domenica 30 settembre 2018

Artista e Tabù

La maggior parte degli artisti sono attratti da ciò che è tabù. Un artista serio non può accettare i tabù, qualcosa che non puoi guardare, pensare, toccare”.

(David Cronenberg)






venerdì 28 settembre 2018

Dampyr #222 - Il Suicidio di Aleister Crowley


Una delle maggiormente apprezzabili caratteristiche (tra le tante) della serie Dampyr, è la capacità di introdurre e rendere alla portata del lettore le biografie di personaggi realmente esistiti, inserendole con un certo fascino nelle trame degli albi in edicola e più in generale nella continuity e macrotrama della testata.



Il Suicidio di Aleister Crowley”, numero 222, lo rende evidente fin dal titolo. L'inquietante esoterista ed occultista britannico era già comparso in passato, con un ruolo non proprio positivo, ma qui è affiancato dal più importante scrittore portoghese, Fernando Pessoa, reso noto e conosciuto in Italia principalmente grazie ad Antonio Tabucchi. In quest'albo, che possiamo definire nella media qualità della serie, è presente il “solito” passaggio fra presente e passato, qui grazie alle visioni di Ann Jurging, ma soprattutto ritornano i Grandi Antichi lovecraftiani (già apparsi con buoni risultati nella saga dampyriana) e altri fondamentali elementi dell'immaginario del visionario autore di Providence. 

 

L'albo probabilmente è apprezzabile per l'ennesima prova, da parte di Mauro Boselli, della capacità di offrire un'affascinante ricostruzione storico-letteraria, in cui siano presenti ed elegantemente rappresentati gli elementi che rendono Dampyr una serie da seguire ed a cui appassionarsi, ovvero la Letteratura, la Poesia, l'Azione, la Storia e, ovviamente, l'Horror.

Un punto in più lo si deve alle ricostruzioni della Lisbona antica e moderna, ad opera del disegnatore Michele Cropera, che inoltre rende ottimamente le atmosfere, siano prettamente di natura fantastica, tra mostri, ambientazioni ben curate e geometrie paradossali di stampo escheriano, che più aderenti alla realtà. 

 

Indagando su Aleister Crowley, sparito nella lotta contro i Grandi Antichi, la veggente Ann Jurging scopre un tenue filo che lo collega a Fernando Pessoa, il grande poeta portoghese. Nella vita dei due, che si stimavano e si conoscevano, c’è un enigma, legato alla misteriosa scomparsa di Crowley nel 1930 presso la scogliera nota come Bocca dell’Inferno. Perché Pessoa si rese complice del famigerato Magus? Quale pericoloso rito tantrico Crowley intendeva compiere nella bizzarra e sinistra Quinta da Regaleira? Perché Ann ha sognato il terribile terremoto di Lisbona e le isole immaginarie dell’Atlantico? Per salvare l’Europa, Ann, insieme a Harlan, Tesla, Kurjak e Bobby Quintana, dovrà ripercorrere le orme di Crowley e Pessoa, e impedire che dal mare rinasca la terrificante città di R’lyeh… (da sergiobonelli.it)


mercoledì 26 settembre 2018

Un Brano ed un Artista Jazz #2 - Louis Armstrong


Qualcuno in passato ha affermato che senza Louis Armstrong il jazz probabilmente non sarebbe esistito. Di sicuro c'è che sarebbe stato diverso, almeno per quanto riguarda la tromba che, nata per orchestra, con questo fondamentale artista partito da New Orleans si nobilitò fino a diventare uno strumento solista.
Con Louis Armstrong il jazz degli inizi si trasformò da genere di divertimento e svago in vera e propria forma d'arte. Inconfondibile la tromba di Satchmo, ma inconfondibile è anche la sua voce. Il canto di Armstrong, reso immortale da un capolavoro oltre ogni genere e fuori dal tempo e dallo spazio come What a Wonderful World, sa essere anche ruvido e malinconico, ma allo stesso tempo dolce ed elegantemente velato di una sottile serenità che confina con la gioia di vivere e cantare la vita stessa.
Un po' come accade in Body and Soul.



For you, I sigh, for you, dear only
Why haven't you seen it, I'm all for you
Body and soul
I spend my days in longing
Wondering why it's me that you're wronging
I tell, you I mean it, I'm all for you
Body and soul
I can't believe it, it's hard to conceive it
That you'd turn away, romance
Are you pretending, it looks like the ending
Unless, I could have one more chance to prove, dear
My life a wreck, you're making
You know, I'm yours for just the taking
I'd gladly surrender myself to you
Body and soul
My life a wreck, you're making
You know I'm yours for just the very taking
I'd gladly surrender myself to you
Body and soul

lunedì 24 settembre 2018

Citazioni Cinematografiche n.269

Queste regole sono semplicissime, le capirebbe un bambino di quattro anni, Chico, vammi a trovare un bambino di quattro anni, perché io non ci capisco niente! 
(Rufus T. Firefly/Groucho Marx in "La Guerra Lampo dei Fratelli Marx", di Leo McCarey - 1933)




sabato 22 settembre 2018

Oltre le parole












Durante gli ultimi mesi il giornalismo, la politica ed il dibattito che ne consegue fanno un notevole uso di termini quali populismo, sovranismo ed antieuropeismo.
Populismo, Sovranismo, Antieuropeismo. Non sono certo che ci sia accordo e condivisione sul significato di queste parole, in particolare nel momento storico attuale dove, in Italia ma non solo, sembra sia imprescindibile farle andare a braccetto, accompagnandosi l'una all'altra, quasi come unica espressione politica e culturale.

Ho l'impressione che simpatizzanti e oppositori di determinate scelte governative, ognuno per proprio conto, ricorrano a tali termini come paravento, velo oltre il quale nascondere l'essenza più autentica e vera di un modo di parlare, di fare politica, di vedere ed interpretare la realtà, ovvero la natura più feroce e dura di imporre e cavalcare una prospettiva sociale e culturale nel senso più fondamentale dell'espressione.


Forse è il caso di dire che dietro Populismo è presente un gruppo di improvvisati, arroganti e ignoranti che, come in ogni periodo storico di crisi, sale alla ribalta con ricette facili, soluzioni pronte, promesse di “rivoluzioni” semplici e garantite senza sforzo o sacrificio. Una cricca di neofiti della politica che si fanno belli garantendo risoluzioni semplici e lineari a problemi complessi e compositi. Un manipolo di miracolati dal suicidio della Sinistra, che campano cavalcando ogni illogicità, ogni rigurgito antiscientifico, ogni egoismo “di pancia” purché squisitamente e genuinamente antiqualcosa (casta, lobby varie, poteri forti, ecc.).



Forse è necessario sottolineare come il Sovranismo da piazza virtuale amplificato da tweet e condivisioni, in realtà assomigli fin troppo al nero nazionalismo del secolo scorso, colorato da un socialismo etnico bianco che spiana il percorso verso il pieno e completo sdoganamento dei fascismi più gretti e pericolosi. Quelli che sono contrari ad ogni diritto e tutela per chi non sia “geneticamente” della parte giusta, quelli per cui il vero passo avanti consiste nel tornare indietro di 80 anni. Quelli per cui sarà più difficile abortire o divorziare, ma più facile possedere pistole e fucili, quelli che permetteranno ad ogni evasore di arricchirsi ancora di più.





Forse è urgente informare che l'Antieuropeismo sventolato in ogni occasione non comporta il ritorno di lira, marco, franco, fiorino o sesterzi come moneta di scambio, bensì il riemergere di egoismi, rivalità, muscolari quanto patetiche dimostrazioni di superiorità. La cui conseguenza è logico individuare che consista nel far crescere il bisogno di “pulizia” e “ordine”, “azione” e “incisività”, maschia franchezza e militare disciplina, fino ad auspicare una maggiore presenza di divise e gerarchie che sostengano e legittimino una Rinascita totale e totalizzante, per il beneficio di pochi a scapito dei più.




mercoledì 19 settembre 2018

Giallo, Noir & Thriller/58



Titolo: Una Ragazza Cattiva
Autore: Alberto Beruffi
Editore: Libromania – 2017


Accade che tra le miriadi di nuove proposte nel panorama letterario italiano di genere, a metà fra la autoproduzione e la selezione operata dalle case editrici, ci si trovi a leggere un libro thriller che sorprende e ammalia. È il caso di “Una Ragazza Cattiva” dell'autore Alberto Beruffi per Libro/Mania.
Ambientato a Mantova, scelta originale e vincente, la storia alterna con attenzione ed efficacia ammirevole il presente e gli anni 80, cogliendone più aspetti e peculiarità attraverso la chiave delle canzoni e della musica.
Sono le canzoni, italiane fra le più note e degli artisti maggiormente rappresentativi del Bel Paese fra anni 80 e 90, a fungere da indizi, allo stesso tempo filo che unisce idealmente e nella pratica una serie di omicidi. Le indagini si dipanano fra vari personaggi che il lettore conosce nella loro adolescenza e durante gli anni della loro maturità, toccandone vizi e virtù, aspetti negativi ed elementi di luce. 

 
L'autore mostra di conoscere la narrazione e di sapere come coinvolgere il lettore, giocando con rispetto con le sue aspettative ed i suoi gusti. A dirla tutta circa a metà del libro sembra di intuire chi sia il colpevole degli omicidi rappresentati (poiché di vere rappresentazioni si tratta), ma Beruffi mescola le carte quel tanto che basta per non togliere tensione e così alimentare l'attesa. Ingredienti da thriller nordamericano, canzoni italiane, una città di provincia, meschinità e cattiveria che si mostrano tanto atroci quanto crudelmente vere e tanto dolore che sembra di provarlo pagina dopo pagina.
Dispiace quasi che si debba arrivare ad una conclusione, dal momento che anche il lettore si diverte a mettere insieme elementi delle scene dei crimini e testi musicali, ben sorretti anche dai personaggi “secondari”, che hanno la dote di saper giungere in aiuto quando quelli principali rischiano se non proprio di venire a noia quantomeno di essere troppo al centro di una vicenda e di una storia, serrata nei tempi ma che affonda le radici in abitudini e costumi che sembrano tramandarsi e dipanarsi fino all'oggi.
Un pizzico di satira, qualche frustata metaforica alla grettezza ed alla meschinità di certe figlie e di certi figli di quelle “famiglie bene” che covano ed allevano la cattiveria e l'orrore nei loro lussi e nei loro privilegi.
Concludo, notando che presto "Una Ragazza Cattiva" sarà riedito da Newton Compton, rivolgendo l'invito a riascoltare i brani musicali usati e citati nel romanzo, una ulteriore emozione di cui essere grati all'autore.


A metà degli anni Ottanta il collegio Santo Spirito di Mantova decide di aprire le sue porte anche alle ragazze. L’arrivo delle allieve stravolge la routine della gloriosa istituzione, con conseguenze tragiche. Venticinque anni dopo, nella medesima città, tre donne sono assassinate in rapida successione e inizia a diffondersi il timore che sia all’opera un serial killer. La scia di sangue sembra inarrestabile e tocca all’ispettore Marco Pioggia, coadiuvato da un esperto di musica e da una criminologa italoamericana, cercare di intuire la prossima mossa dell’assassino. La verità che si nasconde dietro le macabre rappresentazioni inscenate nei delitti è sconvolgente ed è solo l’inizio di un nuovo, terribile gioco. (da deaplanetalibri.it)

lunedì 17 settembre 2018

Citazioni Cinematografiche n.268

Obi-Wan Kenobi: Tu eri il Prescelto! Era scritto che distruggessi i Sith, non che ti unissi a loro! Dovevi portare equilibrio nella Forza, non lasciarla nelle tenebre!
Dart Fener: Io ti odio!
Obi-Wan Kenobi: Eri mio fratello, Anakin. Ti volevo bene.
(Obi-Wan Kenobi/Ewan McGregor e Dart Fener/Hayden Christensen in "Star Wars: Episodio III – La vendetta dei Sith", di George Lucas - 2005)


domenica 16 settembre 2018

Nathan Never #327 - Il Poeta - Un consiglio di lettura


Ancora per qualche giorno sarà in edicola il numero 327 di Nathan Never. "Il Poeta" è la prima di una storia in due parti (la seconda sarà disponibile durante la prossima settimana), che per vari motivi consiglio di leggere. Fruibile e godibile anche da parte di chi conosce poco o per nulla la serie, questo albo si distingue sia per la sceneggiatura ed i testi che per il comparto grafico.



Bepi Vigna e Romeo Toffanetti ci propongono un’indagine inusuale ed intrigante, incentrata sull’eccentrica figura di Joe Vangeance, poeta, scrittore, regista e artista multimediale. Questo curioso personaggio incarica l’Agenzia Alfa di indagare su se stesso, ovvero di scoprire ed approfondire l’origine nebulosa e confusa dei propri ricordi.
Nathan Never quindi si ritrova a vivere un’esperienza in cui l’arte e la realtà, la rappresentazione dell'una e dell'altra si fondono fra loro, con effetti artistici, sorprendenti ma anche potenzialmente disorientanti.



La percezione di noi stessi, dell'ambiente circostante e degli altri, il confronto e l'incontro con l'arte, reale e artificiale, indotto e naturale sono al centro della storia. Storia che si pone come una profonda riflessione sul valore dell’arte, sulla creazione e sul ruolo dell’artista

Atmosfere hard boiled, un'indagine che potrebbe essere "vecchio stile" ma che deve fare i conti con la tecnologia e le sue ripecussioni sulla vita e sui manufatti, per una trama che giunge a riprendere suggestioni e tematiche care a Philip K. Dick, scrittore le cui opere sono state di notevole ispirazione per gli autori di Nathan Never.

In più meritano di essere ammirati e goduti i disegni di Romeo Toffanetti, che assecondando la sceneggiatura ci offre una prova che fa divenire punto di forza la resa delle atmosfere e dei giochi di luci ed ombre.
Una curiosità: io ci ho visto anche un evidente riferimento al film di Roman Polanski "L'Uomo nell'ombra", nelle atmosfere e in vari dettagli ambientali e visivi, oltre che in una serie di dettagli nella trama. 



mercoledì 12 settembre 2018

Un Brano ed un Artista Jazz #1 - Billie Holiday


Eleanora Fagan nasce a Filadelfia nell'aprile del 1915.

Trasferitasi a Baltimora con la madre e poi a New York conosce la povertà e l'ambiente pericoloso e niente affatto favorevole ad una giovane donna, che formeranno la futura Lady Day alla parte più scura e dolorosa della vita. Prima di diventare una delle voci più intense nella storia del jazz, con il nome d'arte di Billie Holiday attraversa la disperata necessità di guadagnarsi pochi centesimi per mangiare, il razzismo stupido e brutale dell'America bianca che le negherà anche di esibirsi nelle grandi città, la prostituzione. Tutti dolori che l'artista riuscirà a riversare e sublimare in un canto inconfondibile e straordinariamente amaro.

Non mi va di cantare una canzone così com'è. Devo comunque cambiarla alla mia maniera”, disse una volta la Holiday, ed in effetti la sua tecnica, la sua intensa voglia di stravolgere sempre il brano da eseguire, mettendoci “del proprio”, rendono uniche le sue interpretazioni.

Questo accade soprattutto quando unisce la propria forza creativa con una spasmodica volontà di comunicare se stessa, di farsi conoscere e capire. Comunque la grandezza di Billie Holiday non si limita solamente alle registrazioni che testimoniano quanto scritto finora e la sua personale identità vocale. Fu artista anche come autrice, elegante, profonda e mai banale. Persino anche quando racconta una delle sue tante, disperate e sfortunate, storie d'amore. Come in “Don't Explain”.


Hush now, don't explain
Just say you'll remain
I'm glad you're back, don't explain
Quiet, don't explain
What is there to gain
Skip that lipstick
Don't explain
You know that I love you
And what love endures
All my thoughts of you
For I'm so completely yours
Cry to hear folks chatter
And I know you cheat
Right or wrong, don't matter
When you're with me, sweet
Hush now, don't explain
You're my joy and pain
My life's yours, love
Don't explain
You know that I love you
And what love endures
Nothing rates above you
For I'm so completely yours
Cry to hear folks chatter
And I know you cheat
Right or wrong, don't matter
When you're with me, sweet
Hush now, don't explain
You're my joy and pain
My life's yours, love
Don't explain

lunedì 10 settembre 2018

Citazioni Cinematografiche n.267

Ha mai beccato cinquecento pugni in faccia per sera? Irrita la pelle dopo un po'. 
(Rocky Balboa/Sylvester Stallone in "Rocky II", di Sylvester Stallone - 1979)





sabato 8 settembre 2018

8 Settembre



"C’è stato l’8 settembre!"
"E che c’entra, tutti gli anni c’è l’8 settembre. Anche il 9 e il 10"
Diego Abatantuono e Antonio Catanìa in Mediterraneo di Gabriele Salvatores, 1991. Premio Oscar per il miglior film straniero.


giovedì 6 settembre 2018

A History of Violence (2005)


Tom Stall diventa un eroe dopo aver sventato una rapina nel suo diner uccidendo due criminali per legittima difesa. La sua vita viene stravolta dal circo mediatico che lo spinge sotto l’occhio di tutti, anche di due malavitosi capitanati dallo sfregiato Carl Fogarty. Questi è convinto che Tom sia in realtà Joey, un uomo dal passato criminale. Fogarty inizia a insidiare la moglie e i figli di Tom, che dovrà proteggere la sua famiglia dalla sua stessa, reale identità.

David Cronenberg è tuttora noto per le mutazioni che i personaggi dei suoi film subiscono o vivono sui loro corpi. In varie occasioni le storie da lui create e realizzate sul grande schermo hanno visto protagonisti che cambiavano radicalmente nel fisico, o che sullo stesso fisico basavano le proprie vicissitudini o avventure. “La Mosca”, “Crash” e “Videodrome” sono solo alcuni titoli esempio, ma l'intera carriera del regista canadese è un'esplorazione delle mutazioni del corpo e della carne. Cronenberg nella sua carriera ha saputo studiare le devianze e le ossessioni di ogni genere, dirigendo film tanto belli quanto (talvolta) ripugnanti, per metterci di fronte alla mutazione, al cambiamento, alla transizione dell'essere umano nel e sul proprio corpo, sulla carne.



In “A History of Violence”, invece, la metamorfosi, il cambiamento non è primariamente carnale, centrata sul corpo, sebbene esso stesso e la carne ne siano coinvolti, questa volta attraverso modalità più “classiche”. Il protagonista Tom Stall, un Viggo Mortensen in gran forma che anche grazie a questo film si liberò delle scorie da eroe tolkieniano, vive un cambiamento che è di personalità, attraverso gesti, parole e atteggiamenti. Da mite padre di famiglia a killer freddo e lucido, allenato e abituato alla violenza. Per cui una metamorfosi “intra” che è figlia di un'altra precedente che lo spettatore non ha visto e che è portato ad immaginare, attraverso quanto osserva sullo schermo. Un cambiamento che di fatto è un ritorno ad un qualcosa che si era abbandonato, ma che si conclude con un altro tentativo di ritorno a ciò che si era creato. Una velleità che però è solo illusione, poiché tutto il suo mondo privato ne è rimasto segnato e radicalmente mutato.



Quindi “A History of Violence” può essere definita la storia di un uomo e della sua metamorfosi (come detto, tema caro all’autore) che avviene tutta, senza trucchi o effetti speciali, davanti agli occhi dello spettatore. Avviene di fronte ed all'interno della sua famiglia, qui vista come fondamentale cardine della società e della rispettabilità della stessa oltre che del singolo, con la violenza che è innanzitutto quella di mettere a nudo un uomo di fronte ai suoi affetti, ai suoi figli, a ciò che ha costruito. C'è molto di mito fondativo americano in questo approccio. Mito che allo stesso tempo viene omaggiato e desacralizzato, con bugie, urla, inganni, sesso consumato sui gradini e, appunto, violenza. All'inizio sembra violenza giustificata e giustificabile, poiché esercitata nei confronti di chi insidia e attacca l'armonia individuale e comunitaria, poi viene mostrata come insita nell'uomo. Violenza che viene mostrata come trasmissibile ai propri figli. Tom che poi è Joey l'ha probabilmente imparata/ricevuta da un padre/fratello ed a sua volta la trasmette ai componenti della sua famiglia. La narrazione è colma di tensione e lo spettatore vive il dubbio su quanto sta osservando. Cronenberg incentiva l’esibizione della metamorfosi a vista del personaggio, quasi fosse qualcosa che non ha una reale profondità, psicanalitica, edipica, remota, ma qualcosa che avviene tutta nel presente, sull’epidermide e sul volto mutevole (Viggo Mortensen di fatto passa dall’essere Tom a Joey anche nella stessa scena) del protagonista, così come su quelli della moglie e del figlio maggiore.



Grazie anche alla grande prova del già citato Mortensen, di Ed Harris, di William Hurt e di una sorprendente Maria Bello nel ruolo della moglie del protagonista, questo film risulta di gran lunga uno dei migliori di Cronenberg. Drammatico e monolitico nella sua classicità, a cavallo fra western e noir, con caratteri e stilemi narrativo-rappresentativi di entrambi i generi, “A History of Violence” ci racconta anche di una mitologia nordamericana che viene trattata in modo audace e raffinato, con gli archetipi del focolare domestico, della libertà individuale, del viaggio, della difesa della proprietà privata e dei propri valori. Magistralmente proposti attualizzandoli con un occhio rivolto al classico. Ma qui non c'è eroismo, solo la fredda, abbagliante drammatizzazione del sogno/incubo nordamericano, con parecchia violenza, anche dove non si vede carne o sangue.





martedì 4 settembre 2018

Marx: Economia e Politica


Quanti abbiano avuto la pazienza, il tempo, una corretta predisposizione alla lettura ed all'interpretazione, nonché una certa dose di “onestà” critico-storiografica, sono consapevoli che Karl Marx e Friedrich Engels abbiano affermato, nei loro scritti, la necessità che l'Economia fosse predominante rispetto alla Politica.
Fu una loro geniale intuizione, probabilmente la maggiore scoperta da loro operata. Il primato dell'Economia rispetto alla Politica.
Messa così sembra un gran favore, un inconsapevole assist ai capitalisti, ai padroni, alle multinazionali.
Non è proprio così, Economia e Politica avrebbero dovuto dialogare (il materialismo dialettico non è solo questo ovviamente), ma vi prego di farmi scrivere ancora qualcosa su Marx, Engels e quelle che si sono dichiarate incarnazioni politiche e pratiche del loro pensiero, per poi tornare al punto di cui sopra.

Ebbene, partendo da Lenin (immagino non ci sia bisogno di presentarlo), si è assistito e si è vissuta l'autonomizzazione della Politica rispetto all'Economia, operata essenzialmente dai comunisti/socialisti, forse per troppa fretta, forse per una non del tutto corretta interpretazione degli scritti marxiani. La Politica considerata autonoma e superiore all'Economia. Pertanto i comunisti/socialisti, definitesi marxisti, rinunciarono a servirsi di quella che probabilmente fu la più geniale scoperta di Marx.
Quello che nei loro scritti il buon Marx ed il suo sodale Engels prefiguravano, sognavano, era un Eden laico, punto di arrivo del massimo livello di sviluppo economico possibile del capitalismo. Il prodotto di una società ricca, economicamente progredita e stabile, che nel comunismo avrebbe dovuto trovare il mezzo per diventarlo ancora di più, dove il benessere e l'agiatezza sarebbero stati a portata di tutti. Una società egualitaria, giusta, ma anche opulenta, dato che Marx mai auspicò l'eguaglianza nella povertà e nell'indigenza, tanto meno teorizzava una società repressiva, violenta o liberticida. Ruolo centrale aveva ed avrebbe dovuto avere l'Economia, in un contesto più giusto ed equo. Ovvero “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.
Come si arrivò, invece, nella storia del '900, a società e stati comunisti ove i concetti vennero ribaltati e traditi, è appassionante materia, almeno, ma non solo, storiografica.

Dalla Rivoluzione d'Ottobre con il movimento comunista, nello specifico seguendo il pensiero marxista-leninista, l'Economia fu messa in secondo piano rispetto alla Politica. Si potrebbe dire che in Lenin prevalse l'ambizione di essere un costruttore di Storia, giungendo così a forzare i tempi di un percorso invece lungo, con un parto prematuro, quindi la costruzione del Socialismo in un Paese economicamente e socialmente arretrato, come lo era la Russia zarista. Medesimo errore fu poi commesso da altri, ragione per cui fu legittimo e lo è tuttora, considerare Lenin traditore del pensiero marxiano ed engelsiano, in quanto affidò alla Politica anche i compiti che sarebbero toccati all'Economia. Una sorta di comunismo “asiatico”, che tragicamente aprì la strada a Stalin ed ai suoi epigoni.
Marx ed Engels mai avrebbero voluto la supremazia della Politica rispetto all'Economia, ma neanche che quest'ultima fosse totalmente libera e priva del supporto e dell'opera di verifica da parte della prima. Come detto la Rivoluzione Russa fu il trionfo della Politica sull'Economia, tutta la successiva costruzione del comunismo fu colpevolmente fondata sulla prima che si appropriò dei compiti specifici della seconda, nella aberrante forma della dittatura. Tale costruzione andò incontro alla disfatta, con il movimento comunista mondiale che cercava l'egemonia essenzialmente attraverso la forza, mentre i paesi capitalistici la ottennero sul terreno dell'economia. Vi dice qualcosa il “Piano Marshall”? Gli Stati Uniti se ne servirono per consolidare (alcuni dicono creare) il loro predominio, operando con maggiore forza e convinzione in Europa, arrivando a vincere il confronto planetario con l'Unione Sovietica grazie alla loro superiorità economica, costringendo lo storico avversario ad abdicare (non sconfiggendolo, sia chiaro). Insomma riuscivano a produrre maggiore ricchezza, al di là di come e dove fosse distribuita.
I cari Marx ed Engels, un secolo prima, avevano già capito il problema. Per poter rappresentare una fondamentale (definitiva?) tappa nel cammino dell'umanità sulla strada del progresso, era necessario che il modello di produzione “comunistico” si rivelasse in grado di produrre più benessere rispetto a quello capitalistico.
Quindi non condizioni di vita uguali ma misere, bensì “ricchezza” collettiva, risultato della fatica dell'uomo e base di ogni progresso sociale ed economico, grazie alla quale l'uomo stesso sarebbe divenuto veramente libero.

Ora, per non farla troppo lunga, tuttora si rischia di dover pagare l'errore, commesso anche da parte dei partiti comunisti occidentali, che hanno dimostrato di aver letto e vissuto Marx attraverso l'interpretazione leninista, pur con qualche opportuno aggiustamento e in virtù delle vicende storiche vissute. Va da sé che il Piano Marshall era essenziale per ricostruire un'economia ed un Paese, giacché come marxianamente se ne rese conto Palmiro Togliatti in Italia, per risollevare il Paese era necessario evitare la catastrofe di una bancarotta di Stato, che forse avrebbe portato ad una non proprio auspicabile rivoluzione, pericolosa da gestire e quasi sicuramente destinata a fallire e portare ulteriori lutti e sciagure. In Italia quindi, ma il resto dell'Europa occidentale non se ne differenziò troppo, opportunamente i partiti marxisti scelsero di spingere per una politica di lavoro, quindi di creazione di ricchezza, evitando una strategia di sussidi. Allo stesso tempo, però, a sinistra si è continuato a credere nella possibilità della Politica di riuscire ad esercitare ugualmente l'egemonia sull'Economia, lasciata in toto all'iniziativa capitalistica. Ovvero i partiti e le organizzazioni di sinistra, un tempo comuniste-socialiste, giacché non giunsero ad instaurare la nota “dittatura del proletariato” tanto meno si trovarono ad operare in Stati assolutistici e tirannici, bensì compiute democrazie rappresentative, riversarono forze, energie e risorse intellettuali nella sfera politica ed in quello culturale come creazione e diffusione di cultura, lasciando che gli strumenti della “creazione di ricchezza” rimanessero nella mani dei capitalisti. Capitalisti che, per definizione, puntano e pensano solo alla creazione di capitale, prevalentemente per sé stessi, solo per sé, fregandosene di eventuali regole che non siano a loro esclusivo e totale vantaggio. Quando il Capitale ha dialogato con la Politica lo ha fatto per corromperla a proprio vantaggio, con il Partito Socialista craxiano fulgido esempio di tale manifestazione.

Esiste un capitalismo responsabile? Un capitalismo illuminato? No, solo Adriano Olivetti e chi a lui ha guardato, ha potuto ipotizzare e realizzare il concetto che il profitto aziendale debba essere reinvestito a beneficio della comunità. Le multinazionali, il privato imprenditore ed altri elementi del genere non lo hanno fatto, non lo fanno e mai lo faranno.
La Sinistra, la Politica sociale in generale sta sempre più perdendo il confronto. Avendo creduto nel primato della Politica sull'Economia, illudendosi che la prima potesse disgiungersi dalla seconda, lasciata totalmente in mano al Capitale, ha favorito la vittoria di quest'ultimo. Il Capitalismo, l'economia che esso incarna, aberrazione stessa del più sano concetto di Economia quale sistema di interazioni per soddisfare i bisogni individuali e collettivi, nel rispetto degli elementi che tale sistema vanno a comporre, è nemico della collettività.
La Politica ora dovrebbe riguadagnare terreno, nell'ottica di reale interazione con l'Economia, non per annullarne il primato, poiché in un sistema globalizzato tale prospettiva è irrealizzabile, ma bensì per contenerne e indirizzarne le energie e le inevitabili derive.
A livello di singoli stati ciò è difficile, ma in un'ottica di politica europea è francamente non solo auspicabile, ma imprescindibile, giacché Marx stesso ebbe a scrivere che “tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a un livello di profonda degradazione”.


lunedì 3 settembre 2018

Citazioni Cinematografiche n.266

Obi-Wan Kenobi: Non so perché ma sento che tu sarai la mia fine...
Anakin Skywalker: Non dire così maestro, per me sei ciò che più assomiglia a un padre.
Obi-Wan Kenobi: E allora perché non mi dai ascolto?
Anakin Skywalker: Io ci provo!

(Obi-Wan Kenobi/Evan McGregor e Anakin Skywalker/Hayden Christensen in "Star Wars: Episodio II – L'attacco dei cloni", di George Lucas - 2002)