giovedì 30 novembre 2017

Neve Nera (Martin Hodara - 2017)

Intrigato e stimolato dalla presenza nel cast di Ricardo Darín, ammirato ed elogiato per la sua interpretazione in “Il Segreto dei suoi Occhi”, mi sono avvicinato alla visione di “Neve Nera”, per la regia di Martin Hodara.
Purtroppo ho dovuto prendere atto che l'attore argentino non è propriamente il protagonista del film, cedendo molto, forse troppo spazio ad altri due personaggi, che di fatto sono i veri personaggi centrali, quantomeno per il numero di inquadrature e battute a loro assegnate.



Per amor di sintesi e semplicità di seguito presento ciò che ritengo essere gli elementi positivi e quelli meno positivi, se non addirittura negativi, del film.

Positivi: quasi tutta la prima parte del film sembra scritta apposta per stimolare lo spettatore e coinvolgerlo in una vicenda non del tutto originale ma comunque intrigante, anche grazie ad una ottima e nitida fotografia che presenta il contesto naturale e socio-familiare con maestria e ammirabile efficacia; i flashback si alternano ordinatamente e con buona scansione, aiutando chi guarda a ricomporre il puzzle degli avvenimenti e a seguire il percorso,di vita ed emozionale, passato ed in evoluzione dei caratteri; i silenzi più dei dialoghi raccontano e coinvolgono.

Meno Positivi: la seconda parte del film sembra meno efficace, con una scrittura ed una sceneggiatura un po' troppo semplice, quasi scolastica, offrendo la sensazione che si sia voluto “non osare” e rimanere sul “sicuro”, quasi un rassicurante “già visto” pur con maestria tecnica (piano sequenza efficace, buon uso del campo controcampo); il personaggio femminile centrale risulta a suo modo invadente e petulante, esagerando la sua pur, a livello di sceneggiatura, indovinata funzione, ed il fatto che l'attrice che lo interpreta sia nettamente la peggiore del cast non aiuta; soluzioni narrative e risvolti psicologici/psicanalitici troppo semplicistici e mal posizionati.



Rimane il fatto che un film solo in parte di genere avrebbe potuto offrire di più e di meglio. Personalmente ritengo che sia stato poco e non completamente utilizzato il contributo del già citato Ricardo Darín, anche se è comunque un piacere rivederlo, sebbene sia anche vero che fare un film puntando sopratutto sulla qualità degli attori e una buona, anche ottima tecnica, spesso non basta.

Il nucleo da tragedia greca c'è e avrebbe potuto rendere possibile un grande film, con almeno tre belle scene che da sole meriterebbero la visione, la Natura contribuisce alla grande alla scenografia, con montagne innevate, foschie che hanno il fascino del misterioso, nuvole come funeste messaggere, tempeste di neve e quel senso di selvaggia solitudine che ha sempre una certa presa sul pubblico, ma l'intreccio noir alla fine risulta artificioso e si rimane solo parzialmente soddisfatti.


A ben vedere avrebbe potuto essere un film sul silenzio, sui silenzi, su bugie che si raccontano e ci si racconta per riuscire a vivere, poteva essere un dramma familiare con terzo elemento aggiunto, una fotografia di interni fisico-emotivi con il contributo degli spazi aperti, una sottile e drammatica indagine sul male, invece si rimane a qualche passo da tutto questo, privilegiando la forma (ancorché non completamente perfetta) rispetto alla sostanza. Ma lo si capisce solo a visione terminata, per cui tutto sommato vale la pena.

Segnati dalla tragica morte del fratello minore durante una battuta di caccia, Marcos (Leonardo Sbaraglia), Salvador (Ricardo Darín) e Sabrina (Dolores Fonzi) da anni hanno preso le distanze l’uno dall’altro. Il primo si è rifatto una vita in Europa e aspetta un bambino dalla moglie Laura (Laia Costa), il secondo vive in quasi totale isolamento nella casa di famiglia sperduta nelle fredde foreste della Patagonia, mentre Sabrina è rinchiusa in un ospedale psichiatrico a causa della shock subito. Le loro storie sono destinate a intrecciarsi di nuovo alla morte del padre, quando Marcos tornerà nella terra natia per affrontare il problema dell’eredità paterna.

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