sabato 20 agosto 2016

Le Storie #47 – Sangue e Ghiaccio


Una storia horror, alla Lovecraft, con una sceneggiatura che utilizza temi classici e ben rodati al servizio di disegni di alto livello, dove i toni acquerellati, fra grigio e lampi di rosso, donano profondità ed inquietudine a dispetto di molte (troppe?) parole.
Questa, in sintesi, la riflessione sul numero 47 della collana Le Storie, “Sangue e Ghiaccio”, ad opera di Tito Faraci e di Pasquale Frisenda, in grande forma e libero di prendersi lo spazio necessario per una magistrale prova grafica e interpretativa di orrore, incubo, violenza e morte.
I due autori, al debutto nella serie della Sergio Bonelli Editore, offrono al lettore una drammatica vicenda, che utilizza la campagna di Russia voluta da Napoleone Bonaparte come punto di partenza per una storia dai tratti gotici e soprannaturali, che rimanda al confronto fra paganesimo e cristianesimo, in luoghi come quelli dei paesi slavi dove tali tematiche sono state spesso trattate e oggetto di studio nonché di narrazione.

Frisenda in più occasioni rompe la “gabbia” e l’impatto visivo è pregevole, elemento questo che sembra preponderante rispetto alla trama, con Faraci che, abilmente e con ottima padronanza di temi e situazioni, presenta una sceneggiatura abbastanza tipica del genere, senza forzature o particolari originalità, in funzione di supporto e “appoggio” alla maestria del disegnatore.
L’elemento metanarrativo è forse un po’ troppo pervasivo, ma in fin dei conti non disturba la lettura, come invece rischia di fare l’uso di didascalie e spiegazioni che in alcuni casi si dilungano più di quanto sembrerebbe necessario.
Il comparto grafico, comunque, come già espresso, potenzia la rappresentazione del dramma e coinvolge il lettore anche nei passaggi più lenti, con esplosioni di stile che animano totalmente la lettura e la conducono verso un epilogo che, per quanto prevedibile, si inserisce perfettamente nell’atmosfera creata.

Logorata dalla strategia russa della “terra bruciata”, la Grande Armata napoleonica si ritira – lacera a affamata – attraverso un deserto di neve. Un tozzo di pane e un fuoco intorno a cui scaldarsi; gli uomini del capitano Lozère non chiedono altro. Quando quel lontano bagliore, tiepido e invitante, appare sotto il grigio mortifero del cielo, per loro sembra rinascere la speranza… Eppure, è come se nell’aria gelida e cupa, ci fosse qualcosa di sinistro, una sensazione inafferrabile, una presenza senza volto che attende il loro arrivo con immortale pazienza… (da sergiobonelli.it)

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