giovedì 28 febbraio 2013

Giallo, Noir & Thriller/9



Titolo: Sotto la città
Autore: Indridason Arnaldur
Traduttore: Cosimini Silvia
Editore: Guanda – 2005
Il commissario Erlendur, solitario cinquantenne divorziato, alle prese con seri problemi familiari (i figli sono dipendenti da alcol e droga), porta avanti un’indagine che si rivela una vera e propria azione di scavo, alla ricerca di quello che si nasconde sotto una città apparentemente tranquilla come la sua Reykjavík.

Atmosfera desolata e malinconica, resa con stile asciutto ed efficace. La leggera patina di freddo distacco nordico, che avvolge fatti e personaggi, si incrina a poco a poco, in una storia tutto sommato abbastanza semplice da seguire, ma da cui emerge un turbine di emozioni. Emozioni che non travolgono il lettore ma che lo tengono legato alle pagine, dove il passato influenza il presente e dove le colpe di chi non c’è più ricadono sui vivi.

Questo romanzo, come gli altri di Indridason, ha il notevole merito di presentare l’Islanda e gli Islandesi, la loro cultura e quotidianità, la loro storia più o meno recente ed una società molto lontana e per questo soggetta a luoghi comuni e facili schemi. Le storie con protagonista Erlendur sono islandesi, hanno a che fare con Islandesi, si svolgono in Islanda e trattano argomenti attuali nella società islandese. In fondo una delle cose che più apprezzo nei romanzi è quando si rivelano essere dei veicoli culturali, una sorta di invito alla conoscenza di culture e società che non è facile incontrare di persona. In questo romanzo il plusvalore, oltre a quello del thriller in sé, è dato dal fatto che si possono aprire sipari su un aspetto della società descritta, o che fa da sfondo alla narrazione, su un periodo storico o sulla contemporaneità.

Voto: 7,5
Reykjavik in inverno
Vedi anche:


martedì 26 febbraio 2013

Politiche 2013




Per quanto posso aver capito, un quarto abbondante di elettori italiani ha votato così…

L’emigrante lucano di Verdone (guarda caso un comico) però viveva in Germania, per cui poteva permetterselo. Noi in Italia ci stiamo e vorremmo poter vivere e lavorare serenamente, non prendercelo …….!

Un altro grande gruppo di elettori, colpevolmente, continua a considerare vita reale le televendite di pentole e aspirapolvere. Per cui si affida al grande piazzista, acquista prodotti scadenti e crede alle promesse di elettrodomestici a buon mercato, che funzioneranno sempre e non avranno bisogno di manutenzione. Oppure questi elettori hanno un loro tornaconto? E si assicurano di poter scaricare i nefasti effetti delle loro scelte elettorali sugli altri…

Le regole della democrazia!
Io ritengo di rispettarle, ma in genere cerco di essere attento a non farmi manipolare da populismi da accatto e slogan da bar.

lunedì 25 febbraio 2013

Vado al cinema! Ma hai letto il libro?



Vedere un film, magari al cinema, perché si è letto il libro da cui è tratto o che comunque lo ha ispirato. Oppure acquistare un romanzo dopo averne visto la trasposizione cinematografica, oppure ancora, caso mi dicono meno frequente, leggere il libro (o i libri) su cui si basa una serie televisiva di successo. A molti accade questo, io ovviamente rientro nella ipotetica categoria che se ne può individuare!

Può succedere di rimanere delusi dal film, annoiati dal libro, farsi conquistare dall’uno e/o dall’altro, fare paragoni tra i personaggi “di carta” e quelli “veri”, stupirsi per la lentezza di una scrittura o rimanere infastiditi dalla velocità con cui il regista presenta la vicenda, rende banali o addirittura salta intere pagine su cui noi ci siamo soffermati e che ci hanno emozionato o, magari, tenuto in tensione.

Credo che molto spesso quello che avviene, per conto nostro oppure in condivisione con amici, colleghi e familiari, si basi su un potenziale equivoco di fondo. Sovente riteniamo, secondo la mia visione a torto, che sia necessario “rispettare” la sacralità di un’opera letteraria, per così dire “a prescindere”, quasi fosse intoccabile ed immodificabile. Perciò le modifiche che un regista od uno sceneggiatore legittimamente fanno, giacché è il loro mestiere, ci appaiono imperdonabili tradimenti dell’unica e vera originale opera, termine assoluto di paragone di ogni sforzo di adattamento, registico od interpretativo.

Non so esattamente da dove derivi tale atteggiamento, ma noto che anche di fronte a film molto ben riusciti, diretti con buone capacità e sceneggiati con ottimi risultati, si sente pronunciare frasi come “ma il libro è un’altra cosa!”, “il libro è più bello”, “ma hai letto il libro? non c’è paragone” e così via. Temo ci sia ancora uno zoccolo duro di atteggiamento radical chic (Tom Wolfe docet), per cui fa più “figo” dire di preferire il libro al film, sostenere che l’opera letteraria è superiore a quella cinematografica, quantomeno perché si ritiene, non del tutto a ragione, che leggere sia maggiormente qualificante che andare al cinema o vedere film in televisione su canali liberi (caso diverso il videonoleggio o le visioni pay per view, poiché assumono altra veste, tipiche soluzioni giudicate più di prestigio).

A ciò si potrebbe aggiungere che non si è sicuri che chi dice di aver letto il libro da cui è tratto “La solitudine dei numeri primi” lo abbia effettivamente letto, tantomeno abbiamo la certezza che il nostro ipotetico interlocutore abbia una diretta ed autentica conoscenza de “I Miserabili” o di “Anna Karenina”, dei quali per farsi un’idea, anche solo superficiale e sufficiente per sostenere una breve conversazione dietro uno spritz od un campari soda, basta farsi un giro su Wikipedia (sempre lodata!).

Altro elemento a mio avviso degno di riflessione è il fatto che alcuni personaggi, i quali ahimè ogni tanto incontravo e frequentavo prima che la paternità mi costringesse a forzata ed imperitura clausura, sembra riescano a leggere e vedere tutto quello che viene prodotto e presentato nel poliedrico e variegato mondo della Letteratura e del Cinema, o almeno quello che viene ritenuto degno di entrare a far parte della moda e degli usi e costumi del momento. Ma dove lo trovano il tempo, impegnati come sono a bere aperitivi, andare in palestra, consumare pranzi e cene “di lavoro”, frequentare club e discoteche, ritornare in palestra, farsi una lampada, andare al centro estetico, passare dal parrucchiere, correre lungo il parco, scaricare applicazioni per iPhone, iPod, iPad, iChitammuerte? O dicono cazzate a ripetizione o si procurano utili “bignami” di letteratura e cinema, cibandosi e riempiendo l’ambiente di luoghi comuni, qualunquismi da accatto e “riflessioni” da cappuccino alla macchinetta. O di fatto fanno finta di lavorare e passano intere giornate a guardare siti e film sul computer dell’ufficio?

Ma sto un po’ divagando e torno al tema centrale: ritengo che romanzi/libri e film siano opere da tenersi distinte, quantomeno per poterne godere in modo autonomo e libero da condizionamenti ed influenze. Personalmente ho visto autentici capolavori tratti da romanzi appena carini, quando non addirittura mediocri, viceversa alcuni registi hanno prodotto schifezze da opere letterarie veramente notevoli, siano esse classici, opere moderne o capolavori riconosciuti.

Stanley Kubrick, con assoluta libertà, grande intelligenza e sublime tecnica, ci ha proposto buoni film da grandi romanzi (Eyes Wide Shut da Doppio sogno di Schnitzler), grandi film da buoni romanzi (Arancia meccanica dall’omonimo di Anthony Burgess), ottimi film da romanzi passabili (Barry Lindon da Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray), film straordinari da libri trascurabili (Shining dall’omonimo libro di Stephen King).

Ci sono anche registi che con il loro lavoro hanno fatto scoprire o riscoprire autori poco letti ed opere trascurate, cosa senza dubbio meritoria. Ricordo, giusto per fare alcuni esempi, “Il pranzo di Babette”, sceneggiato e diretto da Gabriel Axel, tratto dall'omonimo racconto di Karen Blixen (con meritato Oscar al miglior film straniero), oppure “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, di Miloš Forman che mi ha fatto leggere ed apprezzare il romanzo omonimo di Ken Kesey. Oppure c’è la possibilità di  ispirarsi al romanzo di Joseph Conrad “Cuore Di Tenebra“, spostando l’azione dal Congo di fine Ottocento agli anni Sessanta in Vietnam, come ha fatto Francis Ford Coppola con quel grandissimo capolavoro di “Apocalypse Now”.

Da libri apprezzabili e di successo sono stati tratti film francamente evitabili, girati probabilmente per sfruttare l’onda emotiva e positiva generata dalle opere letterarie, come ad esempio “Il Cacciatore di aquiloni” o “Il Senso di Smilla per la neve”. Altri hanno imboccato, con pessimi risultati, la via del remake di ottimi film tratti da romanzi, ne sa qualcosa Adrian Lyne con il suo “Lolita”, dove un non del tutto incolpevole Jeremy Irons recita nel ruolo che fu di un ammirevole James Mason, oppure ricordo il mediocre “Sabrina” di Sydney Pollack, mal interpretato da Harrison Ford, Julia Ormond e Greg Kinnear, remake dell'omonimo film del 1954 di Billy Wilder, con Audrey Hepburn, Humphrey Bogart e William Holden, basato sull’opera teatrale di Samuel A. Taylor.

Ci sono poi i casi di autori letteralmente saccheggiati, che possono vantare di aver ispirato un numero elevato di pellicole. Un nome? Elmore Leonard! Praticamente un libro su tre di quelli che ha scritto ha dato origine ad un film. Chiedete a Soderbergh (Out of Sight), a Tarantino (Jackie Brown), oppure a Barry Sonnenfeld (Get Shorty) o a F. Gary Gray (Be Cool), solo per i più recenti. In alcuni ha contribuito alla sceneggiatura.

Naturalmente, purtroppo, accade anche che da romanzi mediocri vengano prodotti film addirittura peggiori. Se vi volete male leggete e poi vedete “Treno di Panna”, scritto e diretto da Andrea De Carlo, oppure la recentissima Twilight Saga.

Tutto questo per sostenere che se tenessimo distinti, consapevolmente e con adeguato rispetto per noi stessi e gli autori, film e libri, probabilmente potremmo godere di più di visioni e letture. Le quali, guarda caso, sono distinte, proprio come le stimolazioni che originano, ovvero un film, generalmente, va guardato ed ascoltato, mentre un romanzo, di solito, va letto, con buona pace di sinestesie varie e trascurando chi vede i suoni e ascolta i colori (magari con il sostegno di sostanze e prodotti lisergici o similari). Viene da sé quindi che la resa è giocoforza diversa, e gli autori molto spesso ne sono consapevoli, per cui un regista che pretenda di seguire passo a passo un romanzo rischia di produrre un prodotto quantomeno pesante, se non una immane boiata, mentre uno scrittore su alcune “pesantezze” potrebbe costruirci le proprie fortune. Il lettore sia libero, tanto quanto lo sia lo spettatore, indipendentemente da ciò che ognuno sia stato prima (lettore o spettatore ovvero).

Rendere in azione, far vedere ed ascoltare, un dialogo od una situazione richiede un lavoro intenso, per tanti motivi, non ultimo le diverse esigenze del “consumatore” e le distinte “situazioni di consumo” di un prodotto. Per cui ritengo non si debba porre troppo il problema del “tradimento” di un romanzo, che se diviene oggetto di una sceneggiatura subirà inevitabilmente una netta modifica e verrà sottoposto ad un processo che potrebbe anche nettamente trasformarlo. A volte anche con ottimi risultati! Ci sono anche casi di scrittori che divengono sceneggiatori delle proprie opere per il Cinema.

Concludo ricordando una personale esperienza, che risale al lungo e travagliato periodo delle scuole superiori. In quegli anni la RAI trasmise “I Promessi Sposi”, sceneggiato televisivo con la regia di Salvatore Nocita. Rammento che ci furono polemiche varie ed articolate riguardo alla resa delle pagine manzoniane, con alcune accuse di “tradimento” e “sconsacrazione” dell’opera letteraria. Ebbene regista e sceneggiatori si presero diverse libertà, alcune un po’ al limite, per così dire, ma lo scopo di rendere accessibile ad un vasto pubblico il capolavoro di Manzoni era raggiunto, anche grazie a qualche soluzione estrosa che andava incontro ai gusti ed alle abitudini degli spettatori televisivi, che magari avevano una conoscenza giocoforza mediata e forse poco approfondita dell’opera.

Per cui i Bravi ritratti come fossero cow boys ed il don Abbondio di Sordi un po’ macchiettistico rientravano, a mio avviso, in una modalità di resa che raggiungesse un pubblico vasto. Gli eventuali punti deboli erano, in realtà, la mediocre recitazione dei due attori che impersonavano gli innamorati divisi, qualche personaggio fuori ruolo e la sceneggiatura in alcuni passaggi troppo ingessata, quando non stucchevole e pesante. Insomma un film, o in quest’ultimo caso uno sceneggiato (ora però si preferisce il termine “fiction” con evidente scadimento non solo artistico ma anche linguistico), può essere brutto indipendentemente dalla fedeltà al testo originale, così come da un libro “dimenticabile” o anonimo può nascere un film più che dignitoso, godibile o addirittura un capolavoro.
 Vedi anche:

 

domenica 24 febbraio 2013

Il Capo del Governo



Il capo del Governo si macchiò ripetutamente durante la sua carriera di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt'al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po' ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuol rappresentare".
Elsa Morante


Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a Mussolini...


sabato 23 febbraio 2013

Non lasciarmi


Faro al Circeo - Ph. Giulia Cagnani
Ed io, in quei mesi appena usciti dall’adolescenza dei numeri, ho provato a trattenere una ragazza con i versi di Jacques Brel. Purtroppo “Ne me quitte pas” doveva essere la scelta sbagliata…

Ma io sono ancora pronto ad offrire perle di pioggia raccolte da posti dove non piove mai;
aprirei la terrà giù fino nel fondo per coprirla d'oro, d'oro e di luce
e portarla dove non c'è più quello che cercava e quello che voleva.

Io in quegli anni di mezzo non sono riuscito a trattenermi presso lei, che con il cuore che doleva il petto mi sorrideva con occhi di luce e di meraviglia.

Ma ora mi pento di aver risparmiato parole, pazze, che avrebbe capito.
Mi maledico di non averle raccontato dei due amanti che già avevano visto, due volte, il fuoco e di quel re, morto per non averla vista mai.

Perché il fuoco rinasce a rivedere il suo viso.

Non c’è un vulcano spento, ma un uomo, che ha abbandonato i vecchi giochi di amante bambino, con la coscienza della fortuna avuta e, mai, pienamente goduta o meritata.

Non piango più: decido di nascondermi per non alzare il velo, per mantenere il ricordo dove è conveniente che sia.

La guarderò, mentre ballerà quel valzer con le mascelle serrate e la ascolterò ridere.

(Adriano Brandolini, in debito con Jacques Brel e Leonard Cohen)




martedì 19 febbraio 2013

Il valore di un'assenza



Dovevo sapere che Mike se ne sarebbe andato. Esattamente come sapevo che Ranger era vecchio e che prima o poi sarebbe morto. L’assenza futura la accettavo – solo che non avevo idea, finchè Mike non scomparve, di come potesse essere un’assenza. Di come il mio intero territorio si sarebbe modificato, come se una frana ci si fosse riversata sopra facendo piazza pulita di ogni significato tranne che della perdita di Mike. Non riuscii più a guardare il sasso bianco della passerella senza pensare a lui, perciò sviluppai un senso di avversione per quella pietra. Provai la stessa cosa anche per il ramo dell’acero, e quando mio padre lo tagliò dicendo che era troppo vicino a casa, trasferii l’avversione sulla cicatrice rimasta nel tronco.

I must have known that Mike would be leaving. Just as I knew that Ranger was old and that he would soon die. Future absence I accepted – it was just I had no idea, till Mike disappered, of what absence could be like. How all my own territory would be altered, as if a landslide has gone through it and skimmed off all meaning except loss of Mike. I could never again look at the white stone in the gangway without thinking of him, and so I got feeling of aversion towards it. I had that feeling also about the limb of the maple tree, and when my father cut it off because it was too near the house, I had it about the scar that was left.

(Alice Munro – Ortiche, tratto da Nemico, amico, amante... – trad. Susanna Basso)

Mia Wasikowska e Henry Hopper in "L'amore che resta" di Gus Van Sant

domenica 17 febbraio 2013

I Giorni di Festa

Julie Delpy in "Film Bianco" di Krzysztof Kieślowski

“…
e c’eri già tu / con le scarpine bianche /
col sorriso che accendeva i tuoi occhi / e bruciava il mio cuore / e c’eri già tu / che
profumavi al sole / con la gioia di chi guarda ogni sera / il giorno che muore //
favola sembra una favola / non si direbbe ma è proprio così / nuvole su nelle nuvole / per
prendere il sole / e portarlo qui / stringimi stringimi forte / poco m’importa di quello
che sei / in fondo ci son tante cose / che forse non vanno poi come vorrei //
…”

( I Giorni di Festa - Pasquale Ziccardi /Musica Nuda)



Vedi anche "Vieni Notte Scura"

venerdì 15 febbraio 2013

Giallo, Noir & Thriller/8



Titolo: Il quarto complice
Autore: Dahl Kjell Ola
Traduttore: Paterniti Giovanna
Editore: Marsilio – 2010

Parte iniziale, prime pagine, da sceneggiatura cinematografica! L’incontro ed il successivo, non banale, innamoramento tra la ladra ed il poliziotto.

Lei, Elisabeth, è bellissima e pericolosa, quantomeno per le frequentazioni, le parentele ed il suo recente passato. Lui, il già noto Frank Frǿlich, è qui ben presentato e tratteggiato, anche nella sua ossessione amorosa, e si trova ad essere protagonista di questo romanzo, accanto alla seducente ladra dagli occhi blu.

La forza non è tanto nella trama, per quanto coinvolgente e soddisfacente, con diverse morti ed indagini ben descritte, dialoghi ora svelti, ora meditativi quanto occorre, quanto nei personaggi, veramente intriganti e vivaci, che arricchiscono la scena e le vicende. Persino i personaggi secondari si fanno apprezzare e ci donano momenti apprezzabili e godibili, aumentando l’interesse ed il coinvolgimento del lettore. Inoltre per chi, come me, ha letto anche i romanzi precedenti della serie, sarà probabilmente felice di ricevere maggiori informazioni sul commissario capo Gunnarstranda, qui maggiormente descritto e “raccontato”, con maggior attenzione, forse anche perché meno in prima fila durante le indagini. Infatti è il buon Frǿlich a farla da padrone, anche se non si può non rimanere irretiti dalla “femme fatale” Elisabeth. Lei è donna ambigua, sfuggente, conturbante, misteriosa, quasi una figura mitica che alla fine scompare, lasciandoci, come Frǿlich per l’appunto, orfani di lei ed irrimediabilmente turbati. I protagonisti e tutta una serie di altri personaggi (ladri più o meno fortunati, spogliarelliste ciniche, uomini d’affari corrotti) ci offrono una versione contemporanea del classico hard-boiled, pur con qualche passaggio lento ed una parte centrale meno brillante dello sfolgorante inizio.

Voto: 8
Kjell Ola Dahl
 Vedi anche:

mercoledì 13 febbraio 2013

Il treno è passato?


"I treni sono sempre in ritardo..." Ph. Valebrando

- Ormai il treno è passato!
-         Sei sicuro?
-         Sì.
-         Lo hai visto passare?
-         Di sfuggita…
-         Andava veloce?
-         Ero io che andavo lento.
-         Ed ora?
-         Ora posso solo sperare che il mio biglietto sia ancora valido e che il treno ripassi di qui.
-         Per te?
-         Mi accontenterei che ripassasse…
-         Saresti più veloce?
      -      Forse…

(Adriano Brandolini) 

 I Treni di Tozeur - Alice e Franco Battiato

lunedì 11 febbraio 2013

Essere Padre! Ogni giorno ed ogni notte...



È veramente emozionante diventare padre, prendersi cura dei propri figli, dare e ricevere amore, vivere ogni giorno la paternità... a volte il problema è la notte!!

by Chris "Roy" Taylor

 

sabato 9 febbraio 2013

Campagna elettorale e Luoghi comuni


by Sergio Staino

Siamo in campagna elettorale, lo so, anche se quel “siamo” un po’ mi disturba, poiché direttamente e propriamente sono in campagna elettorale i politici, non quelli che, come me, ne subiscono le nefaste ed irritanti conseguenze.

I candidati quindi fanno a gara a chi le spara più grosse (promesse, previsioni, bugie, immani stupidaggini?), perciò nessun politico che voglia recitare al meglio la sua parte può esimersi da dichiarazioni atte a “creare movimento”, a “smuovere le acque”, nessun aspirante deputato o senatore può evitare di pronunciare qualche frase a beneficio della platea, qualche volta lanciandosi in comunicazioni shock, “ad effetto”. In qualche perverso modo, fa parte del gioco che questi signori e queste signore giocano, e che viene alimentato anche da chi, in buona fede, crede ancora nel valore della politica, riconosce la superiorità dei principi costituzionali, sostiene il valore dell’impegno in prima persona.

Ebbene hanno un loro valore, ed evidentemente un’intrinseca utilità, anche i più beceri e ritriti luoghi comuni. Tra questi, uno che ancora grida vendetta al cospetto di divinità e genti di ogni luogo, c’è quello per cui “il fascismo ha fatto anche tante cose buone”. Ma come è possibile che ancora non si ridicolizzi e smentisca chiunque pronunci tale stucchevole luogo comune, peraltro non supportato da dati ed elementi validi?

È oltraggioso, quantomeno un insulto all’intelligenza ed alla Storia!

Sono consapevole che sul fascismo i luoghi comuni abbondano, soprattutto in versioni e sfumature consolatorie e riduzioniste, quasi giustificatorie se non, orrore!, negazioniste. Pertanto Lui “non uccideva gli oppositori, bensì li mandava in vacanza”, le leggi razziali sono state promulgate ma non ci credeva nessuno (ma epurati e deportati ci sono stati!) e tutto finisce al canto di “italiani brava gente”.

E allora vai col valzer di “si stava meglio quando si stava peggio”, “i treni arrivavano in orario”, “si poteva dormire con le porte aperte” (ricordiamo il romanzo di Leonardo Sciascia), “non c’era disoccupazione” e così via. Non contano i fatti, i dati, le analisi, i rendiconti, le testimonianze. Si procede così, fra stupidità, messaggi all’ultradestra, qualunquismo, nostalgia ed evidente e conclamata apologia di fascismo (peraltro un reato previsto nelle “Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale”, comma primo, della Costituzione Italiana).

Michaela Biancofiore
Tra gli ultimi casi, come apprendo da sentierinterrotti.wordpress.com, una candidata del PDL, Michaela Biancofiore che, evidentemente galvanizzata dalle recenti esternazioni in tema del proprio leader e mentore, cita tra le cose buone fatte dal fascismo, i gabinetti domestici e addirittura le autostrade. Sì, persino le autostrade, a dispetto del fatto che la prima autostrada italiana, quella “del Sole”, sia stata realizzata tra il 1956 e il 1964, mentre quella che le dovrebbe essere più familiare, ovvero quella del Brennero (lei è di Bolzano, ma eletta in Campania),  risale ai primi anni Settanta, ovvero quando la stessa Biancofiore era una bambina.

Varrebbe ora qualcosa questa “anagrafe” delle autostrade? Qualcuno risponderebbe con una pernacchia alla citata esternazione della poco informata candidata del sedicente centrodestra? Non si tratta solo di spudorate menzogne, giacché da quelle parti ne sparano a raffica, ma rifletto sul fatto che i luoghi comuni, specie in tema di fascismo, prosciugano anche una parte di verità, in particolare se estratta dal proprio contesto. Nel caso specifico delle affermazioni della Biancofiore abbiamo così a che fare con menzogne credute vere da tanti, in modo talmente tenace da resistere a qualsiasi tentativo di confutazione! Servirebbe a poco, insomma, cimentarsi in una puntuale opera di correzione, magari per sentirsi confinare nel ruolo di insopportabili e pedanti secchioni, pronti a precisare e puntualizzare. Ciò che però non può, nuovamente, passare è che sprofondiamo nella melma e qualcuno si diverte a farci sguazzare gli italiani.

Falsità, menzogne, luoghi comuni e spiritosaggini varie che, con rivoltante retorica e disprezzo della Storia, vogliono relativizzare o misconoscere una tragica stagione di barbarie politica e distruzione dei principi democratici e civili.

Vedi anche: 

venerdì 8 febbraio 2013

Propongo di vedere alcune commedie!



Le commedie, se ben girate e dirette, con interpreti ben assortiti, dotate della giusta dose di intelligenza e a volte di sarcasmo opportunamente elargito ed indirizzato, possono essere un vero toccasana ed un temporaneo rimedio (lo spazio di una sera e magari la mattina dopo) a questi tempi deprimenti ed ingiusti (il lavoro mal pagato, l’amore che zoppica, vicini di casa volgari ed ignoranti, capiufficio incompetenti ed arroganti, i peggiori che avanzano mentre voi rimanete al palo, la birra calda e così via).

Quelli che seguono sono titoli che suggerisco, anche a me stesso, per cercare di “vedere meno grigio”. Film tutto sommato recenti, probabilmente non le uniche buone commedie proposte negli ultimi anni, ma che meritano di essere viste anche solo per godere della loro ironia, della brillante intelligenza, di un certo gusto dolce-amaro.

500 Giorni Insieme (2009)
Il regista Marc Webb ci racconta la travagliata storia d’amore dell’architetto mancato Sam e dell’assistente Sole (Summer nell’originale), attraverso alcuni dei momenti più significativi dei 500 giorni passati insieme. Il film utilizza una struttura frammentata, va avanti e indietro nel tempo, associando momenti felici e quelli più tristi, con un certo eccesso di musiche da videoclip, comunque divertenti, ed un fiorire di dialoghi brillanti. 

Joseph Gordon-Levitt e Zooey Deschanel
Non una storia d'amore classica, poiché viene ribaltato lo stereotipo delle relazioni sentimentali: qui è lei, una Zooey Deschanel conturbante nei suoi abiti vintage, a non volere impegnarsi in un rapporto stabile, mentre lui, l’innamoratissimo Joseph Gordon-Levitt, vorrebbe qualcosa di più.

 
Zooey Deschanel
Sceneggiatura ben scritta, un tocco leggero, buona fotografia (il passaggio dal bianco e nero al colore seguendo l’umore di lui è mossa astuta), inserti animati, split screen (alcuni veramente godibili), tante citazioni cinefile divertenti, ci fanno perdonare quella frammentarietà narrativa che potrebbe rendere pesante la visione.

Juno (2007)
L'adolescente Juno è rimasta incinta del suo amico, da sempre innamorato di lei, Paulie. Dopo aver considerato e poi escluso l’aborto, la ragazza decide di cercare una coppia a cui affidare il bambino. Il capace Jason Reitman dirige una commedia che ricorda riuscite strisce a fumetti, sviluppate intorno ad un tema centrale. Interpreti bravi e simpatici, su tutti la protagonista Ellen Page, sceneggiatura frizzante e briosa, merito di un vero e proprio “personaggio” come Diablo Cody che meriterebbe un discorso a parte, dialoghi strepitosi (forse un po’ da MTV, ma quella migliore) e fresco e malizioso senso dell'umorismo.



Ellen Page e Michael Cera
Buone scelte narrative, intelligenza nel dosare le varie componenti del film, opportune e sempre (a me) gradite citazioni, accattivante colonna sonora fanno di questo film una chicca da non perdere. Ultima annotazione: ho letto che viene considerato un film anti aborto, secondo me è invece un omaggio all’indipendenza ed all’autodeterminazione delle ragazze, da utilizzare con cognizione e con i piedi per terra. Lo slogan promozionale era: “Meglio non avere fretta di diventare grandi”, in originale “A comedy about growing up... and the bumps along the way”.

Little Miss Sunshine (2006)
Il duo Jonathan Dayton e Valerie Faris propone la tragicomica avventura della famiglia Hoover, salita a bordo di un pulmino Volkswagen per accompagnare la piccola Olive, di 7 anni, al concorso di bellezza “Little Miss Sunshine”. Personaggi bizzarri ed improbabili che si rendono protagonisti di un viaggio che, come troppo spesso ci viene presentato, assumerà una funzione terapeutica e liberatoria. Quasi a sorpresa siamo di fronte ad una commedia cinica, farsesca e sfrontata quanto basta, che perde di ritmo verso la fine, ma con una regia solida, che si fa vedere e godere per la bravura degli interpreti, eterogenei ma che insieme funzionano e con una protagonista troppo simpatica!


 
La famiglia in missione!


Abigail Kathleen Breslin, la piccola Olive


Qui "al naturale" in "La custode di mia sorella"