In questi
giorni bambini e genitori vanno al cinema a vedere “Dumbo” di Tim
Burton. Colgo l'occasione per scrivere qualche riga sull'originale
del 1941, che rimane uno dei film migliori della Disney a più di
settanta anni dalla sua uscita nelle sale.
Apparentemente
uno dei più semplici della casa del topo, che aveva già proposto
Biancaneve e i sette nani
con i suoi chiaroscuro gotici, le ombreggiature orrorifiche di
Pinocchio, e
Fantasia, capolavoro
di stratificazione e di immagini musicali e musica per immagini.
Forse semplice non è l'aggettivo adeguato, meglio infantile, o
ancora di più “alla portata di bambino”, pur nella evidente
minore disponibilità di mezzi e fondi destinati all'opera rispetto
alle precedenti ed alle successive.
Intendiamoci,
non c'è nulla di banale in “Dumbo”,
adatto all'infanzia, come anche per ragazzi e gli adulti, con la sua
durata di poco superiore all'ora che non si accontenta di rendere
godibile una storia, di attenuare ed edulcorare la vicenda del
piccolo elefantino dalle grandi orecchie, schernito e maltrattato da
animali ed esseri umani. Vi sono molti aspetti e messaggi veicolati
per immagini che ad una prima visione si rischia di sottovalutare,
inseriti come sono in un prodotto per famiglie, che però offre molto
ed ancora ad un pubblico attento e desideroso di storie e concetti.
Dumbo
è un film sulla diversità, sulla cattiveria ed il riscatto, sulle
ingiustizie e le rivendicazioni. Un film sulla condizione degli
afroamericani degli anni 30-40 ed oltre, sulle battaglie sindacali
dei lavoratori, sulla necessità di consapevolezza per ottenere ciò
che ingiustamente viene negato, fosse anche l'amore di una madre e
l'affetto degli amici. Così gli elefanti sembrano davvero schiavi al
lavoro nel sud segregazionista, costretti a piantare tende nel
terreno sotto la pioggia battente. Così loro ed un cucciolo sono
costretti a vivere solo per divertire e soddisfare gli istinti più
beceri degli umani, pronti a godere nel vedere un cucciolo d’elefante
lanciarsi nel vuoto da grandi e colpevoli altezze, magari desiderando
vederlo schiantarsi al suolo. Ma Dumbo,
vessato per le sue orecchie fuori misura, sa volare.
Come i corvi, unici personaggi positivi oltre l'amico topolino, e
solo come loro è libero di librarsi in cielo e vendicarsi idealmente
di chi gli sta distruggendo la vita. Uno schiavo che ottiene la sua
vendetta, scatenato, per quanto possibile in un film “ad altezza
cucciolo”, come il Django di Quentin Tarantino.
Non
rimane che ricordare la “marcia degli
elefanti rosa”,
quattro audaci e sorprendenti minuti di puro trionfo onirico,
inseriti a sorpresa come un ponte tra avanguardia e astrattismo che
nessuno avrebbe mai pensato inserire in un contesto infantile,
osando
così tanto da risultare un salto stilistico e di immagine che allora
solo la Disney si poteva permettere, anticipando di diversi decenni
chiunque avesse in seguito voluto produrre per il cinema di
animazione.
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