Titolo:
La vita gioca con me
Autore:
David Grossman
Traduttore:
Alessandra Shomroni
Editore:
Mondadori - 2019
Non è una
lettura facile quella di “La vita gioca con me”, ultimo
libro di David Grossman pubblicato in Italia da Mondadori.
Affatto
facile per lo stile dell'autore che, per quanto curato e tutto
sommato “offerto al lettore”, risulta pagina dopo pagina
sicuramente impegnativo ed a tratti difficile dato il continuo
alternarsi fra presente e passato, fra attuale e ricordi e vissuti.
Difficile
inoltre per la profondità e l'insistere, quasi doloroso per chi si
facesse catturare dalle pagine, su due temi enormi e fondamentali:
l'amore e l'identità.
Ne nascono
interrogativi e problemi che il lettore non può fare a meno di
spostare dai protagonisti del romanzo a sé. Scrivo protagonisti, ma
forse sarebbe meglio riferirsi a protagoniste, tre per la precisione,
con l'aggiunta di due elementi maschili, uno vivo e in azione
diretta, l'altro defunto e operante attraverso i ricordi ed i
racconti di chi lo ha amato.
Iniziando da
un plot, un tema tutto sommato ad una prima analisi ampiamente
utilizzato e sviscerato, ovvero come da più generazioni si generino
tanti ricordi e molteplici versioni di una stessa storia, così come
una buona dose di segreti nascosti per anni e sentimenti
contrastanti, David Grossman ne “La vita
gioca con me” riesce con efficacia e tanto calore a raccontare “la
resa dei conti” (una possibile
versione di essa) in una famiglia in
cui i ricordi stessi e le varie omissioni hanno creato ferite che
sembrano impossibili da curare, tanto meno da rimarginare.
È un
romanzo che vive di contrasti, di coppie
oppositive, quali, tra le tante, madre-figlia, passato-presente
(quale futuro?),
colpa-perdono, accudimento-abbandono e ancora altre, intensamente
rappresentate attraverso i dialoghi ed i discorsi meravigliosi fra
madri e figlie e le metafore ed analogie che Grossman ci presenta con
una crudeltà ammantata di garbo e quel tanto di intelligente astuzia
che stimola la lettura.
Non
inserisco rimandi alla trama e informazioni ulteriori riguardo i
fatti narrati, sia perché non mi piace farlo (spesso
neanche leggerli), sia perché ritengo sia
più gustoso per chi lo desiderasse scoprirli per conto proprio,
nella lettura di un romanzo che sa essere “violento” nei
confronti di sensibilità del lettore, così come intenso verso il
lettore medesimo nel porgli interrogativi quali “quanto lotteresti
per preservare te stesso e la tua identità” e “quanto sei
disposto a sopportare per amore?”, oltre a quanto e cosa sono in
grado di sopravvivere l'identità e l'amore stesso.
"Tuvia era mio
nonno. Vera è mia nonna. Rafael, Rafi, mio padre, e Nina… Nina non
c'è. Nina non è qui. È sempre stato questo il suo contributo
particolare alla famiglia", annota Ghili nel suo quaderno. Ma
per la festa dei novant'anni di Vera, Nina è tornata; ha preso tre
aerei che dall'Artico l'hanno portata al kibbutz, tra l'euforia di
sua madre, la rabbia di sua figlia Ghili, e la venerazione immutata
di Rafi, l'uomo che ancora, nonostante tutto, quando la vede perde
ogni difesa. E questa volta sembra che Nina non abbia intenzione di
fuggire via; ha una cosa urgente da comunicare. E una da sapere.
Vuole che sua madre le racconti finalmente cosa è successo in
Iugoslavia, nella "prima parte" della sua vita, quando,
giovane ebrea croata, si è caparbiamente innamorata di MiloŠ,
figlio di contadini serbi senza terra. E di quando MiloŠ è stato
sbattuto in prigione con l'accusa di essere una spia stalinista.
Vuole sapere perché Vera è stata deportata nel campo di
rieducazione sull'isola di Goli Otok, abbandonandola all'età di sei
anni e mezzo. Di più, Nina suggerisce di partire alla volta del
luogo dell'orrore che ha risucchiato Vera per tre anni e che ha
segnato il suo destino e poi quello della giovane Ghili. Il viaggio
di Vera, Nina, Ghili e Rafi a Goli Otok finisce per trasformarsi in
una drammatica resa dei conti e rompe il silenzio, risvegliando
sentimenti ed emozioni con la violenza della tempesta che si abbatte
sulle scogliere dell'isola. Un viaggio catartico affidato alle
riprese di una videocamera, dove memoria e oblio si confondono in
un'unica testimonianza imperfetta. (da
ibs.it)
Nessun commento:
Posta un commento