Titolo: Un
Caso Archiviato
Autore:
Arnaldur Indriđason
Traduttore:
Cosimini Silvia
Editore:
Guanda – 2010
Torno
a parlare di un romanzo di Arnaldur Indriđason,
lo faccio per la quarta volta con un libro di cui mi sento di
consigliare la lettura, con l'augurio che vi risulti emozionante ed
appagante come lo è stato per me.
La
bravura dello scrittore islandese, in grado di creare un
riconoscibile ed originale personaggio seriale come il detective
Erlendur Sveinsson,
risiede in questo Un
Caso Archiviato
soprattutto nell'appassionare il lettore non in una, non in due,
bensì in tre drammatiche storie di suicidio/omicidio/sparizione.
Riesce a farlo con caratteri coinvolgenti e dialoghi
realistici ed efficaci,
opportune descrizioni di paesaggi splendidi e pericolosi, in cui si
muovono personaggi complessi e quasi vivi, con un ritmo
armoniosamente cadenzato dalle indagini e da vari momenti di
riflessione. In
realtà non si tratta propriamente di un'indagine, poiché Erlendur
opera a “titolo personale”, considerando che il caso da cui tutto
origina è prontamente archiviato come suicidio. Archiviati, almeno
ufficialmente, sono anche gli altri due tragici eventi con cui il
solitario ispettore si intrattiene, stimolato da una sua peculiare
attrazione verso in casi di scomparsa e da una drammatica biografia
personale.
In
questo libro, anche più di quanto mostrato in precedenti romanzi,
come ad esempio ne “La Voce” e “LaSignora in Verde”, Erlendur deve fare i conti con la
propria famiglia, la moglie abbandonata ed i figli trascurati, oltre
che con il “fantasma” del fratello, tristemente perduto durante
l'infanzia.
In
Un caso archiviato i fantasmi familiari si
sovrappongono a fantasmi veri e propri: pur restando ancorata alla
realtà, l'indagine presenta niente affatto banali risvolti
soprannaturali. Il piacere della lettura pertanto risiede soltanto in
parte nella ricerca della verità, nel tentativo di ricostruire con
esattezza quanto accaduto, nell'indagare cosa alberghi nell'animo e
nella mente dei personaggi presentati. Interrogatori, dialoghi,
ricerca e scoperte, persino qualche colpo di scena, si succedono come
nella miglior tradizione poliziesca, ma ad ammaliarci è soprattutto
la magia che Indriđason sa regalarci con poche sapienti
pennellate.
Come
ne “Un Corpo nel Lago” una parte fondamentale la
rivestono i magnifici e spesso funesti specchi d'acqua di cui è
ricca l'Islanda, terra che l'autore ama e rispetta profondamente. Per
una volta le tematiche sociali rimangono leggermente sullo sfondo,
meno approfondite che in altri romanzi, per lasciare così spazio a
tematiche proprie dell'intimo di ogni individuo, con i suoi dubbi e
paure, meschinità e debolezze, appassionati slanci e cupe tristezze.
In
una fredda sera d'autunno una donna viene trovata impiccata nella sua
villetta estiva a Pingvellir. Tutto sembra confermare l'unica ipotesi
plausibile: suicidio. Ma quando Erlendur Sveinsson, detective della
polizia di Reykjavík, viene in possesso della registrazione di una
seduta spiritica alla quale la donna aveva partecipato poco prima di
morire, prova il bisogno irrefrenabile di conoscere la sua storia.
Emergono così, a poco a poco, i retroscena del suo gesto:
l'annegamento del padre, avvenuto molti anni prima in circostanze
poco chiare, fa da sfondo a oscuri presagi di morte e all'ossessione
della donna per l'aldilà e per certe strane "presenze".
Nel frattempo, Erlendur riprende in mano alcuni vecchi casi di
persone scomparse senza lasciare traccia. Un pensiero fisso percorre
silenzioso le sue indagini: la nostalgia straziante per qualcuno che
si è perso chissà dove e non è più tornato a casa. (da
guanda.it)
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