martedì 20 novembre 2018

La Grande Guerra # 17

LA PROPAGANDA


Durante durante la “Grande Guerra” importante ruolo rivestì la propaganda.
Per quanto riguarda il Regno d'Italia essa si rivolse, specialmente durante le ultime fasi del conflitto, alla gran massa di combattenti. L'opera di propaganda, di natura essenzialmente ideologica, venne affidata ad un apposito servizio dell'esercito. Numerosi furono gli uomini di penna e di teatro, i letterati e gli artisti chiamati a collaborare all'opera di sensibilizzazione e proselitismo fra le truppe. Si fece ricorso ad ogni mezzo: dai giornali di trincea ai manifesti, dalle conferenze agli spettacoli, nei rari momenti di ritrovo collettivo, nei brevi intervalli fra una battaglia e l'altra.




















Ma, al di là di qualsiasi espediente ed appello propagandistico, ruolo particolare rivestì una canzone. “La Leggenda del Piave” si impose fra i combattenti e la gente comune (il fronte interno) con un'eccezionale forza di suggestione. Composta da E. Alberto Mario e lanciata a pochi mesi dalla fine della guerra, ma quando ancora la sua sorte rimaneva incerta, essa seppe far vibrare le corde dell'emozione collettiva e del sentimento nazionale. Al punto che finì per imprimere nella memoria degli italiani il Mito della Grande Guerra come emblema dell'unione fra popolo e nazione, fra esercito ed istituzioni.
Prova della sua forza e della sua longevità se ne ha anche in una scena di un popolare film ispirato alle opere di Giovannino Guareschi, dove negli immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale il sindaco comunista di Brescello, Peppone, non riesce a rimanere insensibile alle note della “Leggenda del Piave” che il parroco del paese, il rivale fraterno Don Camillo, fa risuonare durante un suo comizio.



Proposta sotto altre forme, l'azione di propaganda si rivelò essenziale per rafforzare lo spirito pubblico a favore della guerra per tenere unito il fronte interno. Si trattava di allineare la stampa alle direttive del governo, di mettere a tacere ogni voce di dissenso, in modo tale che la censura divenne uno strumento di intervento permanente, al fine di rendere sempre più intensa la mobilitazione civile per assicurare nuovi mezzi alle crescenti necessità materiali del conflitto. A cominciare dalle risorse finanziarie occorrenti per alimentare la macchina bellica, che vennero raccolte mediante una serie di prestiti nazionali emessi a ripetizione.




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