sabato 20 aprile 2019

Dumbo (1941)


In questi giorni bambini e genitori vanno al cinema a vedere “Dumbo” di Tim Burton. Colgo l'occasione per scrivere qualche riga sull'originale del 1941, che rimane uno dei film migliori della Disney a più di settanta anni dalla sua uscita nelle sale.

Apparentemente uno dei più semplici della casa del topo, che aveva già proposto Biancaneve e i sette nani con i suoi chiaroscuro gotici, le ombreggiature orrorifiche di Pinocchio, e Fantasia, capolavoro di stratificazione e di immagini musicali e musica per immagini. Forse semplice non è l'aggettivo adeguato, meglio infantile, o ancora di più “alla portata di bambino”, pur nella evidente minore disponibilità di mezzi e fondi destinati all'opera rispetto alle precedenti ed alle successive.

Intendiamoci, non c'è nulla di banale in “Dumbo”, adatto all'infanzia, come anche per ragazzi e gli adulti, con la sua durata di poco superiore all'ora che non si accontenta di rendere godibile una storia, di attenuare ed edulcorare la vicenda del piccolo elefantino dalle grandi orecchie, schernito e maltrattato da animali ed esseri umani. Vi sono molti aspetti e messaggi veicolati per immagini che ad una prima visione si rischia di sottovalutare, inseriti come sono in un prodotto per famiglie, che però offre molto ed ancora ad un pubblico attento e desideroso di storie e concetti.
Dumbo è un film sulla diversità, sulla cattiveria ed il riscatto, sulle ingiustizie e le rivendicazioni. Un film sulla condizione degli afroamericani degli anni 30-40 ed oltre, sulle battaglie sindacali dei lavoratori, sulla necessità di consapevolezza per ottenere ciò che ingiustamente viene negato, fosse anche l'amore di una madre e l'affetto degli amici. Così gli elefanti sembrano davvero schiavi al lavoro nel sud segregazionista, costretti a piantare tende nel terreno sotto la pioggia battente. Così loro ed un cucciolo sono costretti a vivere solo per divertire e soddisfare gli istinti più beceri degli umani, pronti a godere nel vedere un cucciolo d’elefante lanciarsi nel vuoto da grandi e colpevoli altezze, magari desiderando vederlo schiantarsi al suolo. Ma Dumbo, vessato per le sue orecchie fuori misura, sa volare. Come i corvi, unici personaggi positivi oltre l'amico topolino, e solo come loro è libero di librarsi in cielo e vendicarsi idealmente di chi gli sta distruggendo la vita. Uno schiavo che ottiene la sua vendetta, scatenato, per quanto possibile in un film “ad altezza cucciolo”, come il Django di Quentin Tarantino. 
 

Non rimane che ricordare la “marcia degli elefanti rosa”, quattro audaci e sorprendenti minuti di puro trionfo onirico, inseriti a sorpresa come un ponte tra avanguardia e astrattismo che nessuno avrebbe mai pensato inserire in un contesto infantile, osando così tanto da risultare un salto stilistico e di immagine che allora solo la Disney si poteva permettere, anticipando di diversi decenni chiunque avesse in seguito voluto produrre per il cinema di animazione.


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