venerdì 28 ottobre 2016

Julieta (2016)


Grazie ad una rassegna in corso presso uno storico cinema di provincia, a breve distanza da dove abito, ho “recuperato” la visione dell’ultimo film di Pedro Almodóvar, “Julieta”.
Il regista spagnolo, in coincidenza con la maturità, probabilmente ha inteso cambiare decisamente registro, non tanto lo stile, optando per un ritmo ed uno sguardo meno vivace, più lento e maggiormente distaccato, anche se il distacco infine risulta solo parziale.
Il soggetto è ispirato da tre racconti di Alice Munro, scrittrice canadese che ha ricevuto il premio Nobel per la Letteratura nel 2013.

L’interesse per l’universo femminile, che tanto ha contraddistinto la produzione di Almodóvar, è sempre presente e vivo, elegante e a tratti seducente, ma più freddo, con il rischio di rappresentare qualcosa di non pienamente risolto, ovvero la vicenda umana di una donna che da anni, inspiegabilmente, non vede e non ha alcun contatto con la giovane figlia, in un film che a sua volta sembra non risolversi, non svolgersi e non partire definitivamente.
Più quadri e immagini, sapientemente girati e con una fotografia molto curata, che presentano, più che rappresentare ed illustrare. 
In sé non sarebbe un limite, potrebbe anzi risultare una scelta vincente, considerando anche che la musica proposta per accompagnare le immagini svolge bene il proprio ruolo, ma le attrici scelte per il ruolo di protagonista non convincono e con la loro prova, di fatto, non solo non aggiungono, ma in alcuni momenti addirittura depotenziano quanto viene rappresentato. Esattamente il contrario di quanto accaduto in buona parte degli altri film girati da Almodóvar. 
Apprezzabile che la stessa donna, interpretata da Adriana Ugarte in età giovanile e da Emma Suarèz nella maturità, in qualche modo illustri il passaggio dal cinema “da movida” della prima produzione e gli ultimi anni cinematografici di don Pedro.

I riferimenti cinefili abbondano e probabilmente solo in un film sostanzialmente sobrio e rigoroso, con tratti crepuscolari come questo avrebbero trovato degno ruolo, ma rimane una certa perplessità, dovuta al desiderio dello spettatore di farsi coinvolgere.
Rimane l’abilità del regista, il suo sguardo lucido ed intenso, ma quello che sarebbe potuto essere un thriller, o un dramma, oppure una efficace rappresentazione del dolore, rimane troppo sospeso e non entusiasma.

Ci sono scene dove lo spettatore rimane colpito ed affascinato dalle scelte registiche (una intrigante ellissi temporale agita grazie ad un asciugamano), ma sono in numero inferiore rispetto a quelle in cui, viceversa, prende il sopravvento un pizzico di delusione, di rammarico, per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
La possibilità che fra qualche anno “Julieta” possa essere rivisto e rivalutato all’interno della produzione dello spagnolo rimane, anche perché non posso escludere che trovarsi di fronte ad un film solo in parte “almodovariano” abbia limitato la mia capacità di giudizio.



2 commenti:

  1. A me è piaciuto....gli uomini però in questo film non valgono nulla!���������� Manuela Graziani

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  2. Ciao. Anche in altri suoi film i personaggi maschili hanno presenza e ruolo limitato, cosa che non inficia in alcun modo il risultato, i personaggi femminili sono di spessore e le attrici interpretano molto bene sentimenti, stati d'animo e azioni. Qui però le due attrici protagoniste a mio parere non riescono fino in fondo. In un confronto tra la loro interpretazione di Julieta e quella della domestica/governante messa in atto da Rossy de Palma (attrice "storica" di Almodovar), quest'ultima vince senza problemi, riuscendo a ricordare la sua omologa in "Rebecca - la prima moglie". Grazie! Un sorriso!!

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