lunedì 29 giugno 2020

Citazioni Cinematografiche n.361

Jamie: Ve ne andate? E se Pitch dovesse tornare? Se smettessimo di credere in voi? Se io non posso più vederti, ho paura che...  
Jack Frost: Ehi, ehi! Frena, aspetta un attimo, di solito smetti di credere alla luna quando sorge il sole?  
Jamie: No...  
Jack Frost: Ok, va bene. E che fai? Smetti di credere al sole perché le nuvole lo coprono?  
Jamie: No...  
Jack Frost: Noi ci saremo sempre, Jamie, e ora saremo sempre qui. Questo in qualche modo rende anche te un guardiano!
(Jamie e Jack Frost in "Le 5 Leggende", di Peter Ramsey - 2012) 





domenica 28 giugno 2020

Samuel Stern #7 - L'Agenzia


Le prime tavole del settimo albo di Samuel Stern mi hanno dato la sensazione (niente affatto spiacevole) di “già visto”. Come non andare con la memoria, ed anche un po' con il cuore, ai battibecchi in trasferta di Dylan Dog e Groucho nel momento in cui Samuel e padre Duncan si dirigono verso un inquietante paese, in cui accadono cose molto strane e misteriose?

A parte questo, l'albo è molto convincente e coinvolgente, grazie ad una buona sceneggiatura che intreccia e soddisfa sia la trama verticale che quella orizzontale ed al comparto grafico, ottimo sia nella resa dei personaggi, mimica e posture in particolare, che nel rappresentare gli ambienti e le architetture. Gusto artistico e narrazione si uniscono per un ulteriore convincente episodio della serie, che spero continui e ci riservi ulteriori momenti. Anche perché si aggiungono temi e personaggi, ipotesi e dubbi si rincorrono nella creazione di un “mondo” tutto sommato coerente, in cui ci si può aspettare azione, ritmo e sorpresa, così come passaggi più lenti e “pause” esplicative. Certo, si potrebbe obiettare che si sta mettendo tanta (troppa?) carne al fuoco, ma ripongo fiducia per quanto letto e visto finora.


sabato 27 giugno 2020

Saggezza #4

L'uomo ha raccolto tutta la saggezza dei suoi predecessori, e guardate quanto è stupido! 
(Elias Canetti) 



 

mercoledì 24 giugno 2020

Smile


Se tu sorridi è per colmarmi di te 
Se tu sorridi io vedo il mondo intero. 
Paul Éluard












lunedì 22 giugno 2020

Citazioni Cinematografiche n.360

"Ricordatevi soprattutto che il segreto per essere un valoroso è di non esserlo mai troppo."
(cap. Thomas Archer/Richard Widmark in "Il Grande Sentiero", di John Ford - 1964 ) 


 

domenica 21 giugno 2020

Saggezza #3

Non si diventa saggi invecchiando, ma solamente furbi.
(Faye Valentine in Cowboy Bebop) 



 

sabato 20 giugno 2020

Prima sera d'estate

+
Elena Anaya e Natasha Yarovenko in “Habitación en Roma”, di Julio Medem - 2010

giovedì 18 giugno 2020

Re, Principi e Federico il Grande


Noi Italiani non abbiamo una positiva, diretta esperienza di principi, probabilmente anzi abbiamo pessimi trascorsi in merito a monarchia. Indifendibili i Savoia, nel complesso mediocri ma colpevoli di pagine tra le più tristi del '900, con la vergogna del Fascismo e delle leggi razziali del 1938. Pessimi i Borbone e via dicendo, pressoché trascurabili i vari che hanno “amministrato”, per conto di monarchie ben più illustri, porzioni del territorio della Penisola.

Andando più indietro nella storia, nonché nella cultura, il pensiero va all'opera di Niccolò Macchiavelli “Il Principe”. In quella che era ancora “un'espressione geografica” Machiavelli descrive e racconta, in un qualcosa che contiene tratti di un trattato politico, di un manuale e di un vaudeville rinascimentale come, secondo la sua visione si sostanzierebbe la figura e la condotta di un regnante, di come si potesse conquistare e mantenere un “principato”. 
 
Al di là del famoso aforisma secondo cui “il fine giustifica i mezzi”, in realtà non contenuto dall'opera ma semplicistica sintesi che travia e forza alcuni passaggi dell'opera stessa, Machiavelli fu studiato e finanche preso a modello e fonte di ispirazione.
Ancora oggi si sente dire quanto sia “molto più sicuro essere temuti che amati”, infatti nel testo possiamo leggere “E gli uomini hanno men rispetto di offendere uno che si facci amare, che uno che si facci temere; perché l’amore è tenuto da un vincolo di obbligo, il quale, per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena, che non abbandona mai”.

Inoltre noto è il seguente passaggio: “Quanto sia laudabile in un Principe mantenere la fede, e vivere con integrità, e non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimeno si vede per esperienzia, ne' nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà”.

Perché, come ci disse Emil Cioran “Machiavelli sa troppo bene che un Marco Aurelio è un fenomeno raro, anzi unico, che è un'eccezione di cui è inutile tenere conto. I Tiberio, i Nerone, i Caligola, ecco la materia della storia. Ogni principe degno di questo nome si avvicina più o meno a loro; ogni principe che conosca il proprio mestiere è un mostro dichiarato o attenuato e corretto. I suoi sudditi lo meritano. Per questo Machiavelli lo mette in guardia contro i pericoli della bontà. Uno Stato non si compone né di angeli, né di agnelli: è la giungla organizzata. Tale è l'idea, talora espressa, talora sottintesa, del Principe”.

Le case regnanti europee non dimenticarono la lezione. Chi più chi meno, tutte misero in pratica molto di quanto suggerito, mettendoci anche del proprio probabilmente. Con una luminosissima ed emozionante eccezione, incarnata in Federico II Hohenzollern Re di Prussia detto "il Grande”.
Egli scrisse: “Machiavelli ... è stato criticato soltanto da qualche moralista e malgrado loro e la sua morale perniciosa è stato considerato un maestro della politica fino ai giorni nostri. Voglio assumermi la difesa dell’umanità contro questo mostro che la minaccia, opporre la giustizia e la ragione al crimine e al sofisma: ho tentato di esprimere le mie riflessioni sul “Principe” capitolo per capitolo, affinché l’antidoto seguisse immediatamente il veleno […] La storia dovrebbe eternare solo i principi buoni […] I libri di storia sacrificherebbero molto alla verità, ma l’umanità ne trarrebbe vantaggio […] tutti sarebbero convinti che la vera politica dei re, fondata sulla giustizia, la prudenza e la bontà, è preferibile in tutti i sensi al sistema incoerente e orrendo che Machiavelli ha avuto la sfrontatezza di presentare al pubblico”.

Non furono vacue parole scritte, riflessioni vuote, ma trovarono corrispondenza non solo nel suo operato di regnante, ma anche nella sua condotta quotidiana, pubblica e privata. Se ricevette l'appellativo di “Grande”, grande lo fu certo per la varietà dei suoi talenti, a partire dalla strategia militare, campo a lui non congeniale inculcatogli con una durissima educazione dal non amato padre Federico Guglielmo, ma Federico fu soprattutto un illuminato governante, capace di essere di esempio al suo Paese e aperto alle più innovative visioni di una politica sana e saggia.

Inoltre diversi dettagli della biografia di Federico, che fu Re dal 1740 alla morte nel 1786 appaiono di interesse politico, storico ma anche artistico e di costume.
Arte e cultura sono per Federico indispensabili ad un governo di successo: nota la sua amicizia con Voltaire, che visse a lungo suo ospite; noto l’ambiente raffinato e cosmopolita creato da Re Federico nella splendida reggia di Sans Souci, detta la Versailles di Berlino
 
In merito alla musica non fu un semplice appassionato o dilettante ma interprete virtuoso e musicista di talento.
Federico II compose molta musica di discreta qualità: Concerti, Sinfonie, Arie cantate e libretti d’opera, oltre a ben 121 Sonate per flauto e clavicembalo, da lui eseguite a corte con abilità e gusto in duo con l'amatissima sorella Guglielmina.
Di seguito esempi di sue composizioni.


martedì 16 giugno 2020

I Flagelli di Breslavia (2018)


I buoni film giallo-thriller non devono essere per forza marcati USA, o al limite britannici o francesi, possono anche essere girati e prodotti in altri paesi. Ci sono buoni, anzi ottimi esempi dalla Corea del sud, qualche prova notevole francese, spagnola ed anche italiana.
Qualche sera fa, per esempio, ho visto un più che dignitoso film thriller polacco, che ha, tra gli altri, il merito di non volere per forza imitare quelli a budget più ricco.

I Flagelli di Breslavia”, presente nel catalogo Netflix, intrattiene e presenta caratteri e colpi di scena degni di essere goduti. La trama è semplice quanto basta, ma niente affatto esile, avvincente e tesa al punto giusto, tanto da meritarsi un suo sviluppo e una dose di colpi di scena, orchestrati con mestiere e intelligenza.

Ovviamente in un buon thriller non può mancare un serial killer, che dia del filo da torcere alla polizia ed al detective incaricato di catturarlo. La cosa piacevole, almeno per me, è che entrambi in questo caso sono ben caratterizzati ed interpretati senza eccedere in descrizioni o dialoghi che spieghino ciò che invece può essere mostrato, il che aggiunge specificità alla storia e alla già originale ambientazione, ovvero la città di Breslavia, Wrocław in polacco.
Buon ritmo, poche soste, ma non velocità sincopata e poco idonea alla comprensione dei personaggi e della sceneggiatura come spesso accade dalle parti di Hollywood, bensì qualche momento più lento, utile ad assaporare gli eventi e lo sviluppo di una storia. Storia in cui vengono evidenziati i due profili più importanti fra i personaggi, i veri protagonisti.

"I Flagelli di Breslavia", quindi, pur non essendo un capolavoro è una pellicola che si avvantaggia di una buona scrittura, che valorizza in ogni istante il “cattivo”, il serial killer da mettere in primo piano, per ciò che fa e come lo fa e successivamente per le motivazioni per cui agisce. Vincente risulta la scelta di non perdersi in digressioni o sottotrame incentrate su personaggi di contorno. La regia è curata, lucida e, sebbene non esente da qualche autoindulgenza, adotta un suo stile, in cui una serie di lunghe riprese evita un montaggio troppo serrato o di mero effimero effetto ritmico, tipico per esempio di alcune serie televisive di moda.
Tutto questo si risolve in un approccio che funziona sul piano dei tempi narrativi, non banalmente dilatati giusto per inserire parentesi drammatiche o di effetto passeggero. Il film invece raggiunge il suo scopo, intrattenere, divertire e raccontare, non lesinando sangue e violenza, ma funzionali ed intelligentemente inseriti per un prodotto che merita attenzione.


lunedì 15 giugno 2020

Citazioni Cinematografiche n.359

È stato un bene che io mi sia forzata oltremisura: sono riuscita a capire me stessa un po' più di prima
(Shizuku Tsukishima in "I Sospiri del mio cuore", di Yoshifumi Kondō - 1995 )





sabato 13 giugno 2020

Saggezza #2

Aveva sentito dire spesso che con gli anni arriva la saggezza, e aveva aspettato, fiducioso, che questa saggezza gli desse quello che più desiderava: la capacità di guidare la direzione dei ricordi per non cadere nelle trappole che questi spesso gli tendevano. 
(Luis Sepùlveda)


giovedì 11 giugno 2020

Dolce il bacio


Dolce è il bacio di Europa, anche se tocca appena le labbra,
dolce anche se sfiora appena la bocca;
non è alle labbra che s'accosta, ma preme la bocca,
e dal profondo rapisce l'anima intera.
(Antologia Palatina, V, 16 – Traduzione di Filippo Maria Pontani)


martedì 9 giugno 2020

La banalità di una disobbedienza


La disobbedienza per essere civile dev'essere sincera, rispettosa, contenuta, mai provocante, deve basarsi su principi bene assimilati, non dev'essere capricciosa e soprattutto non deve nascondere rancore e odio.
(Mahatma Gandhi)


Nel corso di queste ultime settimane mi è capitato di leggere, sui social network ma anche su quotidiani ed altri contenitori di notizie on line, diversi interventi a tema “disobbedienza” oppure “obbedienza”.
In molti casi i vari post, articoli o commenti prendevano origine da frasi, aforismi o dichiarazioni di molti scrittori, poeti, leader politici o religiosi, figure carismatiche e personalità che a vario titolo hanno meritato, o quantomeno acquisito, notorietà.

Quindi vai di Thoreau, Brecht, Martin Luther King, Mandela, Gandhi, John Lennon, solo per ricordare i più scelti, fino a giungere all'Antigone di Sofocle.
L'elemento che mi turba è la consuetudine, ormai diffusa e infestante, di “utilizzare” frasi e pensieri di qualcuno in modo arbitrario, inoltre avulso da un contesto, drammaturgico-letterario o storico/sociale-politico che sia, per sostenere una propria posizione, una propria idea o anche solo un proprio capriccio. In questo modo si giunge a far un torto all'autore e alla personalità che si cita e il cui pensiero viene ricordato. Va da sé che una riga, un passo di un'opera letteraria o di un discorso tenuto da qualcuno, se estrapolato da un totale, da un ragionamento lungo e complesso, da una condizione specifica, può avvalorare una cosa così come il suo contrario. È necessario ricordare come ci sia ancora qualcuno che sostiene che l'omosessualità debba essere severamente punita dalle autorità civili e religiose basandosi su passi biblici?

Ebbene, le polemiche degli ultimi giorni sull'opportunità di continuare a mettere in atto pratiche atte a contenere la diffusione di un contagio, che si risolverebbero, a mio parere, in pochi comportamenti di buon senso e reciproco rispetto, non mi appassionano particolarmente. Pertanto tenderei ad evitare di discuterne, ma il fatto che qualcuno sia giunto ad utilizzare una frase di Hannah Arendt per giustificare la propria pubblica opposizione (la propria disobbedienza) ad indossare un pezzo di stoffa davanti alla propria bocca ed al proprio naso, allorquando si trovi a parlare ed agire in luoghi pubblici potenzialmente molto frequentati, mi ha messo di malumore e, onestamente, mi ha infastidito.
Ma come, direte voi, Mandela e Gandhi sì, ma Arendt no? Non è questione di simpatie, ma di senso della proporzione. Concetto invero offeso anche da parte di chi, implicitamente, si accomuna al primo presidente del Sudafrica post apartheid ed al padre dell'indipendenza dell'India per sostenere le proprie posizioni. Poiché questi uomini hanno sostenuto le proprie idee e si sono fatti voce della necessità di disobbedire a leggi e pratiche ingiuste, affrontando le conseguenze delle proprie azioni e delle proprie dichiarazioni (non sono sicuro che chi “prende in prestito” le loro parole sia altrettanto pronto a farlo). Perché, si può e si deve trasgredire alla legge che in coscienza si giudica ingiusta, ma occorre anche accettare la pena che essa prevede. 
Come sosteneva don Milani: “Chi paga di persona testimonia che vuole la legge migliore, cioè che ama la legge più degli altri.”

Dunque, tornando a Arendt, è stata utilizzata una sua frase pronunciata durante un’intervista, ovvero “Nessuno ha il diritto di obbedire”.
Presa così, criminalmente dal punto di vista dell'onestà e correttezza culturale e banalizzando il profondo e articolato pensiero di Arendt stessa, diviene uno slogan, un semplice inno e sintomo della pochezza intellettuale di quanti se ne appropriano.
Non mi è semplice esplicare le motivazioni che mi portano a soffrire per l'utilizzo improprio dei concetti di “obbedienza” e di conseguenza di “disobbedienza” in questi tempi balordi, da parte di sprovveduti in termini di conoscenza e rispetto del pensiero logico e speculativo. Così come illustrare i termini della frase in questione pone una difficoltà innegabile, anche perché è pressoché impossibile restituire la densità del ragionamento della politologa e filosofa tedesca fissando quell’unica frase.

Pertanto proviamo a individuare di che tipo di obbedienza si tratti quando diciamo che “nessuno ha il diritto” di metterla in pratica. Per il momento e limitatamente al caso in questione, credo che una parziale interpretazione trovi un punto di appoggio nella critica fatta da Arendt ai regimi totalitari e, in particolare, alla “cieca obbedienza” che drammaticamente essi impongono. In questo caso il diritto verrebbe meno quando le finalità complessive dei regimi totalitari calpestino il riconoscimento di un diritto “superiore”, coincidente con il valore assoluto della vita umana. Solo se viene leso tale valore, allora, cade anche il diritto di obbedire e risulta moralmente impellente, doveroso, passare senza indugi alla disobbedienza civile.

Tale interpretazione troverebbe appoggio, in qualche modo ispirazione, da una serie di passaggi dell'opera arendtiana “La Banalità del Male”. Qui appunto si trova, si troverebbe, una sua collocazione ermeneutica, nonché un senso alla e della citazione riportata. Per completezza la frase originale, resa più breve dall'operazione comunicativa di alcuni, suona così: “Secondo Kant, nessuno ha il diritto di obbedire”. Una frase, presa di peso da un contesto (un'intervista in questo caso specifico) e spostata in un altro con ben poche analogie, perde inevitabilmente riferimenti e collegamenti, rendendola alla stregua di quelle massime che da adolescenti si scriveva sui diari scolastici.
Innanzitutto perché viene chiamato in causa Kant? Kant era un filosofo, si è occupato anche di filosofia morale. La filosofia morale indaga questioni generali che suonano in modo simile alla citazione in questione. Per esempio: “Che cosa ho il diritto di fare?”. Allora proprio Kant diviene indispensabile a capire la frase “Nessuno ha il diritto di obbedire”.
Kant è indispensabile perché, durante il processo subito in Israele di cui Hanna Arendt ci parla nel già ricordato “La Banalità del Male”, era stato nominato da Adolf Eichmann, responsabile di aver organizzato il trasporto di milioni di ebrei (e non solo) nei campi di sterminio per la Soluzione Finale. Uno dei nazisti responsabili dello sterminio degli ebrei, un assassino disse, in breve: non è colpa mia se grazie al mio operato sono morti tanti ebrei, io ho solo obbedito agli ordini e l’obbedienza è una virtù morale, lo dice anche Kant.

A questo punto Hannah Arendt si pone la questione se Kant possa essere chiamato a giustificare la virtù dell’obbedienza, tanto da permettere che vengano arbitrariamente uccise moltissime persone, colpevoli solo di essere ritenute non meritevoli di vivere. Arendt, che ha studiato bene il pensiero di Kant, ci dice che non è possibile. Secondo il senso del pensiero di Kant, sostiene la filosofa, nessuno ha il diritto di obbedire. Ovvero, nessuno ha il diritto di giustificare il proprio operato criminale (e solo di questo si sta parlando, non di seguire alcune semplici indicazioni) dicendo che qualcuno, un leader, una figura di governo, un'autorità, gli ha dato il diritto di farlo.

Se hai obbedito a un ordine che ti imponeva di uccidere qualcuno, anche un individuo inerme per esempio, nessuno ti ha dato il diritto di farlo (si può ragionare se lo si è fatto per dovere, ma non è questo il momento ed il caso). Quell’omicidio lo compi solo tu, rendendotene pienamente responsabile. Quindi sarebbe il caso di lasciare in pace Kant e qualsiasi altra istanza “morale” esterna alla tua coscienza.
Risulta chiara la sproporzione di termini e di concetto fra quanto detto da Arendt ed il contesto a cui si riferiva ed il caso di rispettare alcune banali indicazioni di tutela comune? La politologa e filosofa si rifa a Kant, attualizza e dona nuova dignità al pensiero di Kant scempiato da Adolf Eichmann, per farci notare che il diritto nasce invece sempre da un atto autonomo, non dall’obbedienza a un ordine esterno, e perciò talvolta è persino giusto e “morale” ribellarsi alla legge, ovviamente non se questa legge mi impone di rispettare l'altro, contribuire al benessere e sicurezza comune o di pagare le tasse, ma di uccidere un bambino o di contribuire allo sterminio di un popolo. Certo, a meno che secondo qualcuno indossare una mascherina quando si va a fare la spesa o all'ufficio postale e chiedere che anche altri usino la stessa premura sia un comportamento da nazista.

La prima lezione che potremmo trarre dal libro [Il barone rampante] è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella.
(Italo Calvino)


lunedì 8 giugno 2020

Citazioni Cinematografiche n.358

Hogwarts è stata scelta per ospitare un evento leggendario: il Torneo Tremaghi! Ora, per quelli di voi che non lo sanno, il Torneo Tremaghi chiama a raccolta tre scuole per una serie di competizioni di magia. Da ogni scuola, un solo studente viene scelto per gareggiare. Voglio essere chiaro, chi è scelto se la vedrà da solo, e fidatevi se vi dico che queste gare non sono per i deboli di cuore. 
(Albus Silente/Michael Gambon in "Harry Potter e il Calice di Fuoco, di Mike Newell - 2005")





sabato 6 giugno 2020

Saggezza #1

Acquistar saggezza in questo mondo spesso significa tener chiusa la bocca e non tirar fuori quel che si sa se non al momento giusto
(Erica Jong) 



 

mercoledì 3 giugno 2020

Johann Sebastian Bach - Variazioni Goldberg


Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750) fu non solo un musicista sommo, assolutamente unico, ma anche un infaticabile lavoratore.
Si pensi che ci ha lasciato una quantità enorme di pagine, che è lecito definire, senza cadere nella più banale retorica, una più bella dell’altra. Sembra che in vita, dai suoi contemporanei, fosse apprezzato più come organista che come compositore, ma nel corso dell’800 venne riscoperto ed in seguito mai più dimenticato. Pensiamo all'opera ed all’interesse di musicisti come Mendelssohn, che nel 1829 rimaneggiò e diresse la Passione secondo Matteo, oppure Schumann che nel 1850 creò la Società Bach, con il compito di favorire l'esecuzione delle sue musiche nonché di pubblicarne l'intera opera.

Bach è tuttora studiato, tra le altre cose, per quanto contenuto nelle sue composizioni, ovvero una unica architettura modulare e le sorprendenti simmetrie a cui si aggiungono, fra gli studiosi di materie che solo apparentemente risultano lontane dalla musica, gli schemi matematici che tuttora stupiscono all'ascolto. Inoltre il buon Johann Sebastian Bach è al momento l’unico compositore le cui opere, anche se eseguite con strumenti diversi e distanti tra loro ed in pressoché qualsiasi stile, riescono a rimanere sempre emozionanti, anche solo “belle”, o quantomeno apprezzabili.


Le Variazioni Goldberg BWV 988 vengono composte intorno al 1742 in onore di un allievo che Bach stimava in modo particolare: Johann Gottlieb Theophilus Goldberg, Maestro di Cappella presso il conte von Brühl a Dresda. 
 
Le Variazioni Goldberg sono ora spesso eseguite con il pianoforte, ma furono scritte per clavicembalo, dal momento che all’epoca il pianoforte ancora non esisteva (almeno così come lo conosciamo oggi).
L'uso del pianoforte dona dolcezza, colore e calore alla esecuzione, che consta “semplicemente” in un tema (Aria), struggente, collocato in testa e in coda a trenta variazioni.


Così si esprimeva Gleen Gould, il pianista, compositore, clavicembalista e organista canadese a cui le Goldberg spesso nell'immaginario vengono abbinate: “È una musica, in breve, che non conosce né inizio né fine, una musica senza un vero punto culminante e senza una vera risoluzione… Essa ha quindi un'unità che le viene dalla percezione intuitiva, un'unità che nasce dal mestiere e dalla rigorosità, che è ammorbidita dalla sicurezza di una maestria consumata e che qui si rivela a noi, come avviene tanto raramente in arte, nella visione di un disegno inconscio che esulta su una vetta di potenza creatrice”.

Ovviamente molti altri pianisti e clavicembalisti hanno ripreso le Variazioni Golberg, per cui si possono godere e gustare secondo le proprie simpatie o propensioni. Fortunatamente.



lunedì 1 giugno 2020

Citazioni Cinematografiche n.357

Ti amo così come sei, non avrei mai voluto che agissi diversamente!
(Capitano Jean/Daniel Auteuil in "L'amore che non muore", di Patrice Leconte - 2000)