lunedì 31 dicembre 2012

Drive (2011)



Noir certamente anomalo, capace di far convivere due istanze e relativi temi: fenomenali scene d’inseguimento ed efferata violenza. In entrambe la bravura del regista Nicolas Winding Refn è palpabile. A tratti così perfetta è la resa di alcune scene da sfiorare il manierismo (oltre agli inseguimenti, tra le altre, da ricordare “la” scena in ascensore e la “gita al fiume” del protagonista).

Drive è una pellicola di gran classe, da seguire tutta d’un fiato. Merito di un interprete, Ryan Gosling, veramente in gran forma ed accattivante, di un'attrice brava e intensa, Carey Mulligan, di un’abile sceneggiatura e di una colonna sonora da brividi.

La prima parte è straordinaria e a tratti spiazzante, con elementi registici e di sceneggiatura eterogenei ma che si fondono per un ottimo risultato; la seconda si basa su cruda violenza ed una velocità espositiva richiamata dalle corse in cui sono impegnate le auto, ma quasi contraddetta da dialoghi asciutti, prolungati silenzi, rallentamenti e cambi repentini, questi sottolineati da abili scatti temporali. Forse il limite è proprio in queste due facce e nella violenza presentata, a mio modo di vedere impropriamente da molti paragonata a quella tarantiniana. Io ci vedo più di un richiamo a Kitano ed ai suoi noir metropolitani, ma con meno senso ironico ed una strizzata d’occhio al miglior Lynch. Il regista comunque mantiene saldamente il timone, conferendo al film una certa forza e coerenza.

Elementi metanarrativi e richiami confinanti con il citazionismo potrebbero disturbare i puristi e i più sensibili, che però non possono non concordare sull’apprezzare il modo soffuso e ammantato in cui Refn  avvolge quella che, di fatto, nella prima parte in particolare, è una storia d'amore, anzi un melodramma. Grande capacità di gestire le scene, lo spazio, i silenzi e le sequenze rendono il film un’opera da vedere assolutamente.

Ryan Gosling
Da sottolineare la performance del protagonista, un Ryan Goslin che potrebbe competere con la fissità mitica di Clint Eastwood, anzi è possibile che Refn abbia voluto stuzzicare lo spettatore con questo suggestivo, quasi impossibile paragone, poiché mette uno stuzzicadenti dal sapore western all’angolo della bocca di Goslin.

il regista Nicolas Winding Refn e Ryan Gosling sul set
 Voto: 8,5
Carey Mulligan


sabato 29 dicembre 2012

L'importanza di essere impegnati a non fare nulla



A molti di quelli che hanno frequentato l’università fuori sede è capitato di condividere spazi, ambienti e ore con personaggi tanto bizzarri e vari da meritarsi un posto in un bestiario medievale. Ciò generalmente accade all’interno di appartamenti di proprietà di individui con dubbie doti etico-morali, ma di comprovata abilità nel mettere insieme studenti dai più disparati e tra loro distanti luoghi di provenienza, con caratteristiche e retroterra culturali a dir poco eterogenei. Inoltre il dubbio che mi permane da allora è se ciò fosse causato dal mero obiettivo di riempire il più possibile, e nel minor tempo ipotizzabile, vecchie cantine, garage riadattati, buchi umidi e fatiscenti, porzioni di bilocali e bui sottoscala che venivano battezzati appartamenti, oppure da sincera passione per il metodo sperimentale (tipo: dati i soggetti A, B, C e D, creiamo le condizioni per una loro reciproca interazione in questo spazio circoscritto e vediamo cosa succede). Ciò varrebbe, a grandi linee, anche per Collegi, Studentati o altre forme di residenzialità direttamente gestite dagli Enti per il Diritto allo Studio Universitario, ma è un altro campo e soprattutto non voglio crearmi ulteriori potenti nemici.

Al sottoscritto capitò di essere compagno di camera di un “ragazzo”, studente professionista di lungo (fuori) corso, sulle cui peculiarità al momento non mi dilungo, ma che saranno evidenti a chi avrà la bontà di continuare a leggere.

Ero al primo anno, per cui permanevano in me quelli che, in caso di vita universitaria, possiamo definire desueti ed inopportuni retaggi ancestrali di routine quotidiane, impegno e responsabilità, oltre ad una certa quota di educazione e  “buona creanza” (instillatami a massicce e continue dosi di sberle da mia nonna).

Una delle prime mattine della mia nuova vita di studente universitario mi alzai dal letto, alle 8, e mi avviai verso la piccola cucina (dopo aver espletato una delle funzioni base della fisiologia umana) e mi misi a leggere le notizie sul Televideo. Dopo una manciata di minuti mi raggiunse il mio compagno di camera, che avevo incrociato per pochi istanti la sera prima.

(qualche secondo in cui il suo sguardo passa, con metodo e studiata lentezza, dalla mia figura alla Tv e viceversa)…

Lui: m'hai a scusari, ma nai nenti che fari?
Io: scusa?
Lui: non hai niente da fare?
Io: perchè?
Lui: pirchì ti alzasti!
Io:
Lui: ti sei alzato ed ora leggi a ‘sti cose.
Io: le notizie?
Lui: miih, ma sempre domande fai? non hai niente da fare, guardi cosa sta scritto alla Tv.

In quel momento lasciai perdere qualsiasi tentativo di chiarificazione reciproca e cambiai discorso. Nei giorni successivi la domanda ma nai nenti che fari/non hai niente da fare?”, con diverse sfumature, mi venne rivolta a più riprese; mentre leggevo un giornale, scrivevo una lettera, preparavo il caffè (ce n’è magari ppi mmia? veniva aggiunto), provavo a studiare, uscivo per andare a lezione o a fare la spesa. Insomma, qualsiasi cosa facessi, ai suoi occhi ero un perditempo, uno scansafatiche, uno che non aveva niente da fare.

A questo punto è legittimo pensare che lui fosse indaffaratissimo e sempre impegnato, a tal punto da considerare me uno che se la può prendere comoda e fare cose che, per individui come lui, sarebbero un lusso ed inutile spreco di tempo prezioso, tipo lavarsi i denti o farsi una doccia, andare al cinema o all’edicola. Poi magari capitava di entrare in un bar per un cappuccino e me lo ritrovavo lì, “Mih, ma sempre qua sei? Ma com’è che non hai mai niente che fare tu, ah?”, oppure andare in cucina per guardare la Tv ed era lì con un amico, “Talìa, arrivuò o accucchia bruodu” (guarda, è arrivato chi non fa niente).

La cosa aveva cominciato ad assumere toni grotteschi, in qualche caso mi sentivo veramente fuori posto quando non propriamente “sbagliato”. Specialmente quella volta in cui, avendo accettato un suo invito ad uscire insieme per una serata, mi sono ritrovato a fronteggiare non solo i suoi “rimproveri”, ma anche quelli di un suo degno collega, venendo così ad essere totalmente esposto ad un vero e proprio fuoco di fila. Descrivo in sintesi cosa accadde: dopo aver pagato una cifra non esattamente modesta accediamo ad un locale, non propriamente una discoteca, ma un luogo piacevole in cui bere una birra o altra bevanda, scambiare qualche parola ed eventualmente ballare. Io, dopo poco, commisi l’imperdonabile errore di dedicarmi a quest’ultima attività. “Talìa, talìa, guarda che fa” comincia lui additandomi pubblicamente, “Me pare 'o nonno mijo" incalza l’altro dandogli di gomito. Fatto sta che, nel giro di pochi minuti, sembravo divenuto la principale attrazione per un nutrito gruppo di soggetti maschili, in gran parte iscritti, da immemorabile tempo, alle più diverse facoltà presenti nell’Ateneo che aveva avuto la compiacenza di accogliermi tra i suoi studenti.

Ricordo che provai a chiedere spiegazioni al riguardo, per sentirmi rispondere (interpreto e rielaboro le frasi pronunciate) che era da ritenersi socialmente sconveniente, non consono, andare in un locale e ballare, bere una birra seduti ad un tavolo e divertirsi. Si va in un locale pubblico, alla sera, essenzialmente per assolvere due funzioni che nulla hanno a che vedere con il divertirsi: vestirsi «bene», (cioè con addosso abiti che riportino ben in evidenza firma e marchio giusto) e «farsi vedere» e «vedere chi c’è». Se balli o anche solo provi a svagarti, a stare bene, a vivere, sei un tipo strano, non “à la page”, di fatto un truzzo, un coatto, un tamarro, uno sfigato e così via spaziando per le varie regioni italiane.
Attribuii tale personale inadeguatezza al riguardo al mio retroterra provinciale, che mi impediva di comprendere come funzionavano le cose al di fuori dei ristretti ambiti geografico-culturali in cui fino a quel momento mi ero mosso. Ma, come ebbi modo di scoprire qualche tempo dopo, la questione era un’altra: per il mio compagno di camera, evidentemente dotato di grande ego, un’inattaccabile sicurezza di sé oltre che di una immensa “faccia come il c..o”, era solo lui ad impegnarsi in qualcosa di veramente valido e per cui valesse la pena investire le proprie energie. Gli altri, da me al Magnifico Rettore, passando per impiegati comunali, autisti dell’autobus, commesse del supermercato e negozianti vari, non avevano mai niente da fare e non capivano niente. 

Ciò valeva sempre, anche per attività per così dire socialmente previste e diffuse ed universalmente accettate e consentite; ad esempio dopo aver finito di lavorare od essere uscito da lezione fai una passeggiata? sei un babbazzu (sciocco) oppure non hai niente che fare. Ti piace collezionare monete o francobolli? Sei un folle malato oppure non hai niente che fare. Leggi libri? Sei jarrùsu/puppo (effeminato o peggio) oppure non hai niente che fare. Scrivi su un blog? Sei uno scimunito e di sicuro non hai niente che fare.
Solo chi non ha niente da fare può pensare di andare in palestra, in piscina, ascoltare musica, cucinare un arrosto, acquistare un libro, noleggiare un film che non sia dei Vanzina o andare a teatro. Le sue giornate erano troppo piene perché si potesse dedicare a qualcosa del genere, ma considerando bene tutto l’insieme, soprattutto osservandolo con attenzione, avevo capito che in realtà lui non faceva mai una minchia! (non credo sia necessario tradurre). Escludendo il rompere i cabbasisi (capperi) al sottoscritto e poco altro.
Quando mi decisi a metterlo di fronte a questa realtà e vendicarmi di mesi di ingiurie, volendo inoltre godermi il momento in cui avrei effettuato un colpo di mano ribaltando così la situazione, mi sentii rispondere: A megghia parola è chidda ca nun si dici (letteralmente: La migliore parola è quella che non viene pronunciata; ossia: faresti meglio a stare zitto e farti gli affari tuoi).

A quel punto mi era chiaro che l’essenza del suo essere era riassumibile nel porsi come individuo impegnato, talmente oberato di responsabilità ed incombenze, che nessun soggetto “normale” avrebbe mai potuto comprenderne la condizione. Come mi suggerì un suo valido sodale nel corso di quel primo indimenticabile anno accademico “io tenevo 'a capa fresca” (non avevo nient’altro a cui pensare), per cui potevo dedicarmi a frivolezze varie (tra cui sostenere esami) e avrei dovuto capire come funzionavano le cose, motivo per il quale venivo stimolato con un “Ma che staje facenno? 'O ppane?”(cosa aspetti/perché perdi tempo?). Cosa mai avrei potuto ribattere? Comunque all’inizio dell’estate salutai colui con cui avevo condiviso la stanza e mi trasferii in un altro appartamento con altri studenti, certo che lui pensasse che i muratori bergamaschi sia gente che se la mena tutto il giorno e che a Wall Street non si combini nulla tutto il santo giorno.

Recentemente mi è capitato di “incontrarlo” in una chat. Ho scoperto che ha vinto un concorso pubblico nella città in cui ci siamo conosciuti ed in cui avremmo dovuto laurearci, che alle 10.30 di un giorno feriale, al lavoro, aveva appena fatto colazione e preso un caffè, che alle 12.00 sarebbe uscito per andare a prendere i “carusi a scola” e che aveva poco tempo per chattare perché lui non è come me, ovvero «Mih, ma sempre qua sei? Ma com’è che non hai mai niente che fare tu, ah?».

Apecar/Lapa decorata come un carretto siciliano

giovedì 27 dicembre 2012

Giallo, Noir & Thriller/5



Titolo: L' uomo in vetrina
Autore: Dahl Kjell Ola
Traduttore: Paterniti Giovanna
Editore: Marsilio - 2008

Tutti i personaggi non sono proprio come sembra che siano, nascondono qualcosa, sono convinti che gli altri non sappiano cose su di loro che invece sono ben note. I due protagonisti, la coppia che indaga, il commissario capo Gunnarstranda ed il suo assistente Frǿlich, sono tutt'altro che figure statiche ed immobili, presentano invece una loro personale evoluzione.

Questi elementi basterebbero già da soli a giustificare e consigliare la lettura di questo libro, ma, fortunatamente c'è dell'altro, c'è di più. Un complesso intreccio, ben costruito attorno ad un personaggio da cui partono varie tematiche e spunti estremamente interessanti e coinvolgenti: la seconda guerra mondiale, la resistenza, il collaborazionismo, il neonazismo, l'eugenetica ed altro ancora. Viene da riflettere sul fatto che l'autore, in compagnia di altri nordici, attraverso le sue opere abbia cercato di avvertire tutti noi su cosa accade in Norvegia, Svezia e gli altri paesi, da noi così lontani tanto da non riuscire a comprendere che il tempo dei miti e delle "favole" sulla società del benessere e della perfezione sociale sia non solo lontano, ma forse irrimediabilmente perduto, se mai sia veramente esistito.

Pessimismo ed un senso di smarrimento in un triste abisso pervadono le pagine, ma se sentiamo tutto questo prenderci e procurarci angoscia e sgomento, senza ricorrere a facili e patetici espedienti, buoni solo per trasmissioni del pomeriggio senza spessore, significa che chi scrive, e chi traduce, sa non solo intrattenere e raccontare, ma anche informare ed indagare, bene e meglio di altri scrittori e si posiziona molto più in alto rispetto a quello che è rimasto del giornalismo di indagine.

Voto: 7/8

Kjell Ola Dahl

martedì 25 dicembre 2012

Pace sulla Terra e fra gli Uomini di buona volontà.


Fra poco è mezzanotte.

Sopra la piccola piazza di Capri, nel cielo, navigano nuvole basse, appaiono i contorni luminosi delle stelle; l’azzurro Sirio fiammeggia, poi si spegne. Dalla porta della chiesa il canto grave e pieno dell’organo si spande, e la corsa delle nuvole, il tremolío delle stelle, il movimento delle ombre sui muri degli edifici e il lastricato della piazza sembrano comporre una specie di armonia.

Secondo questo ritmo maestoso la piazza intera, che assomiglia stranamente allo scenario di un melodramma, muta aspetto, ora pare stretta e cupa, ora vasta e d’una chiarezza trasparente.

Sulla piazza i bambini giuocano lanciando petardi rumorosi; i serpenti di fuoco saltellano con frastuono sulle pietre, sputando scintille rosse; qualche volta una mano ardita getta in aria, altissimo, un razzo acceso, che fischia e volteggia, simile a un pipistrello spaventato; piccole figure agili scappano da ogni lato con grida e risa; un’esplosione sonora si fa sentire e per un secondo illumina i bambini rifugiati negli angoli.


Le detonazioni echeggiano quasi senza interruzione, coprendo gli scoppi di risa, le esclamazioni di spavento e il ticchettío secco degli zoccoli sulla lava sonora; ombre fremono prendendo lo slancio: riflessi rossastri illuminano le nubi, e le mura antiche delle case sembrano sorridere: ricordano l’infanzia dei vecchi e hanno assistito piú di cento volte a questo divertimento rumoroso e un pochino pericoloso, al quale i ragazzi si abbandonano la vigilia di Natale.

Fra due esplosioni, si sente di nuovo il canto grave e sonoro dell’organo; il mare risponde in basso con i colpi sordi che batte contro le rocce della sponda e con il rumoreggiare continuo delle onde, l’organo continua a cantare e i bambini a ridere; ma improvvisamente la campana dell’orologio sulla torre batte dodici colpi.



La messa è finita; in fiumana variopinta la folla esce di chiesa e si spande sui larghi gradini della scalinata, e i rossi serpentelli si slanciano davanti ad essa torcendosi. Le donne lanciano grida di spavento, i ragazzi ridono e sono felici; è la loro festa e nessuno oserebbe proibire loro di giocare.

Gli zampognari, i montanari, pastori d’Abruzzo, coperti di corti mantelli azzurri e con grandi cappelli, arrivano in fretta. Le gambe loro sono coperte di calze di lana bianca, sulle quali si incrociano strisce nere. Due di loro hanno cornamuse sotto i mantelli e altri quattro tengono fra le mani corni di legno d’un suono acutissimo.

Questa gente viene una volta all’anno a passare un mese nell’isola. Ogni giorno celebrano Gesú e la Madonna con le loro strane e belle musiche.

È curioso vederli alle prime luci del giorno; col cappello in terra stanno ritti davanti alla statua della Vergine, guardando il Suo bel volto con aria ispirata e suonano in Suo onore una melodia commovente oltre ogni dire [...].


Ora i pastori s’incamminano verso il Presepe del Bambino Gesú, che si trova in casa di Paolino, il vecchio carpentiere, e che bisogna trasportare nella Chiesa di Santa Teresa. I ragazzi corrono dietro loro; la stretta via inghiotte le figure nere e per qualche momento la piazza è quasi deserta; non vi resta se non un gruppo folto, che attende la processione sulla scalinata, vicino alla chiesa, mentre le ombre delle nuvole scivolano silenziosamente sui muri degli edifici e sulla testa della gente e sembrano volerla accarezzare.


Il mare sospira. Nelle tenebre, al di sopra dell’istmo, appare un formicolío di stelle, come un immenso vaso su un esile piedistallo. Sirio risplende di luce abbagliante; le nuvole sono discese dal monte Solario.


I canti dei pastori si spandono sotto gli archi delle strade in onde sonore e gaie; col loro naso adunco e col loro mantello, i musicanti somigliano a grandi uccelli; si sono tolti il cappello e camminano suonando, circondati da una folla di bambini che reggono lanterne appese a lunghi bastoni; decine di fiamme dondolano in aria e rischiarano la piccola figura grassoccia del vecchio Paolino, la sua barba d’argento, la mangiatoia che porta e nella mangiatoia piena di fiori il corpo roseo del Bambino Gesú, che con un sorriso leva le manine benedicenti.


Il vecchio contempla questa statuina di terracotta con tanta tenerezza, come se per lui fosse vivente e promettesse di instaurare allo spuntar del sole “la pace sulla terra e fra gli uomini di buona volontà”.

Da ogni parte si scoprono teste bianche, s’inclinano verso la mangiatoia visi severi; da per tutto risplendono occhi dolci. Si accendono fuochi di bengala; tutto ciò che era cupo è scomparso dalla piazza come se fosse d’improvviso sopraggiunta l’aurora. I bambini cantano, gridano e ridono: buoni sorrisi rischiarano il volto degli adulti: sembra che anch’essi avrebbero piacere di saltare e far baccano, se non temessero di perdere agli occhi dei bambini il loro prestigio di persone serie.


Simili a farfalle d’oro le fiamme gialle delle candele palpitano al di sopra delle vesti; piú in alto, nel cielo azzurro cupo, le stelle splendono di mille colori.

Maksim Gor'kij ("Racconti d'Italia" - "Natale a Capri")


(trad. di M. Parodi)




domenica 23 dicembre 2012

Tra due giorni è Natale...


“…
Qui la gente va veloce ed il tempo corre piano
come un treno dentro a una galleria
tra due giorni è Natale e non va bene e non va male
buonanotte torna presto e così sia.
E tu scrivimi, scrivimi
se ti viene la voglia
e raccontami quello che fai
se cammini nel mattino e ti addormenti di sera
e se dormi, che dormi e che sogni che fai. “

(Natale – F. De Gregori)

 


venerdì 21 dicembre 2012

Parallelo di Esperienze



Non sono particolarmente avanti con gli anni, né ho (al momento) capelli bianchi, tantomeno mi considero uno di quelli che ritiene “si stesse meglio quando si stava peggio”, che sostiene che “quelli sì che erano bei tempi” e così via. In sostanza non mi sento tanto affezionato alla mia fanciullezza, che di “rospi” da ingoiare ne ho avuti parecchi, non provo neanche particolare nostalgia ripensandoci (anche se quella bimba così carina…sigh!), ma, complice la recente paternità, ho in mente un singolare confronto, diciamo un parallelo di esperienze.

Lo propongo:

Pane, Latte e Burro

1982: Tua nonna ti affida poche lire, vai in bicicletta a prendere pane, latte e burro alla bottega del quartiere, dove la signora ti saluta con simpatia e ti chiede come state in famiglia e mentre rispondi ti offre una caramella all’anice. Chiedi del latte e la gentile signora ti porge due bottiglie di vetro appena riempite, poi prendi il burro fatto con latte di mucca, tagliato a panetti. Infine chiedi un filone di pane comune. Paghi con il sorriso della signora e delle altre clienti giunte nel frattempo ed esci sotto il sole splendente. Il tutto ha richiesto 15 minuti di tempo e intanto la nonna ti ha preparato tè e biscotti.

2012: In auto ti rechi presso un Ipermercato ampiamente pubblicizzato, ti danni per trovare 1 Euro e prendere un accidenti di carrello, con una ruota bloccata, che ti impedisce di dirigerlo verso la tua meta per la via più breve; appena attraversi la porta scorrevole ti investe un getto di aria gelida o ustionante (a seconda della stagione), poi cerchi il settore latticini, dove normalmente trovi una logorroica promoter, e cerchi di scegliere fra 10 marche di burro, forse a base di latte comunitario, facendo bene attenzione alla data di scadenza. Poi il latte: devi scegliere fra lunga conservazione, fresco, vitaminico, intero, scremato, alta digeribilità, nutriente, per bambini, per la crescita, per malati, aromatizzato o magari in promozione, ma comunque, bottiglia o cartone che sia, con la data di scadenza ed i componenti ben in vista... Che mal di testa! Infine il pane: a fette, intero, in busta, sfuso, fresco, decongelato, alla soia, integrale, con sesamo o semi di finocchio, da agricoltura biologica, di grano duro, di riso o segale, addirittura preparato con la frutta! Fai la coda alla cassa, ma una babbiona davanti a te ha preso un articolo in promozione che non ha il codice, allora aspetti, il pensionato che ti precede paga con centinaia di monetine tutte da contare, allora aspetti, ed il ragazzotto figo che parla al cellulare non trova il bancomat, e aspetti ancora e ancora... Poi, sempre con il dannato carrello, esci per prendere la tua auto, sotto la pioggia, ma non la trovi perché hai dimenticato il numero della corsia...Infine, dopo aver caricato l'auto, ti accorgi che è impossibile recuperare la moneta.... Torni alla tua auto, sotto la pioggia... È più di un'ora che sei uscito. A casa tua moglie ti chiede dove eri finito e ti riempie di insulti perché hai dimenticato qualcosa.

Fare un viaggio in aereo

1982: Viaggi con Alitalia, seduto di fianco ai tuoi genitori. Durante il volo una bellissima hostess ti accompagna in cabina di pilotaggio, dove pilota e copilota ti fanno sentire il bambino più ganzo del mondo. Ti danno da mangiare e ti invitano a bere quello che vuoi, mentre ti innamori sempre più dell’hostess di prima, seduto sul tuo sedile che è talmente comodo che ci si addormenta.

2012: Hai preso all’ultimo momento un volo low cost, entri in aereo dopo essere stato costretto a rimanere in mutande per poter passare il controllo, continuando ad inciampare sul bagaglio a mano che ti porti dietro. Ti siedi sul tuo sedile e appena respiri dai una botta con il gomito al fianco del vicino, mentre il passeggero di fronte a te ti si sdraia sulle ginocchia. Se hai sete lo steward si mette una calzamaglia sul viso e ti porta il listino prezzi.

Matteo è ritornato dalle vacanze in montagna e durante l’intervallo mostra a Paolo il coltellino svizzero multiuso che ha acquistato

1982: Il direttore scolastico vede il suo coltello e gli domanda dove l'ha comprato, perché ne vuole regalare uno uguale a suo nipote.

2012: Una maestra lancia l’allarme, la scuola chiude, si chiama la polizia, che porta Matteo in commissariato. Tutte le reti televisive durante i telegiornali fanno servizi speciali sulla violenza nelle scuole, in diretta con pedagogisti, psicologi e la showgirl del sabato sera.

Pomeriggio al parco giochi

1982: Fai il bullo durante il gioco del nascondino. Il padre di Francesca ti molla una sberla. Quando arrivi a casa tuo padre te ne molla un altro paio.

2012: Fai il bullo per tutto il parco. Il padre di Francesca ti dice di smetterla. Tuo padre va da quello di Francesca e minaccia di denunciarlo per violenza perchè non aveva il diritto di intromettersi.

Massimo e Luca litigano. Si mollano qualche cazzotto dopo la scuola

1982
: Gli altri bambini seguono lo scontro. Massimo vince. I due vanno a casa in bici, nel pomeriggio si incontrano al parco e sono di nuovo grandi amici.

2012: Una maestra chiama i carabinieri, la scuola chiude. Tutte le reti televisive durante i telegiornali fanno servizi speciali sulla violenza nelle scuole, in diretta con pedagogisti, psicologi e giuristi, mentre Bruno Vespa conduce una settimana di “Porta a Porta Speciale”, con tanto di plastici in studio e politici di contorno.

Gianluca giocando a pallone in strada rompe lo specchietto di un’auto nel quartiere. Suo padre gli molla due ceffoni e lo obbliga a ripagare il danno con qualche lavoretto.

1982: Gianluca farà più attenzione la prossima volta, diventa grande normalmente, capisce il valore del denaro, si diploma, si mette a lavorare e diventa un bravo professionista.

2012: La polizia arresta il padre di Gianluca per maltrattamento e sfruttamento di minore. Gianluca si unisce ad una banda di teppisti e diventa un violento. Lo psicologo, dopo un’accurata perizia, arriva a convincere sua sorella che il padre abusava di lei e gli fa togliere la patria potestà.

Alessia cade in cortile mentre corre. Si ferisce il ginocchio e piange. Il maestro la raggiunge e la prende in braccio per confortarla.

1982: In due minuti Alessia sta meglio, ride e continua la corsa.

2012: Il maestro è accusato di perversione su minori e si ritrova disoccupato. Bruno Vespa conduce due settimane di “Porta a Porta Speciale” sulla pedofilia nelle scuole, con in studio plastici, pedagogisti, psicologi e registi di fiction. Alessia va in terapia per 5 anni. I suoi genitori chiedono i danni alla scuola per negligenza ed al maestro per trauma emotivo. Vincono tutti i processi. Il maestro non troverà mai più un’altra occupazione e si ridurrà come un barbone. Qualche anno dopo Alessia scriverà un libro su questa “esperienza” e si candiderà alle elezioni.

È il 28 ottobre

1982: È giovedì, non succede nulla.

2012: È il giorno del cambio dell'ora legale: aumentano i casi d'insonnia e le richieste di permessi malattia.

Il padre di Alice filma una ripresa per il compleanno della figlia

1982: Dopo una settimana Alice invita tutti gli amici a casa per guardare il filmato, i genitori dei bambini sono contenti e tutti insieme fanno merenda.

2012: Il giorno stesso il padre di Alice carica su you tube il filmato; i genitori degli altri bambini lo denunciano per diffusione non autorizzata di immagini.

Fai “buco” a scuola (non vai a scuola senza che i tuoi genitori lo sappiano)

1982: giri tranquillamente per i bar ed i parchi della città, divertendoti con gli amici; il mattino dopo falsifichi la firma di tuo padre e presenti la giustificazione alla professoressa della prima ora; nessuno della tua famiglia verrà a conoscenza di ciò.

2012: ti devi nascondere come un pericoloso latitante, per evitare di essere ripreso da decine di ficcanaso e scansafatiche vari, che non trovano di meglio che impiegare il loro tempo a fare foto e riprese con i loro accidenti di telefonini e caricare tutto su facebook e youtube; il tuo cellulare riceve messaggi e telefonate a ripetizione a cui non rispondi per non far tracciare i tuoi spostamenti.

Filippo esce di scuola

1982: Dopo aver salutato maestra e compagni di classe va a casa a piedi, mangia di gusto insieme alla mamma, i nonni e la sorellina; finito di fare i compiti va a casa di un amico per giocare con i soldatini e scambiarsi le figurine; la mamma dell’amico gli prepara pane e marmellata per merenda; alla fine Filippo torna a casa contento e racconta al padre il bel pomeriggio che ha passato.

2012: Arriva a casa dopo mezz’ora di viaggio in pulmino, avrebbe dovuto pranzare a scuola ma quello che offriva la mensa scolastica non gli piaceva, perciò la madre mentre lo accompagna in piscina gli compra le patatine con la sorpresa di Beyblade. Dopo la piscina la mamma lo porta con sé a recuperare la sorellina, che il padre ha lasciato a lezione di danza. Tornato a casa Filippo vuole assolutamente giocare alla X-Box, la madre cerca di scongelare la cena, il padre arriva e si lamenta del volume della TV troppo alto. Tutti cenano con in sottofondo Cartoon Network.

Sono finite le vacanze

1982: Finiti i 15 giorni di vacanza dai nonni, si torna a casa su una Fiat 127 con il portapacchi carico di borse e valigie. Il giorno dopo i tuoi genitori ritornano al lavoro freschi e riposati.

2012: Dopo una settimana alle Maldive, ottenuta ad un prezzo vantaggioso grazie ad un’offerta last minute su internet, rientri stanco e depresso a causa di 4 ore di attesa all'aeroporto, seguite da 16 ore di volo e con il bagaglio smarrito. Al lavoro ti ci vuole una settimana per smaltire il fuso orario.
Super Santos, il pallone da strada

Fiat 127











... Patatine con sorpresa

Pane e Marmellata o...

 










 

mercoledì 19 dicembre 2012

I Cinque Western che preferisco



I cinque film western che mi piacciono di più

Non sono i più belli che ho visto, tantomeno i 5 migliori mai girati, in entrambi i casi probabilmente John Ford occuperebbe gran parte delle posizioni, bensì quelli che ricordo meglio, che si sono guadagnati uno spazio privilegiato nel mio immaginario, nel mio cuore e che ancora non mi sono stancato di vedere, anche solo per qualche scena.

Li presento in ordine sparso, senza un tentativo di classifica, che magari proverò a fare in un’altra occasione (con meno “chiacchiere”). Allora via!!

Soldati a cavallo di John Ford (1959).
Il duetto formidabile dei due attori principali (John Wayne/William Holden), qui in gran forma, esalta il lavoro sui caratteri dei personaggi, con ritmo, ironia ed azione. Il racconto è coinvolgente ed appassiona per l’umanità rappresentata e la capacità di direzione del regista, che manda un chiaro messaggio agli spettatori: la stupidità della guerra, in particolare di quella di secessione americana che costò alle due parti in lotta un altissimo numero di morti. La guerra, anche condotta con il rispetto per il nemico, è sempre senza senso, questo simboleggia il personaggio interpretato da William Holden, il medico del film antagonista di John Wayne che invece, fedele al suo personaggio dell'uomo rude ma ligio ai suoi doveri, assolve l'assurdo compito che gli è stato affidato: lui progettista di ferrovie, deve distruggerle.

John Wayne
Le battute di John Wayne e le scene da ricordare non si contano. Uomini rudi ma giusti nel selvaggio west, paesaggi che fanno da sfondo alla storia narrata, la scazzottata risolutiva tra il colonnello e il maggiore medico, i soldati amanti del whiskey, le sparatorie, ma soprattutto quella in cui i ragazzi dell'accademia militare, in nome del loro patriottismo sudista, vanno all'assalto, schierati al suono dei loro tamburini. In questa si vedono i soldati nordisti che, nell'ideale ottimistica visione del regista, le cui simpatie sembra siano proprio per il Sud, si limitano ad evitare lo scontro o a risolverlo con qualche sculacciata.
William Holden











I magnifici sette di John Sturges (1960).
Yul Brinner e Steve McQueen
Ampiamente debitore dell’opera di Kurosawa (i Sette Samurai), il film propone, in modo chiaro e coinvolgente, riconoscibile e non banale, i temi dell’onore, dell’amicizia virile e del rifiuto di fronte all’ingiustizia. Stupende interpretazioni di un cast di celebrità. Un superbo Yul Brynner. Il simpatico e ben calato nella parte Steve McQueen che propone, nella sua prima grande interpretazione, la sua “faccia da schiaffi” preparandosi a “La Grande Fuga” (1963). Un ruvido ma accattivante Charles Bronson e gli altri “magnifici” non sono da meno, e come ogni grande film deve avere un grande “cattivo”, il Calvera di Eli Wallach è da custodire per capacità recitative e sapienza registica, poiché Sturges lo utilizza in modo ragionato ed efficace.

Sentieri Selvaggi di John Ford (1956).
John Wayne in ruolo memorabile, probabilmente tra le sue migliori interpretazioni. Il suo personaggio, il difficilmente comprensibile e controverso Ethan Edwards, ci propone una grande complessità psicologica, in cui onore, affetto, senso della giustizia, dolore, odio e ostilità molto vicina a vero e proprio razzismo si compenetrano e ci donano un grande ritratto umano e di sentimenti. Da sottolineare la sapienza registica di John Ford, con la scelta di dilatare al massimo possibile gli avvenimenti e gli “indizi” narrativi e di sceneggiatura, disseminati in 2 ore di magnifico cinema e la sua visione su temi quali la guerra, il rispetto, l’onore, l’incontro/contrasto con il diverso, con i relativi conflitti interiori e tra i personaggi che ne vengono generati. Il paesaggio umano e mentale e lo stile fordiano sono qui ai suoi livelli più alti, con dramma, ironia e spettacolarità che non si sovrappongono, ma viaggiano conformi nel tormento descrittivo di un racconto e di uomini e donne molto reali e lontani da stereotipi e oleografie di comodo. Da rivedere più volte per cogliere e godere di temi, scelte di stile, narrazione coinvolgente, sfumature psicologiche e narrative. Per emozionarsi di una vicenda che, anche figurativamente, ha carattere circolare (la porta del ranch all’inizio del film si apre e John Wayne/Ethan Edwards arriva accolto dai suoi cari; la stessa porta alla fine di questa memorabile pellicola si chiude con lo stesso uomo che si allontana, solo).















Balla coi lupi di Kevin Costner (1990).
Riesce a non essere retorico, nonostante il grande rischio. Questo film possiede un immenso fascino visivo che sa ben sprigionare attraverso grandiose sequenze. La fotografia è straordinaria ed il montaggio, sapiente ed equilibrato, ci permette di gustarci 3 ore (4 nel director’s cut) di un’opera che merita un posto nel Cinema. Si superano i generi per temi trasversali, comunque socialmente e storicamente connotati. Contesto storico e sociale ben ricostruiti, personaggi molto veri e probabilmente aderenti alla realtà. Fedeltà e rigore che generano calore ed evitano eccessi e solipsismi visti altrove. Interpreti molto bravi e Kevin Costner che si fa ricordare per qualcosa di veramente valido.

Per qualche dollaro in più di Sergio Leone (1966).
"Il Monco"/ "Ragazzo"/Clint Eastwood
Memorabile galleria di personaggi, molti di questi alle prese con tremende memorie del loro passato: dai due bounty-killers al bandito drogato, dal gobbo magistralmente interpretato da Klaus Kinski al vecchietto della ferrovia. Tutto è dominato dalla percezione della morte e dall'inarrestabile brama di vendetta, pronunciata distintamente dal suono di un carillon intriso di ricordi incancellabili. Convincenti Clint Eastwood (Il Monco) e Lee Van Cleef (Colonnello Douglas Mortimer). Terribile nella sua follia intrisa di obnubilescenza e lucidità, a volte sovrapponibili, Gian Maria Volontè (El Indio). Un copione quasi shakesperiano per attori molto diversi tra loro, che lo stile di Leone riesce ad unire in un’opera che non lascia tregua, dove risulta riconoscibile la mano del regista che ci presenta un film dall’andatura epica, sia nella sceneggiatura che nelle inquadrature, che risultano quasi più importanti di tutto il resto. Secondo capitolo della Trilogia del Dollaro, probabilmente il più equilibrato e quello maggiormente appagante.
"Il Colonnello"/ "Vecchio"/Lee Van Cleef
"El Indio"/Gian Maria Volontè
















lunedì 17 dicembre 2012

Giallo, Noir & Thriller/4



Titolo: I Sonnambuli
Autore: Grossman Paul
Traduttore: Brambilla Sara
Editore: Time Crime - 2012

Trama non particolarmente complessa, ma efficace e coinvolgente al punto giusto per una più che godibile detective story, che si presenta, a pieno diritto, come un giallo storico. Uno dei punti forti è proprio questo: ambientare la vicenda in un periodo storico (e quindi descriverlo) come i mesi precedenti alla nomina a cancelliere di Adolf Hitler risulta un’opzione vincente, che fa passare in secondo piano la scelta, un po’ ruffiana, del protagonista, l’ispettore ebreo Willi Kraus, della Kriminal Polizei. Sappiamo già tutto quello che succederà dopo quella nomina e anche come ci si è arrivati, ma il periodo storico è descritto in modo realistico e gli avvenimenti narrati sono realmente accaduti, anche se in circostanze e periodi diversi. L'autore è riuscito a raccontarlo attraverso una prospettiva originale e intensa, poiché ha permesso uno sviluppo della storia facendo assaporare al lettore il graduale aumento della tensione ed il mutamento politico che a quell'epoca stava vivendo la Germania.

Un protagonista molto umano, che è testimone del cambiamento e vive i prodromi di una immane tragedia, mentre indaga su una serie di delitti raccapriccianti, attraversando una Berlino che assurge a ruolo di co-protagonista, con le sue vie, piazze ed edifici, permettendo al lettore di sentire un’atmosfera unica, decadente con la presenza di personaggi (Einstein, Oppenheimer, Marlene Dieterich tra gli altri) simboli di un epoca lontana, quasi mitica. Suggestiva la doppia valenza del titolo: i Sonnambuli sono sia le vittime presentate che i tedeschi stessi, fattisi convincere da Hitler e dal Nazionalsocialismo, perciò, sembra suggerire Grossman, colpiti da un'ipnosi di massa

Un giallo-noir con elementi a tratti gotici, su accurata ricostruzione storica, per una scrittura capace di coinvolgere, adatta ad intrattenere e far provare emozioni. In effetti cosa si chiede, in genere, ad una crime story?

Voto: 7
Membri delle SA portano cartelli con la scritta "Tedeschi! Difendete voi stessi! Non comprate dagli Ebrei!" Berlino, Germania, marzo o aprile 1933

Il Reichstag di Berlino è in fiamme La sera del 27 febbraio 1933 un incendio scoppiò all'interno dell'edificio, distruggendo quasi tutta la parte centrale e la sala plenaria. Per i nazisti l'incendio del Reichstag fu il pretesto per scatenare la repressione di operai, intellettuali e capi dei partiti comunista e socialdemocratico. Indagini e testimonianze oculari provarono invece che furono gli stessi nazisti ad appiccare il fuoco