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giovedì 23 marzo 2017
Equivoci, travestimenti, costumi e dialoghi brillanti nel 1982
Tootsie e Victor-Victoria: due cult per il cinema del 1982
Il tema del doppio, della maschera e dello scambio di ruoli è fecondo di trovate e soluzioni comico-drammaturgiche fin dall'antichità.
Fra le commedie cinematografiche che preferisco e di cui consiglio assolutamente la visione, ce ne sono due accomunate oltre che dal genere, dalla tematica e dalla assoluta maestria dei registi, dall'anno di uscita: il 1982.
"Tootsie" di Sydney Pollack e "Victor-Victoria" di Blake Edwards.
In TootsieDustin Hoffman è Michael Dorsey, un talentuoso attore teatrale che si ritrova senza lavoro, nonostante l'impegno del suo agente (lo stesso Pollack che lo definisce un "fiero rompicoglioni"), a causa del suo
caratteraccio e della proverbiale pignoleria che lo porta a litigare con registi ed autori. Stanco dei rifiuti, tenta il tutto per tutto: si
traveste da donna e ottiene un importante ruolo in una seguitissima soap-opera, soffiandolo all’amica Sandy/Teri Garr(assolutamente godibile e coinvolgente la sua prova).
Ben presto il gioco gli sfugge di mano, perché la pacata e risoluta
Dorothy Michaels (questo il nome del suo alter-ego femminile) piace
proprio a tutti. A Julie/Jessica Lange(Oscar come Migliore attrice non protagonista) infermiera protagonista della soap opera e al suo anziano padre, al collega attempato dalla carriera in fase calante, alla stampa, al pubblico.
Tra battute folgoranti e irresistibili momenti comici, in cui spicca il fondamentale contributo di Bill Murray, il copione di Larry Gelbart e Don McGuire
trova il suo ispirato interprete in un brillante e istrionico Dustin Hoffman che, come spesso ha fatto e farà anche negli anni successivi, riesce a far dimenticare il suo aspetto ordinario e
con il suo talento cattura lo spettatore e gli fa amare Dorothy/Michael.
Non è da meno Victor-Victoria, che inoltre ha qualche altra freccia da scagliare oltre al ritmo ed al sicuro divertimento.
Blake Edwards fa leva su Julie Andrews e Robert Preston per aggiungere humor tagliente e raffinato, con un accurato approfondimento dei caratteri e la brillante gestione di tematiche gay, che Pollack ha solo vagamente sfiorato.
Anche qui un artista, una cantante, si trova senza lavoro e possibilità di sostentamento, perciò per una serie di equivoci e situazioni bizzarre, tanto quanto gli amici che frequenta, decide di cantare "come un uomo che finge di essere una donna".
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
Julie Andrews benchè non dotata dell’ambiguità di Marlene
Dietrich(icona gay a cui è emblematicamente
dedicata la prima inquadratura del film), in virtù di una splendida voce, di capacità attoriali e di gestione della scena non comuni, riesce ad esser credibile per tutta la durata del
film nei panni di una donna che finge di essere un uomo che finge di essere una
donna, forse anche perché non dotata di una femminilità prorompente e proprio per
questo vagamente androgina.
Robert Prestonsenza scadere nello
stereotipo caricaturale della “checca acida”, ritrae ed offre al pubblico la figura di un omosessuale
pronto, spiritoso e dalla battuta caustica.
Non sono da meno James Garner, gangster
macho e machista, che sente vacillare la propria eterosessualità sotto i
piedi, e Lesley Ann
Warren(nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta nel ruolo della pupa del boss bionda e starnazzante.
Il film presenta una sceneggiatura di rara
intelligenza ed arguzia a firma di Edwards stesso, con
monologhi e dialoghi brillanti e divertenti, preziosi anche quando si fanno più seri e sono portatori di un condivisibile messaggio di tolleranza, senza essere didascalici.
La vicenda è solo apparentemente farsesca o dai
contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente
affatto ipocrita o compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Entrambi i film hanno dalla loro anche la musica, con belle canzoni ed una colonna sonora da ascoltare.
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
Julie Andrews sembra aver ritrovato lo smalto dei bei tempi (guadagnandosi diversi riconoscimenti e una nomination agli Oscar) e, benchè non dotata dell’ambiguità di una Marlene Dietrich (sempiterna icona gay
a cui è emblematicamente dedicata la prima inquadratura del film), in
virtù di un sovrumano talento e a doti recitative non comuni, riesce ad
esser credibile per tutta la durata del film nei panni di una donna che
finge di essere un uomo che finge di essere una donna, forse perché non
dotata di una femminilità prorompente e proprio per questo vagamente androgina
(senza poi stare a ricordare le sue straordinarie doti canore che le
permettono di valorizzare il già notevolissimo spartito di un ispirato Henry Mancini).
Robert Preston sbalza e ritrae un omosessuale pronto, spiritoso e dalla battuta caustica, senza tuttavia scadere nello stereotipo caricaturale della “checca acida”.
Tutt’altro! Infonde al personaggio una profonda umanità e possiamo dire
a ragione che ha lasciato a futura memoria un’interpretazione
magistrale. James Garner, seppur accerchiato da cotanti “mostri”, non sfigura nel ruolo del gangster macho e machista
che si sente vacillare la propria eterosessualità sotto i piedi, ma che
soprattutto teme il giudizio altrui. Menzione d’onore alla spiritosa Lesley Ann Warren (che si aggiudicò una nomination agli Oscar),
semplicemente perfetta: con il suo ruolo, la pupa del boss bionda e
starnazzante, rinverdisce i fasti di un’altra mitica oca bionda entrata
di diritto nella storia del cinema: Jean Hagen, alias Lina Lamont di Cantando sotto la pioggia.
Va
anche detto che il film, oltre a mostrare una confezione splendidamente
accurata che ci riporta indietro con tanta nostalgia ai musical
classici di Hollywood degli Anni ’30 col loro lusso e col loro allegro ottimismo, grazie ad una sceneggiatura (ispirata a un film tedesco del 1933, Viktor und Viktoria) di rara intelligenza ed arguzia a firma di Edwards
stesso, senza monologhi o dialoghi piattamente didascalici e senza
dover per forza rivolgersi ad un pubblico fatto solo di militanti
dell’Arcigay, sa essere molto più persuasivo nel suo messaggio di
tolleranza di mille ed inuitili (oltre che mediocri) Stonewall, Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti tanti, forse troppi, altri film a tema.
Proprio perché il grande Blake
non è un regista specializzato nel genere, bensì un uomo di grande
ironia, sa perfettamente che con il sorriso, il riso e la risata grassa
si riesce a convincere il pubblico (quindi, la gente comune) più che con
90 minuti di lamentose prediche da un pulpito. Ed Edwards va perfettamente a segno, ricorrendo ad una vicenda solo apparentemente farsesca o dai contorni vagamente boccacceschi, ma in realtà profondamente umana e niente affatto ipocrita o necessariamente compiacente nel tratteggiare il mondo gay.
Se
poi il tutto è condito da canzoni magnifiche (che sanno essere di volta
in volta ironiche, scatenate e a ritmo di jazz o romantiche), costumi
di una perfezione esemplare, scenografie di raro buongusto e da frizzi e
lazzi (affidati soprattutto alla macchietta dell’investigatore privato
pasticcione e maldestro, legato a doppio filo con l’altro ispettore
francese pasticcione e maldestro: Clouseau) , “con un poco di zucchero la pillola va giù” (tanto per citare una celeberrima canzone di sua moglie
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