sabato 2 dicembre 2017

Selma - La strada per la Libertà (2014)

Un film nel segno dell'America di Obama, da vedere negli anni dell'America di Trump.


Martin Luther King Jr. non aveva ancora avuto un'opera cinematografica a lui dedicata. Malcolm X era stato omaggiato da Spike Lee con il controverso e discusso film del 1992, mentre il pastore di Atlanta, autentica icona della non violenza ha in pratica dovuto attendere fino al 2014, quando, sull'onda e nel segno dell'America Obamiana, la regista Ava DuVernay ha diretto e proposto al pubblico il suo “Selma – La Strada per la Libertà”.




 






I fatti sono quelli legati alla nota marcia, quando nel 1965 un gruppo di coraggiosi manifestanti, guidati appunto da Martin Luther King Jr., per tre volte tentò di portare a termine una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery (capitale dello Stato), con l'obiettivo di rendere veramente attivo il diritto umano al voto per i negri, come ancora allora venivano indicati. Infatti nonostante sulla carta il diritto al voto fosse garantito dalla legge, la realtà, specie negli Stati del sud dell'Unione, era ben diversa, come ci viene drammaticamente mostrato nel film. Gli scontri scioccanti e la trionfante marcia finale portarono infine il Presidente Lyndon B. Johnson a firmare, il 6 agosto di quell'anno, lo storico Voting Rights Act.

Scongiurato con intelligenza il rischio di un'opera meramente agiografica, “Selma – La Strada per la Libertà”, si fa vedere ed apprezzare, oltre che per la ricostruzione di un clima politico-sociale, della cronaca di quei giorni e degli avvenimenti in sé, anche per la scelta di presentare il dottor King come un uomo, con le sue debolezze, i suoi timori ed incertezze, alla pari con le sue straordinarie qualità di oratore, guida di un movimento e nel ruolo di pastore protestante.



Allo stesso tempo, con onestà storica e narrativa, il movimento da lui condotto non viene mostrato come monolitico e omogeneo, bensì ne vengono mostrate le diverse anime, i vari volti che insieme a King hanno reso possibile la conquista e l'affermarsi di diritti civili, ai nostri occhi basilari ed imprescindibili per una democrazia veramente degna di tale nome, ma negli Stati Uniti degli anni 60 ancora tutti da conquistare e difendere, specie per le minoranze come gli afroamericani, termine che noi, ora, utilizziamo. Un film forse non propriamente collettivo, comunque non un “one man show”, che forse anche per questo risulta poco coinvolgente a livello emotivo, con una recitazione composta e corretta che limita i vari bravi e apprezzabili attori e li sacrifica in nome di uno stile registico e compositivo che punta alla sobria ricostruzione ed alla celebrazione di un periodo, autocelebrandosi appunto in quanto creato e proposto quasi interamente da neri.



Diversi i momenti melodrammatici, così come varie sono le scene “opportunamente furbe”, che vanno incontro allo spettatore per arruffianarsene il consenso, ma la regista DuVernay qua e là dimostra di saperci fare, in particolare nella ricostruzione dei fatti legati, emblematicamente, al ponte che conduce a Selma, teatro dei pestaggi più duri perpetrati dalle forze dell'ordine a danno dei manifestanti, massacrati senza ritegno.


Mi permetto di esprimere un nota di disappunto per la scelta, verso la conclusione del film, di presentare efficaci e coinvolgenti scene di repertorio, poiché a quel punto, fatalmente, data la già citata scelta registica e di recitazione, la realtà surclassa la ricostruzione e l'opera perde qualche punto in materia puramente cinematografica.

Un film obamiano, che forse risulterà maggiormente godibile (utile?) negli anni dell'America di Donald Trump, del revanscismo e dell'oltranzismo razzista di una parte non secondaria dei suoi sostenitori ed elettori.

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