La storia d'amore tra
la ricca e ambiziosa violinista Florence e il modesto e promettente
storico Edward nell'Inghilterra dei primi anni Sessanta, pochi anni
prima della rivoluzione sessuale, prigionieri dei tabù di un'epoca e
delle convenzioni familiari e sociali. La loro luna di miele a Chesil
Beach li porterà verso altre strade, altri destini, altre vite...
L'impianto
letterario, la componente drammaturgica, è fin troppo evidente,
forse più adatta ad una messa in scena teatrale, la sceneggiatura
direttamente tratta dal romanzo omonimo di Ian McEwan ne
risulta costretta e soffre nel risultato totale, ma “Chesil
Beach” è tutt'altro che un film trascurabile.
Dominic
Cooke, lui sì regista teatrale, dimostra di saper utilizzare lo
strumento cinematografico, riuscendo a limitare ed a volte
superare i limiti propri del tentativo di portare sul grande schermo
la scrittura dell'autore britannico. Inquadrature studiate, campi
lunghi e medi, qualche intenso ed emozionante primo piano, cambi di
prospettiva e di punto di vista per raccontare ciò che le parole e
dialoghi non riescono a comunicare allo spettatore. Non c'è
verbosità nel parlare dei protagonisti, anzi, sembra che ogni frase
sia stata opportunamente pensata, scelta e dosata, ma rimane comunque
una certa distanza fra lo scritto su carta e l'ascoltato dallo
schermo. Le immagini vengono in aiuto e così “Chesil Beach”
si fa vedere ed apprezzare.
Non
un grande film, onestamente, ma la recitazione di Billy Howle, ma
soprattutto di una bravissima Saoirse Ronan permettono di
seguire il racconto di una complicata storia d'amore, dove privato e
pubblico, storie dei singoli e storia del Costume si incontrano,
animando e rendendo uno dei passaggi sociali e culturali, e perché
no etici, del secolo scorso. Il costrutto testuale appassionante
riesce così a non soverchiare totalmente le immagini, con il
risultato di non farne un piatto radiodramma teatrale ma ponendo
l'elemento visivo al servizio del testo senza però risultarne
schiacciato.
Quella
che dovrebbe essere la scena madre, ovvero il non compiersi (il
pessimo “non consumarsi” lo detesto) dell'incontro sessuale
fra i due neosposi, è più volte interrotta e rimandata da una serie
di flashback (che creano una certa tensione narrativa) e poi flashforward, che illustrano il nascere
dell'amore fra una giovane donna ed un giovane uomo nati
nell'Inghilterra post seconda guerra mondiale. I due sentono che
qualcosa sta cambiando, in loro e nella società in cui vivono, ma
rimangono a metà del guado, fra la morale e le consuetudini dei loro
genitori e ciò che i giovani come loro stanno proponendo e cercando
di vivere, in tema di amore, sesso, emancipazione, convivenza e
relazione fra uomo e donna. Non andrà bene tra loro, sotto l'aspetto
sessuale, dal momento che si sono innamorati e credono di conoscersi,
ma quello che non conoscono è il proprio corpo e quello dell'altro,
non sanno cosa ci sia nell'intimo e nel profondo dell'una e
dell'altro e non riusciranno ad andare oltre, sospesi fra il passato
ed il presente.
Ebbene
gli attori e le musiche sottolineano bene tutto questo, lo rendono
alla portata, almeno in parte, del pubblico e le scene da lodare non
mancano, specie per le scelte registiche, ma in fondo anche il film
nel complesso rimane un po' al di sotto di quanto fosse legittimo
aspettarsi da una sceneggiatura e da una scrittura che promettevano
molto e anche di più. Ultimo elemento che sottolineo è come i
due giovani vengano separati, ostacolati nel loro amore, non tanto da
agenti esterni, famiglia o società come in numerosi e classici
drammi, bensì dai loro costrutti psichici, da ciò che hanno
introiettato e non sono riusciti a gestire e metabolizzare, ancora
non in grado di crearsi una loro identità e farsi autori di proprie
scelte e costruttori del proprio destino accettandosi e accettando
l'altro.
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