sabato 23 dicembre 2017

Canto di Natale di Topolino (1983)


È la viglia di Natale e in ogni famiglia fervono i preparativi. L'unico che sembra essere insensibile allo spirito del Natale è il vecchio Ebenezer Scrooge, un uomo ricchissimo e senza cuore. Tra i suoi dipendenti c'è Bob Cratchit, un uomo sempre allegro e gentile che, a causa del risibile stipendio che riceve, è costretto a tirare la cinghia anche a Natale. Ma questa notte Scrooge riceverà le visite degli Spiriti del Natale passato, presente e futuro e, quando si sveglierà, la sua vita non sarà la stessa.

Canto di Natale di Topolino” è senza ombra di dubbio un classico delle festività natalizie, un appuntamento irrinunciabile per le famiglie che sappiano apprezzare e divertirsi con questo piccolo, perché un cortometraggio, ma imprescindibile capolavoro di casa Disney. Se opportunamente papà, mamme e nonni offriranno ai più piccoli, ma anche a qualche adolescente, la visione di questo film d'animazione datato 1983, compiranno un atto meritorio e rinnoveranno la magia non solo del Natale, ma della narrazione per immagini.



Procediamo con un minimo di ordine filologico: nel 1843 Charles Dickens dà alle stampe il primo dei suoi Christmas Books: si intitola A Christmas Carol: A Goblin Story of Some Bells that Rang an Old Year Out and a New Year In, ma passerà alla storia senza il lungo sottotitolo. La pubblicazione del Canto di Natale acquista un ruolo centrale all’interno della poetica e dell’arte di Dickens, che si concede l'occasione di riversare tutto il suo sentimento di disapprovazione verso la media e alta borghesia e l’aristocrazia britannica, tratteggiando un personaggio, Ebenezer Scrooge, che nella Londra di metà Ottocento prospera facendo leva sulle disparità sociali, tanto detestate dall'autore.
Per anni e malauguratamente ancora oggi, da parte di insegnanti ed educatori tanto sprovveduti quanto superficiali, Canto di Natale viene letto con faciloneria e proposto come un riepilogo dei dettami del buon cristiano. Prestando maggiore attenzione e facendo un favore a se stessi ed agli altri, in realtà ci si trova di fronte ad un acuto saggio politico sul conflitto insanabile tra le classi, un mirabile spaccato tra il sarcastico e il drammatico della società inglese, in cui il tono buffonesco de Il circolo Pickwick si lega a reminiscenze dal sapore gotico. 

 
Circa un secolo e mezzo dopo, nel 1983, Walt Disney è morto da quasi diciassette anni, e la Casa del Topo sta vivendo un momento di stanca dopo i fasti dei cinquant’anni precedenti. La Disney è combattuta fra il tentativo di allontanarsi dai cliché e dalle abitudini del pubblico, per innovarsi e sperimentare nuove forme e vie dell'animazione e dell'intrattenimento in generale, e l'esigenza di rivendicare e sottolineare le proprie radici.

Nasce da questa esigenza
Canto di Natale di Topolino, cortometraggio di meno di mezz’ora che raggiunse le sale nell’autunno/inverno del 1983. Un titolo che in breve tempo è entrato a far parte dell’immaginario cinematografico legato al Natale.
Un capolavoro si è detto, ma non solo per l'eccellente tecnica di disegno ed animazione, per le musiche e il brillante omaggio all'arte di Dickens. La essenziale peculiarità che mi preme sottolineare è come durante la visione di Canto di Natale di Topolino ci si trovi di fronte ad un brillante adattamento di un romanzo: i personaggi in scena, a partire da Zio Paperone e Topolino, sono solo degli interpreti, che vestono i panni dei vari Scrooge, Bob Cratchit, Jacob Marley e via discorrendo. Una messa in scena del lavoro di Dickens che si dimostra anche decisamente coerente, senza cercare di edulcorare in alcun modo né la sgradevole cupidigia di Scrooge né il ritratto di un popolo povero, privo di protezione e lasciato alla mercé della bontà (o della crudeltà) del prossimo.
Paperon de’ Paperoni, fin dalla sua ideazione e realizzazione nel 1947, è sempre stato un parente prossimo di Ebenezer Scrooge, al punto da rubargli persino il nome nella versione statunitense a firma del genio di Carl Barks, ma anche tutti gli altri personaggi Disney vengono scelti per far parte di un cast “stellare”, recitando la loro parte con professionalità e grande coerenza drammaturgica.


Altro elemento degno di nota è come nella versione Disney si mantenga e venga rispettato lo schema dei cinque atti drammatici, proprio del romanzo di Dickens, divenendo uno dei punti di forza di Canto di Natale di Topolino. La storia si sviluppa in cinque passaggi chiave: il 24 dicembre, con la presentazione dei personaggi e la mano calcata sulla crudeltà priva di rimorsi di Scrooge; i viaggi nei “tre Natale”, quello del passato, del presente e del futuro; e, infine, il risveglio dal sogno di Scrooge e la sua definitiva presa di coscienza. Scanditi attraverso un utilizzo del tempo mirabile, in cui gag, melanconia e dramma si mescolano senza mai scadere nel patetismo o nella comicità irrazionale, questi cinque passaggi articolano una storia che racchiude al proprio interno anche molti dei punti fermi della poetica disneyana, a partire dall’evoluzione di un personaggio che scopre la propria umanità.
Canto di Natale di Topolino, all'interno degli anni 80 di casa Disney, fra vari tentativi di innovazione non sempre apprezzabili, è dominato da un’aura di classicità che lo rinforza, relegandolo in un posto fuori dal tempo e dallo spazio, dove sembra dialogare realmente con l’Inghilterra vittoriana.



Il film è anche una grande elegia del prodotto disneyano, e ospita al proprio interno i protagonisti più disparati, da Ezechiele Lupo ed i tre porcellini al Grillo Parlante, da Willie il gigante
(quello del delizioso Topolino e il fagiolo magico del 1947) a Pietro Gambadilegno, passando poi per Nonna Papera, Ciccio, Orazio e Clarabella, Cip e Ciop e altri personaggi di lungometraggi precedenti. La Disney rivendica il proprio ruolo e la propria storia, e lo fa senza venir mai meno alle regole (non) scritte attorno alle quali è stata costruita.
La regia elegante e misurata di Burny Mattinson ci regala ancora oggi un cortometraggio che diventa “classico” già durante la prima visione, viaggio nelle pulsioni umane, ma anche dei paperi, buffo, dolente e persino pauroso. Tutto questo grazie all'animazione, la tecnica migliore, probabilmente, per restituire fino in fondo lo spirito del racconto dickensiano.


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