Una
storia horror, alla Lovecraft, con
una sceneggiatura che utilizza temi classici e ben rodati al servizio di
disegni di alto livello, dove i toni acquerellati, fra grigio e lampi di rosso,
donano profondità ed inquietudine a dispetto di molte (troppe?) parole.
Questa,
in sintesi, la riflessione sul numero 47
della collana Le Storie, “Sangue e
Ghiaccio”, ad opera di Tito Faraci
e di Pasquale Frisenda, in grande
forma e libero di prendersi lo spazio necessario per una magistrale prova
grafica e interpretativa di orrore, incubo, violenza e morte.
I
due autori, al debutto nella serie della Sergio Bonelli Editore, offrono al
lettore una drammatica vicenda, che utilizza la campagna di Russia voluta da Napoleone Bonaparte come punto di
partenza per una storia dai tratti gotici
e soprannaturali, che rimanda al confronto fra paganesimo e cristianesimo, in
luoghi come quelli dei paesi slavi dove tali tematiche sono state spesso
trattate e oggetto di studio nonché di narrazione.
Frisenda in più occasioni
rompe la “gabbia” e l’impatto visivo è pregevole, elemento questo che sembra
preponderante rispetto alla trama, con Faraci
che, abilmente e con ottima padronanza di temi e situazioni, presenta una
sceneggiatura abbastanza tipica del genere, senza forzature o particolari
originalità, in funzione di supporto e “appoggio” alla maestria del
disegnatore.
L’elemento
metanarrativo
è forse un po’ troppo pervasivo, ma in fin dei conti non disturba la lettura,
come invece rischia di fare l’uso di didascalie e spiegazioni che in alcuni
casi si dilungano più di quanto sembrerebbe necessario.
Il
comparto grafico, comunque, come già
espresso, potenzia la rappresentazione del dramma e coinvolge il lettore anche
nei passaggi più lenti, con esplosioni di stile che animano totalmente la
lettura e la conducono verso un epilogo che, per quanto prevedibile, si
inserisce perfettamente nell’atmosfera creata.
Logorata
dalla strategia russa della “terra bruciata”, la Grande Armata napoleonica si
ritira – lacera a affamata – attraverso un deserto di neve. Un tozzo di pane e
un fuoco intorno a cui scaldarsi; gli uomini del capitano Lozère non chiedono
altro. Quando quel lontano bagliore, tiepido e invitante, appare sotto il
grigio mortifero del cielo, per loro sembra rinascere la speranza… Eppure, è
come se nell’aria gelida e cupa, ci fosse qualcosa di sinistro, una sensazione
inafferrabile, una presenza senza volto che attende il loro arrivo con
immortale pazienza… (da sergiobonelli.it)
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