sabato 23 aprile 2016

Volver - 2006



È nota la potenza espressiva contenuta e abilmente trasmessa in buona parte dei film di Pedro Almodóvar, soprattutto quelli che cominciano ad avere qualche anno sulle spalle. Se da più giovane era soprattutto quella che mi attirava e spingeva a vedere le sue opere e a farmi uscire dalle sale cinematografiche quasi ubriaco di immagini e parole, nel corso delle primavere che si sono succedute nella mia vita ho imparato ad emozionarmi e ad apprezzare la delicatezza ed il tocco raffinato che il regista spagnolo possiede nel raccontare, descrivere e rappresentare l’universo femminile.

La sua vicinanza ed il suo “amore” per le donne è evidente nei due film premiati con l’Oscar. Tutto su mia madreParla con lei, rispettivamente onorati come miglior pellicola straniera e per la miglior sceneggiatura originale, sono con tutta probabilità le pellicole che lo hanno spinto a proporre al pubblico, nel 2006, il suo Volver.

“Le donne per me sono l’origine della vita e anche di tutta la fiction possibile, perché ho vissuto tutta la mia infanzia circondato da donne che raccontavano storie e cantavano. È questo l’universo che ho voluto omaggiare in Volver”

Il film fu premiato a Cannes per la miglior sceneggiatura, tanto delicata e semplice come pochi registi sono in grado di fare, quando la tematica di vita, amore, morte, dolore e “resurrezione” rischia di rendere pesante lo svolgersi di una trama.


Volver non è semplicemente una commedia, non è un film drammatico di quelli che devono far scendere lacrime presto asciugate, bensì una sorta di ibrido mélo, dove Almodóvar riesce, come è stato solito fare, a mescolare generi differenti in maniera equilibrata e armonica, ammiccando anche al noir.
I litigi, le bugie, i crimini del cuore ma non solo, i tradimenti e gli affetti delle sue donne sono tanto reali nella loro coinvolgente quotidianità, quanto immersi in una dimensione magica, quasi surreale, dove convivono drammi privati, segreti, toccanti esempi di generosità e solidarietà e fantasmi.

Volver, come tornare. Tornare alla vita in senso assoluto, alla vita familiare e a quella dimensione rurale e domestica da cui ci si era allontanati. Tornare all’amore e ad un senso profondo di essere donne, più forti perché si è lottato contro un mondo troppo maschile, che non ha trovato di meglio che prevaricare ed opprimere il femminile di una società e di una realtà, verso cui si prova affetto ma anche paura.


Anche grazie alla recitazione di Carmen Maura e di Penelope Cruz (quest’ultima probabilmente nella sua migliore interpretazione), vengono messi da parte gli eccessi, le citazioni e i “trucchi di regia” cui il cinema di Almodóvar precedentemente ci aveva abituato. A farla da padrone, in senso stilistico, è anzi una certa elegante sobrietà, la semplicità che si unisce alla sicurezza di un regista che governa la materia ed il materiale, narrativo ed umano, che ha fra le mani.
Diverse sono le scene che meritano di essere gustate e godute, in un film dove la naturalezza di alcune inquadrature stupisce per come si incontri con temi profondi, quasi ancestrali e fondanti sul tema della vita e degli sconvolgimenti patiti dalla stessa.

Fin dalla prima sequenza si rimane affascinati e la toccante colonna sonora fa il resto.


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