È
la viglia di Natale e in ogni famiglia fervono i preparativi. L'unico
che sembra essere insensibile allo spirito del Natale è il vecchio
Ebenezer Scrooge, un uomo ricchissimo e senza cuore. Tra i suoi
dipendenti c'è Bob Cratchit, un uomo sempre allegro e gentile che, a
causa del risibile stipendio che riceve, è costretto a tirare la
cinghia anche a Natale. Ma questa notte Scrooge riceverà le visite
degli Spiriti del Natale passato, presente e futuro e, quando si
sveglierà, la sua vita non sarà la stessa.
“Canto
di Natale di Topolino” è senza ombra di
dubbio un classico delle festività natalizie, un appuntamento
irrinunciabile per le famiglie che sappiano apprezzare e divertirsi
con questo piccolo, perché un cortometraggio, ma imprescindibile
capolavoro di casa Disney.
Se opportunamente papà, mamme e nonni offriranno ai più piccoli, ma
anche a qualche adolescente, la visione di questo film d'animazione
datato 1983, compiranno un atto meritorio e rinnoveranno la magia non
solo del Natale, ma della narrazione per immagini.
Procediamo
con un minimo di ordine filologico: nel 1843 Charles
Dickens dà alle stampe il primo dei suoi
Christmas Books:
si intitola A Christmas Carol: A
Goblin Story of Some Bells that Rang an Old Year Out and a New Year
In, ma passerà alla storia senza il
lungo sottotitolo. La pubblicazione del Canto
di Natale acquista un ruolo centrale
all’interno della poetica e dell’arte di Dickens, che si concede
l'occasione di riversare tutto il suo sentimento di disapprovazione
verso la media e alta borghesia e l’aristocrazia britannica,
tratteggiando un personaggio, Ebenezer
Scrooge, che nella Londra di metà Ottocento
prospera facendo leva sulle disparità sociali, tanto detestate
dall'autore.
Per anni e
malauguratamente ancora oggi, da parte di insegnanti ed educatori
tanto sprovveduti quanto superficiali, Canto
di Natale viene
letto con faciloneria e proposto come un riepilogo dei dettami del
buon cristiano. Prestando maggiore attenzione e facendo un favore a
se stessi ed agli altri, in realtà ci si trova di fronte ad un acuto
saggio politico sul conflitto insanabile tra le classi, un mirabile
spaccato tra il sarcastico e il drammatico della società inglese, in
cui il tono buffonesco de Il circolo
Pickwick si lega a reminiscenze dal
sapore gotico.
Circa un secolo e mezzo dopo, nel 1983,
Walt Disney è morto
da quasi diciassette anni, e la Casa del Topo sta vivendo un momento
di stanca dopo i fasti dei cinquant’anni precedenti. La Disney è
combattuta fra il tentativo di allontanarsi dai cliché e dalle
abitudini del pubblico, per innovarsi e sperimentare nuove forme e
vie dell'animazione e dell'intrattenimento in generale, e l'esigenza
di rivendicare e sottolineare le proprie radici.
Nasce da questa esigenza Canto di Natale di Topolino, cortometraggio di meno di mezz’ora che raggiunse le sale nell’autunno/inverno del 1983. Un titolo che in breve tempo è entrato a far parte dell’immaginario cinematografico legato al Natale.
Un capolavoro si è detto, ma non solo
per l'eccellente tecnica di disegno ed animazione, per le musiche e
il brillante omaggio all'arte di Dickens. La essenziale peculiarità
che mi preme sottolineare è come durante la visione di Canto
di Natale di Topolino ci si trovi di
fronte ad un brillante adattamento di un
romanzo: i personaggi in scena, a partire da
Zio Paperone e Topolino, sono solo degli interpreti, che vestono i
panni dei vari Scrooge, Bob Cratchit, Jacob Marley e via discorrendo.
Una messa in scena del lavoro di Dickens che si dimostra anche
decisamente coerente, senza cercare di edulcorare in alcun modo né
la sgradevole cupidigia di Scrooge né il ritratto di un popolo
povero, privo di protezione e lasciato alla mercé della bontà (o
della crudeltà) del prossimo.
Paperon de’ Paperoni,
fin dalla sua ideazione e realizzazione nel 1947, è sempre stato un
parente prossimo di Ebenezer Scrooge,
al punto da rubargli persino il nome nella versione statunitense a
firma del genio di Carl Barks,
ma anche tutti gli altri personaggi Disney vengono scelti per far
parte di un cast “stellare”, recitando la loro parte con
professionalità e grande coerenza drammaturgica.
Altro elemento degno di nota è come
nella versione Disney si mantenga e venga rispettato lo schema dei
cinque atti drammatici, proprio del romanzo di Dickens, divenendo uno
dei punti di forza di Canto di Natale di
Topolino. La storia si sviluppa in
cinque passaggi chiave: il 24 dicembre,
con la presentazione dei personaggi e la mano calcata sulla crudeltà
priva di rimorsi di Scrooge; i viaggi nei
“tre Natale”,
quello del passato, del presente e del futuro; e, infine, il
risveglio dal sogno di Scrooge e la sua
definitiva presa di coscienza. Scanditi attraverso un utilizzo del
tempo mirabile, in cui gag, melanconia e dramma si mescolano senza
mai scadere nel patetismo o nella comicità irrazionale, questi
cinque passaggi articolano una storia che racchiude al proprio
interno anche molti dei punti fermi della poetica disneyana, a
partire dall’evoluzione di un personaggio che scopre la propria
umanità.
Canto di Natale di Topolino,
all'interno
degli anni 80 di casa Disney, fra vari tentativi di innovazione non
sempre apprezzabili, è dominato
da un’aura di classicità che lo rinforza, relegandolo in un posto
fuori dal tempo e dallo spazio, dove sembra dialogare realmente con
l’Inghilterra vittoriana.
Il film è anche una grande elegia del prodotto disneyano, e ospita al proprio interno i protagonisti più disparati, da Ezechiele Lupo ed i tre porcellini al Grillo Parlante, da Willie il gigante (quello del delizioso Topolino e il fagiolo magico del 1947) a Pietro Gambadilegno, passando poi per Nonna Papera, Ciccio, Orazio e Clarabella, Cip e Ciop e altri personaggi di lungometraggi precedenti. La Disney rivendica il proprio ruolo e la propria storia, e lo fa senza venir mai meno alle regole (non) scritte attorno alle quali è stata costruita.
La regia elegante e misurata di Burny
Mattinson ci regala ancora oggi un cortometraggio che diventa
“classico” già durante la prima visione, viaggio nelle pulsioni
umane, ma anche dei paperi, buffo, dolente e persino pauroso. Tutto
questo grazie all'animazione, la tecnica migliore, probabilmente, per
restituire fino in fondo lo spirito del racconto dickensiano.
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