Titolo: Isola
Autore: Siri Ranva Hjelm Jacobsen
Traduttore: Maria Valeria D'Avino
Editore:
Iperborea - 2018
Ci si può
innamorare di un libro? Oltre la sua materialità e l'odore che la
sua carta emana? Nel caso di “Isola”
di Siri Ranva Hjelm Jacobsen
la risposta è affermativa.
È
affermativa per la scrittura elegante ed evocativa per quanto
accessibile, per le immagini che offre audacemente al lettore, per il
viaggio fra memoria e presente,
per l'amore rivolto ad una terra lontana che viene narrato e cantato
pagina dopo pagina attraverso un racconto di
ispirazione autobiografica che riesce a trascendere il particolare
per farsi universale.
La
scrittrice ha il passo sospeso fra prosa ordinaria e sobria ma
stupefacente potenza evocativa, con un che dal sapore da saghe
nordiche a cui evidentemente è debitrice, riuscendo allo stesso
tempo a donare tra personaggi, panorami, parole e ambientazioni
qualcosa che va oltre un “semplice” canto alle Faroe.
Ovvero un viaggio nella memoria e nel tempo, con il rimpianto che si
fa motore di un racconto su emigrazione, sul ruolo di affetti e
legami familiari e amicali, sul bisogno di identità e di appartenere
ad un luogo, un'isola, una Itaca anche solo dell'anima, la struggente
necessità di radici e di un pugno di terra che si possa chiamare
casa. In “Isola” questo è espresso anche
attraverso la lingua, le lingue che i personaggi usano in famiglia e
con “gli altri”, mediante i gesti quotidiani, i racconti e le
canzoni per i giorni importanti, la natura in cui si vive ed altro
ancora che è appagante scoprire.
La casa
editrice Iperborea mi
ha regalato una lettura emozionante e piena, da cui mi staccavo con
riluttanza ma anche con il lieto pensiero di potervi presto tornare.
“Le isole più piccole possono nascere in una notte, e sparire in una notte. Laggiù, sotto il mare, tutte le terre emerse s'incontrano.”
Una
giovane ragazza danese ha nostalgia di un’isola verde e impervia
battuta dai venti del Nord, un’isola delle Faroe dove non ha mai
vissuto ma che ha sempre sentito chiamare «casa», perché da lì
emigrò la sua famiglia negli anni Trenta. Comincia così,
dall’urgenza di riappropriarsi delle sue origini e di una cultura
che ha ereditato ma non le appartiene, il suo viaggio di ritorno a
Suðuroy, da cui nonno Fritz, pescatore dell’Artico, partì alla
ricerca di un destino migliore, e nonna Marita, sognatrice
irrequieta, fuggì verso il mondo e la modernità. (da
iperborea.com)
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