segnato il suo destino e poi quello della giovane Ghili. Il viaggio di Vera, Nina, Ghili e Rafi a Goli Otok finisce per trasformarsi in una drammatica resa dei conti e rompe il silenzio, risvegliando sentimenti ed emozioni con la violenza della tempesta che si abbatte sulle scogliere dell'isola. Un viaggio catartico affidato alle riprese di una videocamera, dove memoria e oblio si confondono in un'unica testimonianza imperfetta. (da ibs.it)

lunedì 27 luglio 2020

Citazioni Cinematografiche n.365

Certi uomini sono quello che i tempi richiedono e la vita senza di loro sembra impossibile, ma lui è morto e la vita è possibile; l'ha resa possibile lui
(Joe O'Reilly/Ian Hart in "Michael Collins", di Neil Jordan - 1996)




sabato 25 luglio 2020

Saggezza #8

La saggezza non sta nel distruggere gli idoli, sta nel non crearne mai. 
(Umberto Eco) 



 

venerdì 24 luglio 2020

martedì 21 luglio 2020

Il romanzo d'appendice funzionava, ma ora?

Che altro vuole che le dica? Nel romanzo d'appendice canonico, la chiave del successo è semplice: l'eroe, l'eroina, hanno virtù o tratti che inducono il lettore a identificarsi con loro. Se accade oggi con i teleromanzi, immagini l'effetto in quell'epoca senza radio né televisione, su una borghesia avida di sorprese e di distrazioni, poco esigente quanto a qualità formale e a buon gusto... Quel genio di Dumas lo capì, e con sapiente alchimia fabbricò un prodotto di laboratorio: qualche goccia di questo, un po' di quello, e il suo talento. Risultato: una droga che creava tossicomani.” Mi indicai il petto, non senza orgoglio. “Che ne crea tutt'ora.”
(da “Il Club Dumas”, di Arturo Pérez-Reverte – trad. Ilide Carmignani)




lunedì 20 luglio 2020

Citazioni Cinematografiche n.364

Uomo: Non ci posso credere. Tu non sei cieco.
Zatōichi: Mai stato.
Uomo: Perché allora fai finta di esserlo?
Zatōichi: Perché chi non vede, sente meglio degli altri.
(Zatōichi/Takeshi Kitano in "Zatōichi", di Takeshi Kitano - 2003) 





sabato 18 luglio 2020

Saggezza #7

La saggezza non si riceve, bisogna scoprirla da sé dopo un percorso che nessuno può fare per noi, né può risparmiarci, perché è un modo di vedere le cose. 
(Marcel Proust)




giovedì 16 luglio 2020

Summertime



Summertime
And the livin' is easy
Fish are jumpin'
And the cotton is high

Oh, your daddy's rich
And your mamma's good lookin'
So hush, little baby,
Don't you cry

One of these mornings
You're going to rise up singing
Then you'll spread your wings
And you'll take the sky

But until that morning
There's a'nothing can harm you
With your daddy and mammy ‎
standing by.


Parole di Edwin DuBose Heyward (1885-1940), scrittore, e Ira Gershwin (1896-1983), liricista.
Musica di George Gershwin (1898-1937), compositore e pianista ebreo americano di origine russa.‎
Canzone dall’ “American folk opera” “Porgy and Bess” (1935), tratta dal racconto “Porgy” di ‎Edwin DuBose Heyward.‎

 


martedì 14 luglio 2020

Samuel Stern #8 - Il Secondo Girone


Mi sto sempre più appassionando alla serie di Samuel Stern.
Per i disegni, anche nell'albo numero 8, ad opera di Stefano Manieri, molto efficaci nel mettere in risalto le sfumature della sceneggiatura, tramite inquadrature ben calibrate, un emozionante risultato in termini di uso del contrasto tra bianchi e neri e tra luci e ombre ed uno stile al servizio di dialoghi e personaggi.
Mi appassiono per la cura nello sviluppo dei caratteri, così come della trama centrale (ancora in presentazione e definizione) e di quella dei singoli albi.
Ne “Il Secondo Girone” questi elementi si gustano, ci si commuove e ci si diverte, grazie ad una scrittura lineare ma non banale e a tavole che sanno arrivare al lettore.

Un elemento che ho sinceramente apprezzato è il fatto che la trama sembri svilupparsi in modo tutto sommato “classico”, o quantomeno abituale per la serie, per poi, ad un certo punto, in avanti con le pagine, offrire una tempesta emotiva, che sconquassa tutto ciò che il lettore ha acquisito ed anche ipotizzato, sovverte l'indagine che sembra essere al centro della sceneggiatura e scuce e ricuce il tutto per ricostruire la trama stessa, dare spazio ad una ulteriore trama rimasta sottotraccia e poi creare un finale che, per quanto sorprendente ed emozionante, in fondo mantiene una effettiva coerenza fra quanto fin lì proposto, il nuovo sviluppo della storia e quanto di sé aveva proposto all'inizio. Non un mero effetto sorpresa ed un finale a sorpresa, slegato e in fondo vuoto ed autoriferito, ma che pone domande e quesiti che sono l'anima del singolo albo così come della serie.

La Bugs Comics merita un ringraziamento, perché Samuel Stern ci voleva, un personaggio ed una serie con queste caratteristiche che, per quanto debitrice di altri spunti in campo fumettistico, cinematografico e di scrittura, sta acquisendo il suo spazio ed un suo ruolo. 
“Il Secondo Girone” è un'ulteriore dimostrazione di buona scrittura, che sa come giocare ed utilizzare le metafore, le allusioni ed i vari riferimenti che si incontrano. 
Un esempio fra tutti il dato che “bene” e “male” siano, alla fine, due concetti inseparabili, come due gemelle siamesi. Oppure come i freaks, gli emarginati dalla società, i ripudiati, i cosiddetti invisibili ovvero persone reali, come quelle che quotidianamente ci circondano ma che spesso non vogliamo vedere, siano i più esposti al “male”, così che i demoni sembrano andare in secondo piano per mettere in luce proprio i contesti e le situazioni di maggior fragilità, occasione di riflessione su quanto potremmo fare per essere di aiuto a chi ci vive accanto.



lunedì 13 luglio 2020

Citazioni Cinematografiche n.363

Prof. Lumacorno: Ah! Ah! Ma guarda il principe delle pozioni in persona! A cosa devo questo piacere?
Harry: Signore, mi chiedevo se potevo farle una domanda.
Prof. Lumacorno: Chiedi pure caro ragazzo, chiedi pure!
Harry: Vede, l'altro giorno ero in biblioteca nel reparto proibito e mi sono imbattuto in una cosa alquanto strana su un raro pezzo di magia.
Prof. Lumacorno: Sì? E qual era questo raro pezzo di magia?
Harry: Be', non lo so non riesco a ricordare il nome con esattezza, ma mi ha fatto pensare. Esistono alcuni tipi di magia che non vi è concesso insegnarci?
Prof. Lumacorno: Io insegno Pozioni, Harry, credo che sia meglio che tu ponga le tue domande al Professor Piton.
Harry: Ah! Sì... io e lui non la vediamo allo stesso modo, signore..quello che intendo dire è... be' non è come lei, potrebbe fraintendere.
Prof. Lumacorno: Sì... non c'è luce senza oscurità e così è con la magia, personalmente io lotto sempre per vivere nella luce. Ti consiglio di fare altrettanto.
Harry: È questo che ha detto a Tom Riddle, signore, quando è venuto a chiederglielo?

(Prof. Lumacorno/Jim Broadbent e Harry Potter in "Harry Potter e il Principe Mezzosangue", di David Yates - 2009) 



sabato 11 luglio 2020

Saggezza #6

La saggezza non è frutto dell'istruzione ma del tentativo di acquisirla che può durare tutta la vita. 
(Albert Einstein) 





 

giovedì 9 luglio 2020

5 film "contro il caldo"




È infine giunta l'estate, con le sue alte temperature, il sudore, la voglia di bibite fresche e di gelato. Se il ventilatore non basta, se il condizionatore costa troppo e pensi già a quando tornerà il freddo potresti provare ad ingannare un po' il cervello. Prima che faccia definitivamente tilt e l'intero sistema si resetti, mettiti sul divano in mutande, opportunamente fornito di telecomando, bevande rinfrescanti e snack vari.

Cinque titoli di film “sotto zero” ad effetto rinfrescante per provare a superare il trauma dei trenta gradi in casa anche di notte.

Fargo, di Joel Coen ed Ethan Coen (1996)

Frozen – Il Regno di Ghiaccio, di Chris Buck e Jennifer Lee (2013)


La Cosa, di John Carpenter (1982)


30 Giorni di Buio, di David Slade (2007)


The Hateful Eight, di Quentin Tarantino (2016)




Bonus:
La Marcia dei Pinguini, di Luc Jacquet (2005)

Neve Nera, di Martin Hodara (2017)

lunedì 6 luglio 2020

Citazioni Cinematografiche n.362

Il mondo non è diviso tra persone buone e Mangiamorte! Tutti abbiamo sia luce che oscurità dentro di noi. Ma sta sempre a noi scegliere da che parte schierarci. 
(Sirius Black/Gary Oldman in "Harry Potter e l'Ordine della Fenice", di David Yates - 2007)


sabato 4 luglio 2020

Saggezza #5

La saggezza non consiste nel cercare di strappare il bene dal male, ma nell'imparare a "cavalcare" entrambi, proprio come un tappo di sughero si adatta alla cresta e al solco dell'onda. 
(Bruce Lee)



 

giovedì 2 luglio 2020

Fuga per la vittoria (1981)


Risulta molto difficile rendere il gioco del calcio al cinema, sport che può risultare suggestivo e di grande seguito ma molto tecnico e, soprattutto, di squadra. Pressoché impossibile quindi da replicare con un gruppo di attori, che magari sanno recitare (si spera) ma non è detto siano tutti capaci di giocare a calcio a livelli più che buoni, tanto da riuscire a rendere al meglio e superare quella sottile (?) barriera fra finzione e realtà.
Discorso differente per il cinema che si interessi all'atletica, il ciclismo o altri sport dove magari, oltre a potersi concentrare sulle gesta di un singolo, ci si può affidare con maggior agio ad alcuni stratagemmi di ripresa e di montaggio. Così “Momenti di Gloria”, “Rocky” ed una manciata di ulteriori esempi risultano ottimi film sullo sport e con lo sport.

Le difficoltà legate alle specifiche del gioco del calcio hanno fatto sì che ci si potesse esprimere al meglio ed allo stesso tempo rendere giustizia alla bellezza di questo sport nella trasposizione animata degli anime (“Arrivano i Superboys”, “Holly e Benji” su tutti) dove molti limiti potevano essere naturalmente ovviati.

Rimane però una meravigliosa eccezione, un film dove la messa in scena del calcio raggiunge ottimi livelli e rende memorabile il prodotto finale. “Fuga per la vittoria”, che facendo a meno della computer grafica perché datato 1981, ha in fondo più di una caratteristica in comune con i cartoni animati citati. Ovvero, attraverso l'uso del ralenti (in mancanza di replay o VAR) ed un minimo di sospensione dell'incredulità, al momento giusto si dichiara il tradimento del realismo e si estremizzano i gesti tecnico-atletici. Quasi come se, in fin dei conti, la cavalcata di Pelè che scarta tutti con la mano sul petto vada a collocarsi nella memoria accanto alle corse “irresistibili” di Julian Ross (il cardiopatico di Holly e Benji), oppure il tacco di Ardiles faccia il paio con le evoluzioni dei gemelli Derrick.
A ciò si aggiunge la scelta di affidarsi ad un insieme di “veri campioni”, per ovviare al problema dei giocatori/attori e delle difficoltà tecniche, proprie del gioco così come del recitare giocando veramente a calcio. Perciò accanto a Michael Caine e Sylvester Stallone (che calciatori non lo sono neanche lontanamente e si vede!) ed al mai abbastanza lodato Max von Sydow si presentano allo spettatore, oltre ai già citati campioni sudamericani, Bobby Moore, Paul Van Himst, Russell Osman, Kazimierz Deyna e altri ancora.



Trattando di messa in scena urge rilevare come il regista John Huston riesca ad evitare la mera retorica e tutta una serie di cliché figurativi e narrativi, giungendo, quando occorre, nei momenti culminanti del film a mettere la cinepresa, e così il Cinema, al servizio del gioco e dei gesti atletici. Si allarga l’inquadratura, il tempo si dilata e così il ralenti omaggia e trasfigura l'agonismo e la tecnica, con i giocatori che sembrano danzare, a ripetere una splendida ed emozionante coreografia che fa sì che ogni gesto nella sua componente tecnico-atletica si compia, accompagnato da una musica che rimane e permane, ad eternare le immagini.