mercoledì 30 gennaio 2019

L'ho fatto per amore




I don't want my freedom
There's no reason for living with a broken heart

This is a tricky situation
I've only got myself to blame
It's just a simple fact of life
It can happen to any one


You win - you lose
It's a chance you have to take with love
Oh yeah - I fell in love
But now you say it's over and I'm falling apart

Yeah yeah
It's a hard life
To be true lovers together
To love and live forever in each others hearts
It's a long hard fight
To learn to care for each other
To trust in one another right from the start
When you're in love

I try and mend the broken pieces
Ooh, I try to fight back the tears
Ooh, they say it's just a state of mind
But it happens to everyone

How it hurts (yeah) - deep inside (oh yeah)
When your love has cut you down to size
This life is tough - on your own
Now I'm waiting for something to fall from the skies
I'm waiting for love

Yes it's a hard life
Two lovers together
To love and live forever in each others hearts
It's a long hard fight
To learn to care for each other
To trust in one another - right from the start
When you're in love

Yes it's a hard life
In a world that's filled with sorrow
There are people searching for love in every way
It's a long hard fight
But I'll always live for tomorrow
I'll look back at myself and say I did it for love (ooh)
Yes I did it for love - for love - oh I did it for love 


lunedì 28 gennaio 2019

Citazioni Cinematografiche n.287

Eppure dicono "l'abito non fa il monaco", non è vero. Io a furia di indossare indegnamente questa gloriosa divisa, marescia', mi sento un po' Carabiniere. E per un ladro, morire da Carabiniere, è una grande soddisfazione! 
(Antonio Capurro/Totò in "I due Marescialli", di Sergio Corbucci -1961)



domenica 27 gennaio 2019

Giorno della Memoria - Memoria per comprendere il Presente

L'indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l'apatia morale di chi si volta dall'altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l'indifferenza.
     
Mi fa impressione quando sento di barconi affondati nel Mediterraneo, magari 200 profughi di cui nessuno chiede nulla. Persone che diventano numeri anziché nomi. Come facevano i nazisti. Anche per questo non ho mai voluto cancellare il tatuaggio con cui mi hanno fatto entrare ad Auschwitz. [matricola 75190]

Liliana Segre

venerdì 25 gennaio 2019

Giallo, Noir & Thriller/63



Titolo: Omicidio sul Ghiacciaio
Autore: Lenz Koppelstätter
Traduttore: Werner Menapace
Editore: Corbaccio - 2018

Un giallo ben narrato, con un intreccio solido e classico che viene costruito pagina dopo pagina, per un'indagine che fa dei dialoghi, degli sguardi e di tanta pazienza investigativa il punto di forza che porta alla risoluzione del caso.
L'autore Lenz Koppelstätter, italiano di lingua tedesca, porta il lettore in cima ad un ghiacciaio, uno dei più famosi delle Alpi, perché proprio lì, nel 1991, fu ritrovato Ȍtzi, l’uomo del Similaum, la mummia attualmente conservata nel Museo Archeologico di Bolzano. Il riferimento non è solo geografico o mera nota di colore, poiché la vittima che il commissario Grauner e l'ispettore Saltapepe si trovano di fronte ha più di un punto di contatto con il noto cadavere mummificato. A partire dalla freccia che Sattler, la vittima, ha conficcata nel collo, una identica a quelle conservate a Bolzano e risalente all'età del rame.
Da quel dato inizia un lavoro di ricerca investigativa che si basa su interrogatori più o meno formali, confronto fra dati e versioni dei vari soggetti coinvolti, senza particolari colpi di scena o situazioni ad effetto. Il commissario protagonista, altoatesino e legato alla terra, a cui fa da contraltare il collega napoletano e sotto vari aspetti estremamente diverso dal suo superiore, devono lottare anche contro un certo ostracismo delle personalità del luogo, sia quelle delle località vicine al ghiacciaio che quelle residenti ed operanti nel capoluogo Bolzano.


L'autore ha il merito di evitare, con una certa ironia e buona padronanza delle tecniche narrative, oltre che grazie ad un'approfondita conoscenza dei luoghi, le facili banalità e i ritriti luoghi comuni che contrappongono sud e nord, montagna e mare. Si legge invece di una stimolante vicenda, in cui l'elemento giallo fa esaltare anche le altri componenti del libro, tra cui la descrizione dei personaggi con le loro psicologie ed abitudini, le storie personali e di una comunità, con i suoi lati oscuri ed i misteri che possono portare anche ad azioni abiette e criminali. Tutto questo in quello che si cerca di presentare solo come un “paradiso per le vacanze”, a beneficio di turisti e villeggianti, forse gli unici che possono ancora portare benessere e denaro in quelle valli al confine fra Italia ed Austria.

Gli elementi noir non mancano, in quella che è un'intricata indagine, in cui diverse tracce e spunti si susseguono, a testimonianza dell'abilità dell'autore, che poi scombina le carte e conduce il lettore verso un finale inaspettato e ben orchestrato, come ai gialli classici s'addice.


Le notti sul ghiacciaio non sono fatte per gli uomini. Sono fatte per i fantasmi, per le bufere, per la neve. Eppure, in una gelida notte di dicembre, una strana luce compare sul ghiacciaio della Val Senales e poco dopo viene ritrovato un cadavere con una freccia conficcata nel collo. Esattamente nello stesso luogo, venticinque anni prima, era stato scoperto Ötzi, l’uomo del Similaum, che ora si trova esposto nel Museo Archeologico di Bolzano. Anche lui ucciso da una freccia. Una grossa grana per il commissario Grauner, poliziotto con la non troppo nascosta aspirazione a fare il contadino, che si stava già pregustando un periodo di vacanza in famiglia. Tra intrighi di paese, abitanti più che laconici e turisti più che esuberanti, il commissario Grauner e l’ispettore Saltapepe, trasferito da Napoli e per nulla incline a condividere la passione dei bolzanini per la montagna, si troveranno di fronte a uno dei casi più difficili della loro carriera, che tocca tutti gli ambienti della capitale altoatesina e che affonda le radici in un lontano passato. (da ibs.it)

mercoledì 23 gennaio 2019

Non esiste nulla al di fuori della memoria


D'improvviso pensò che la vita è soltanto ciò che è passato. Non c'è altra vita oltre il ricordo. Il futuro non esiste, pensò, non solo qui, dietro l'inferriata, ma ovunque, anche in strada, nel bosco, in mare, fra le braccia dell'uomo amato. La vita è ciò che è compiuto, ciò che ricordiamo, ciò che è avvenuto e passato, ciò che resta come ricordo. Il futuro non può essere vita, pensava Irma Seidenman, perché nel futuro io sono assente, in esso non sento fame, né sete, né freddo, né caldo. Ciò che accadrà da qualche parte e in qualche tempo è ancora fuori di me, nascosto dietro il muro e l'inferriata, oltre il mio spazio e la mia comprensione, è ancora in stelle lontane, nel destino cosmico. La mia vita è qui, poiché io sono qui, qui è il mio corpo e, soprattutto, la mia memoria. Soltanto ciò che è già accaduto è la mia vita – nient'altro che questo! Pensare alla vita significa quindi pensare al passato che si ricorda, e ogni attimo è passato, questa chiusura dell'inferriata è passato, questo piegare la testa, appoggiarla sulle braccia, è passato. Questo l'ho vissuto, Signore Iddio! Non ho vissuto nient'altro al di fuori di ciò che ricordo. Non esiste nulla al di fuori della memoria”.
(Da “La Bella Signora Seidenman”, di Andrzej Szczypiorski, trad. Pietro Marchesani – Adelphi 1998)



lunedì 21 gennaio 2019

Citazioni Cinematografiche n.286

Yogurt: Chi siete voi per osare comparire davanti al grande Yogurt?
Tutti: Yogurt?!
Yogurt: Mi conoscete forse?
Stella Solitaria: Conoscerti? Chi non conosce Yogurt?
Principessa Vespa: Yogurt il saggio!
Dorothy: Yogurt l'onnipotente!
Rutto: Yogurt il magnifico!
Yogurt: Vi prego, vi prego, non esagerate: sono solo uno yogurt normale!
(Yogurt/Mel Brooks, Stella Solitaria/Bill Pullman, Principessa Vespa/Daphne Zuniga, Dorothy/Lorene Yarnell e Rutto/John Candy in "Balle Spaziali", di Mel Brooks - 1987) 




venerdì 18 gennaio 2019

La comodità e l'arroganza dell'ignoranza

L'ignoranza genera fiducia più spesso della conoscenza”
(Charles Darwin – L'Origine dell'Uomo)

Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e di indecisioni”
(Bertrand Russel)

"Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio”
(William Shakespeare – Come vi pare)


Sapete chi sono Dunning e Kruger? No, niente a che fare con la nazionale di sci austriaca, tanto meno con il Bayern Monaco od il processo di Norimberga, poiché David Dunning e Justin Kruger sono due psicologi della Cornell University. A loro si devono una serie di studi che hanno portato alla formulazione di quello che viene studiato e ricordato come l'Effetto Dunning-Kruger.

Nel 1999 i due studiosi fecero una serie di esperimenti sociali, che li portarono a formulare, all'interno dell'articolo “Unskilled and unaware of it: How difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments” una serie di ipotesi, procedimenti e risultati che generarono la definizione del Dunning-Kruger Effect, ovvero una forma di distorsione cognitiva.
Viene definita come il fatto che “le persone traggono conclusioni errate e fanno scelte sbagliate ma la loro incompetenza li priva della capacità metacognitiva di realizzarlo. Gli incompetenti di conseguenza soffrono di superiorità illusoria, considerando le loro competenze superiori alla media, molto più di quanto non siano in realtà. Per contrasto le persone molto competenti sottovalutano le loro capacità, e soffrono di inferiorità illusoria. Questo causa una situazione viziosa, in cui le persone incompetenti si considerano molto superiori alle persone veramente competenti. Il fenomeno spiega anche perché la competenza vera possa indebolire la fiducia in se stessi, in quanto le persone competenti presumono sbagliando che gli altri abbiano un livello di comprensione e abilità almeno equivalente alle loro. Se ne desume che la distorsione cognitiva degli incompetenti deriva da un errore di valutazione su se stessi, mentre la distorsione cognitiva dei competenti deriva da un giudizio errato sugli altri”.


In buona sostanza i ricercatori ipotizzarono che, per una data competenza, le persone inesperte:
  • tenderebbero a sovrastimare il proprio livello di abilità;
  • non si renderebbero conto dell'effettiva capacità degli altri;
  • non si renderebbero conto della propria inadeguatezza.

Ovvero: più uno non sa niente di un argomento, non ha vere capacità, più crede di saperla lunga. Secondo Dunning e Kruger gli incompetenti hanno questa doppia fregatura: l’abilità necessaria per riuscire bene in una attività è di fatto identica a quella necessaria per valutare i risultati. Quindi gli ignoranti, gli incompetenti tendono a non riconoscere la reale competenza altrui e sono più superbi, sovrastimando le loro poche conoscenze e loro insufficienti abilità. Quindi si sentono migliori anche di quelli che sono competenti ed hanno adeguate conoscenze e competenze su un determinato argomento o materia. Questi individui tendono a dimenticare, sottovalutare o, anche peggio, negare il fatto che sia necessario saper fare bene qualcosa per essere in grado di giudicare come la fanno gli altri. La stessa ragione, in fondo, per cui gli studenti non hanno la facoltà di darsi da soli i voti agli esami.

Quindi gli incompetenti, secondo quanto ipotizzato e provato tramite esperimenti, prove e verifiche (ovvero secondo il metodo scientifico applicato agli studi psico-sociali) da Dunning e Kruger, non giudicano la propria abilità in base all’effettivo confronto dei risultati a lungo termine con quelli del resto delle persone. Al contrario, partono con una idea preconcetta, ed in gran parte dei casi infondata, sul proprio grado di preparazione (“sono bravissimo”) e tendono a cercare conferme (inesistenti) nei risultati. 

 
Se tutto ciò rimanesse confinato in un campus studentesco, o in dispute fra amici e colleghi, i risultati e gli effetti potrebbero essere trascurabili o facilmente rimediabili. Ma se l’effetto Dunning-Kruger si verifica e si propaga in vari ambiti pubblici e/o privati, specie se in grande scala, gli effetti rischiano di essere drammatici. Magari ci si limita a qualcuno che si convince di poter essere un ottimo selezionatore della Nazionale di calcio italiana. Che cosa ci vuole? So io chi e come farli giocare! (barbieri, tassisti e baristi ne sono un chiaro esempio). Poi magari si passa a qualcuno che cova ambizioni maggiori, tipo risolvere il problema del traffico nella propria città, o proporre un innovativo ed allo stesso tempo efficace metodo per smaltire l'immondizia, o produrre energia economica e pulita senza sforzo e così via. Che incompetenti i politici, gli scienziati e gli studiosi! So io cosa fare! Quante volte l'abbiamo sentito dire, o magari noi stessi l'abbiamo detto.


Poi magari un gruppo di questi individui si incontra, per caso o per destino, e si fa prendere la mano. Accade che ci prendono gusto, si fanno forza (?) l'uno con l'altro, si complimentano vicendevolmente per le loro pensate e la loro sicurezza (anche detta arroganza), quindi si organizzano, formano una rete, fanno proseliti e trovano supporto. Supporto a qualunque argomento sballato scaturito dalla propria incompetenza, così che quella rete diventa sempre più grande, tutti questi incompetenti riuniti finiscono per crederci veramente, si convincono e sostengono a vicenda. Ed in questa dinamica si radicalizzano, rafforzandosi nell'idea che chi non la pensa come loro è in malafede, è corrotto, è al soldo di qualche oscuro potere, e che le evidenze contrarie sono fabbricate, manipolate da misteriosi gruppi di interesse. Magari potrebbero arrivare a mettere in dubbio l'utilità e l'azione dei vaccini, contestare decenni di studi in campo medico e le consolidate profilassi per evitare malattie e disturbi. Oppure si convincono che oscuri Poteri Forti tramano per impedire all'Italia di svilupparsi in campo economico, che chiunque abbia amministrato o governato le città, le Regioni, lo Stato, abbia amministrato la Giustizia o diretto Enti Pubblici e Privati sia un corrotto, un ladro, un mero esecutore di ordini e direttive emanate da oscure entità od eminenze grigie.

Addirittura un tale gruppo di ignoranti, incompetenti, arroganti, a digiuno pressoché totale di educazione civica e senza alcuna reale base di procedure amministrative e privi di conoscenze in tema di Costituzione della Repubblica, filosofia politica, riflessione sui principi del vivere civile e dell'agire democratico e analisi sociale, arriva a pensare di essere in grado di governare una Nazione come l'Italia. Ovvero di svolgere il compito di Ministri, Presidenti della Camera e del Senato, occupandosi di Politiche del Lavoro, di Opere Pubbliche, di Sanità e così via.
Sembra effettivamente assurdo, uno scenario da incubo, ammetterete, specie se tale gruppo, nell'esercizio del Potere, si accorda con un altro gruppo che, con maggiore perversa consapevolezza, agisce con fini evidenti per assecondarli e poi soverchiarli allo scopo di mettere in atto politiche ed azioni antidemocratiche, illiberali, misogine, xenofobe e tutto il repertorio di quella gentaglia.


Ma, sempre Dunning e Kruger, ci dicono che “gli incompetenti possono aumentare la propria consapevolezza sulla loro scarsa abilità, ma ciò avviene paradossalmente solo aumentando la propria competenza (le capacità metacognitive crescono insieme, parallelamente, alla capacità di avere una performance sempre migliore)”. Ovvero se un individuo comincia a studiare, se impara qualcosa su un argomento, se prova sul serio a cimentarsi in un’attività, finisce per rivedere le proprie valutazioni iniziali. Fino al punto di diventare più critico verso se stesso, quindi si mette in discussione e magari si rende conto di quanto si fosse sbagliato, di quanti danni ha direttamente o indirettamente provocato e cerca di rimediare. Francamente non ho molta fiducia nel gruppo a cui ho, chiaramente, fatto riferimento, ma forse potrebbe accadere.
Comunque non sono abbastanza competente per esserne certo.






mercoledì 16 gennaio 2019

Quando è il momento?



Certi momenti ci vengono strappati via, altri ci vengono sottratti furtivamente e altri ci sfuggono senza che ce ne accorgiamo. Tuttavia, la perdita più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. 
(Lucio Anneo Seneca)


lunedì 14 gennaio 2019

Citazioni Cinematografiche n.285

A volte vorrei picchiare qualcuno. Sì, è un pensiero che ho sempre più spesso.
(don Giulio/Nanni Moretti in "La messa è finita", di Nanni Moretti - 1985)



venerdì 11 gennaio 2019

Nicole Kidman per un Ritratto di Signora


 


Per molti di noi, ora, risulta normale considerare Nicole Kidman una delle più note attrici viventi, molto apprezzata per le sue interpretazioni e per la non comune capacità di spaziare fra generi e ruoli ricoperti. Non ci meraviglia ammirarla in un film d'azione oppure godere della sua bravura in un dramma in costume, ci sembra allo stesso tempo apprezzabile vederla in tutto il suo splendore da cinquantenne di cui vengono esaltate le virtù estetiche, così come siamo pronti a gustare la sua recitazione sotto un pesante trucco che, al contrario, la renda molto meno attraente.

Tutto questo dopo circa trent'anni di carriera cinematografica. Ma fino alla metà degli anni 90 la Kidman aveva recitato in una manciata di film, alcuni dei quali non propriamente memorabili, sebbene qualche applauso se lo fosse comunque meritato. Sembra perciò evidente come nel 1995 la regista neozelandese Jane Campion abbia avuto una felice quanto sorprendente intuizione nell'affidarle il ruolo da protagonista nel suo “Ritratto di Signora”.



Lo definirei bellissimo, nonostante qualche elemento irrisolto, perché la Campion non si limita ad un classico film in costume, bensì partendo da e rispettando molto il romanzo originale di Henry James giunge a proporre allo spettatore una splendida narrazione ed una intensa e complessa messa in scena, che trascende ogni residua rappresentazione femminista della storia per rendere giustizia ad una donna, ad “una di noi” come dichiarato all'inizio del film. Una messinscena che tocca la complessità sociale della tarda epoca vittoriana per veicolare il racconto e le immagini di una riflessione turbolenta ed in movimento di una esistenza e di una psicologia. Femminile poiché la protagonista è Isabel Archer, giovane americana in viaggio in Europa presso parenti inglesi, che per la sorpresa di tutti si trova a rifiutare più proposte di matrimonio in nome di un suo desiderio di esperienze e libertà. Ma anche maschile attraverso le figure del cugino malato di tubercolosi e dell'uomo, Gilbert Osmond, che poi lei sposerà, nonostante gli avvertimenti del primo. Nuovamente femminile, ma di una femminilità diversa con l'entrata in scena di madame Merle che insieme ad Osmond, con cui intrattiene un torbido sodalizio, costruisce una prigione di relazioni e finanche fisica attorno a Isabel. Lei che si trasforma in un’oscura signora imprigionata in una vita mondana che mai ha veramente desiderato, mentre il marito le costruisce intorno una gabbia gelida e sadica. 

 

Si giunge così a notare come Jane Campion dia vita ad un universo narrativo in cui il denaro, la proprietà, è il motore quasi esclusivo delle sue dinamiche, mentre persone e orizzonti esistenziali vanno incontro a una totale “cosificazione” (come forse avrebbe detto Sartre). La regista quindi parte dal rapporto fra “nuova” America e “vecchia” Europa, contrapposte fra vitalità e decadenza, velocità e stagnazione tecnica e morale (tema caro a James), per poi attraverso le magnifiche sorti della rivoluzione industriale, giungere alla nevrosi di Isabel Archer prigioniera di mobilie e fastose vesti. Ma ancor più schiacciante è il rapporto “cosificante” tra i vari personaggi, molti dei quali cercano di appropriarsi rapacemente dell’esistenza di qualcun altro.

Molteplici sono le scene ed innumerevoli i dettagli che evidenziano tutto ciò, senza che il ritmo e l'eleganza del film ne risultino compromessi, al punto che, come detto, la Campion va ben oltre il film in costume. Ad eccezione di qualche dialogo non del tutto azzeccato ed il rimanere in più di un'occasione in bilico fra onirismo e calligrafismo d'ambientazione, qui si viaggia in direzione di approfondimenti e riflessioni sulle psicologie, le perversioni, le malattie e le nevrosi di una classe e dei suoi caratteri. Un mondo che va perdendosi, sgretolandosi con le sue stesse mani e per mezzo delle sue stesse peculiarità che ritiene averne fatto la fortuna. Ad ulteriore prova della qualità dell'opera si nota come Ritratto di signora trovi non solo nella sceneggiatura e nel suo ampio respiro narrativo una qualità indubbia, ma che infine la direzione degli attori si sveli pienamente come la sua chiave di volta espressiva.

La Campion dà vita a personaggi vibranti e appassionanti, con una menzione speciale per l’indimenticabile madame Merle di Barbara Hershey, un ruolo fantastico al servizio di un’enorme prova attoriale. E al contempo l’autrice sceglie di conservare l’ampia portata narrativa del romanzo ottocentesco, seguendo le vicende nel loro dipanarsi su molti anni, con conseguenti evoluzioni e involuzioni nei molti personaggi.
A questo punto si torna da dove si era partiti con queste righe, ovvero a Nicole Kidman, tanto efficace e sorprendente, allora in quanto felicissima sorpresa, al giorno d'oggi come gusto della prova attoriale, che riesce a rappresentare l'evoluzione (involuzione?) del suo personaggio.
Isabel, che dopo il matrimonio approda alle tetre vesti di lutto per il figlio e alla fisicità di una statua inerte in vita, una vera e propria musealizzazione durante noiosi ricevimenti mondani. In mezzo a tale ricchezza espressiva la Kidman raccoglieva una delle sue prime occasioni per mettersi in mostra come attrice a tutto tondo, uscendone più che bene. Forse avrebbe raccolto ancora più consensi e se ne ricorderebbe meglio la prova se più di lei non avessero colpito le recitazioni dei cosiddetti comprimari, dal sofferto Ralph di Martin Donovan alla già ricordata Barbara Hershey, mentre John Malkovich risulta fin troppo prevedibile, rifacendo se stesso ne “Le Relazioni Pericolose” sebbene lo faccia ineccepibilmente bene.


mercoledì 9 gennaio 2019

Set on You





"Got My Mind Set On You"  
I got my mind set on you
I got my mind set on you
I got my mind set on you
I got my mind set on you

But it's gonna take money
A whole lotta spending money
It's gonne take plenty of money
To do it right child

It's gonna take time
A whole lot of precious time
It's gonna take patience and time, ummm
To do it, to do it, to do it, to do it, to do it,
To do it right child

I got my mind set on you
I got my mind set on you
I got my mind set on you
I got my mind set on you

And this time I know it's for real
The feelings that I feel
I know if I put my mind to it
I know that I really can do it

I got my mind set on you
Set on you
I got my mind set on you
Set on you

But it's gonna take money
A whole lotta spending money
It's gonna take plenty of money
To do it right child

It's gonna take time
A whole lot of precious time
It's gonna take patience and time, ummm
To do it, to do it, to do it, to do it, to do it,
To do it right child

I got my mind set on you
I got my mind set on you
I got my mind set on you
I got my mind set on you

And this time I know it's for real
The feelings that I feel
I know if I put my mind to it
I know that I really can do it

But it's gonna take money
A whole lotta spending money
It's gonna take plenty of money
To do it right child

It's gonna take time
A whole lot of precious time
It's gonna take patience and time, ummm
To do it, to do it, to do it, to do it, to do it,
To do it right

Set on you
Set on you


lunedì 7 gennaio 2019

Citazioni Cinematografiche n.284

Voglio restare sola... voglio soltanto restare sola
(Grusinskaja/Greta Garbo in "Grand Hotel", di Edmund Goulding - 1932)



domenica 6 gennaio 2019

venerdì 4 gennaio 2019

Giallo, Noir & Thriller/62



Titolo: L'Oscura Immensità della Morte
Autore: Massimo Carlotto
Editore: E/O 2005

Come reagiremmo ad un tremendo lutto? Cosa troverebbe posto nel nostro cuore e nei nostri pensieri di fronte a chi ha ucciso tua moglie e tuo figlio? Cosa vive un condannato all'ergastolo per quel crimine? Come vive chi invece è riuscito a sfuggire alla giustizia? Questi ed altri interrogativi sono contenuti in “L'Oscura Immensità della Morte” di Massimo Carlotto. Non vi sono però risposte certe o chiare, tanto meno rassicuranti.
L'autore veneto invece mostra e racconta al lettore, con una prosa asciutta, a volte essenziale, come il Male alberghi anche dentro la vittima, l'innocente, che si trova a vivere una dimensione ed un'esperienza che può essere sia straniante quanto maieutica e dagli aspetti rivelatori. Se in “Arrivederci Amore, Ciao” la rappresentazione della malvagità umana era affidata ad un vero farabutto, una canaglia patentata come Giorgio Pellegrini, qui il protagonista Silvano Contin è una persona come tante, né migliore o peggiore di chi legge, ma il lutto lo fa cambiare, la rabbia lo porta a degradarsi in ogni modo e sotto ogni aspetto. L'imbruttimento di Contin è contrapposto al pentimento, reale o strumentale che sia, di uno dei colpevoli della rapina da cui tutto è originato. Dopo l'incontro fra i due uomini parte un romanzo nel romanzo, in cui è raccontato, mostrato quello che passa attraverso la morte, la perdita, il perdono, la giustizia, la vendetta e la possibile redenzione.

La scrittura solida e la volontà di mostrare, non di insegnare o spiegare, è uno dei punti di forza del romanzo, in cui Carlotto delinea la sua idea di noir, all'interno della quale spetta solo al lettore farsi un'idea, magari formulare un giudizio sui fatti e sui personaggi. L'autore non lo fa, si limita a riportare quanto accade, così come vissuto dagli uomini e dalle donne che si mostrano al lettore, per ciò che sono, eliminando filtri e inganni vari, così che ogni sentimento, ogni sensazione, ogni azione, persino la più abietta e crudele, gli arrivano come se potessero realmente essergli capitati accanto o fossero la sua stessa vita.



Nel corso di una rapina, un malvivente prende in ostaggio una donna e il figlio di otto anni e li uccide. L'uomo, Raffaello Beggiato, viene condannato all'ergastolo, mentre il suo complice riesce a fuggire. Il marito della donna assassinata e padre del bambino, Stefano Contin, non si dà pace. Per quindici anni vive con l'ossessione di quella che lui chiama "l'oscura immensità della morte". Cambia vita, lascia il lavoro di successo che aveva prima della tragedia e diventa ciabattino in un supermercato, non frequenta più nessuno e va a vivere in uno squallido appartamento di periferia, dove trascorre il tempo a guardare quiz o le foto dei cadaveri dei suoi cari. Ha in mente solo la vendetta e architetta un piano machiavellico per portarla a termine... (da ibs.it)