Due giorni fa è uscito ed ho letto il numero 2 di Long Wei, la
nuova serie pubblicata da Editoriale
AUREA.
L’impressione positiva avuta dal numero 1 è non solo
confermata ma si aggiunge qualcosa di più che fa ben sperare. Il livello
qualitativo di storie e disegni è incoraggiante e la speranza è che si
attesti su quanto ammirato in questo numero (pretendere di più è forse
eccessivo, ma chissà…).
Mi sbilancio ad affermare che autore e disegnatori, con una
certa libertà di espressione, numerosi richiami e rimandi alla cultura
pop, cinematografica e letteraria, ed un pizzico di comunque giustificata
voglia di distanziarsi da altre produzioni nel mondo del fumetto, ci propongono
svariate idee, anche se non proprio tutte (ancora) del tutto sviluppate,
azione a profusione, dialoghi accattivanti e realistici, a cavallo fra
dramma e humor.
Questo mio entusiasmo è dettato dal trovarsi di fronte a svariate trovate
e scelte “registiche”, di scrittura e di resa grafica capaci di tenere
incollati alle pagine della storia. Non c’è uno stucchevole gioco al rialzo, o
a chi “la spara più grossa”, ma bensì una meditata scelta di intrattenere e
divertire, senza nascondere i chiari riferimenti a film e situazioni più
che conosciute e per cui “familiari”.
Su Long Wei non troviamo, fino ad ora, eccessi o fastidiose
stilizzazioni e irritanti cliché, bensì elementi conosciuti e proposti con un
certo rispetto nei confronti del lettore, che li riconosce e li accetta con
piacere. Siamo di fronte ad un non eroe, in pratica un ragazzo cinese,
attore fallito, che viene in Italia per cercare un’opportunità, come molti suoi
connazionali. Si trova a vivere nella Chinatown milanese, location
invero curiosa, anche se non ancora del tutto riconoscibile e che meriterebbe
di essere ulteriormente utilizzata e caratterizzata (comunque meglio qui che
nel numero 1).
Long Wei al momento è una serie pop, nel senso più positivo dell’espressione, e quindi attinge a una serie di elementi ed ingredienti codificati. La sua forza sta, o starebbe, stiamo a vedere nel prossimo futuro, nel pescare a piene mani da più settori e zone espressive, con l’auspicabile obiettivo di arricchire ulteriormente trama e sceneggiature.
Le tavole, i disegni, sono più che godibili e
perfettamente in linea con la sceneggiatura, perfette nell’accompagnare
l’azione ed i momenti di raccordo, in equilibrio tra tradizione italiana, gusto
vagamente manga e suggestioni underground. Il tratto di Gianluca
Maconi è un po’ impreciso, irruento e quindi opportunamente dinamico
e non ha timore di osare, di spingersi più in là dell’ordinario (da applausi la
sequenza di apertura dell’albo, senza dialoghi, uno dei migliori
“piani sequenza” che si possano desiderare). I puristi probabilmente non
apprezzerebbero tale libertà e “incuranza”, ma la sceneggiatura di Diego
Cajelli sembra richiedere proprio questo. Si avverte una certa energia
e la lettura ne giova.
Siamo solo al secondo numero, per cui eventuali imperfezioni
possono ancora essere ovviate e magari superate, se non giustificate, dal
prosieguo della serie, ma la notizia che ci sia questa serie che mi aspetta in
edicola mi aiuta a sopportare questi “tempi cupi”.
Appunto finale sulla carta utilizzata per gli albi: è indegna,
capisco la necessità di tenere basso il prezzo, ma la carta fa poco più che
schifo, con l’inchiostro che si spande e che attraversa la pagina. Cadute come
questa possono allontanare diversi potenziali lettori!
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