sabato 7 settembre 2013

99 giorni fra Los Angeles e Rwanda


99 Giorni


Autori: Matteo Casali (testi), Kristian Donaldson (disegni)
Casa Editrice: Panini Comics

99 giorni fra Los Angeles e Rwanda.

“Mentre una serie di omicidi fa esplodere la guerra tra le gang di Los Angeles, il detective Antoine Boyd deve affrontare un incubo che conosce fin troppo bene. Insieme alla collega Valeria Torres cercherà di risolvere il mistero del "Macellaio col machete". Il suo passato minaccia però di farlo a pezzi. Antoine infatti non è solo un poliziotto di L.A.: è anche un profugo scampato al genocidio che ebbe luogo in Rwanda nella primavera del 1994. È un uomo che ha visto con i suoi occhi cosa un machete può fare nelle mani di un pazzo. Riuscirà a catturare l'assassino senza perdere l'anima? Se fallirà, Antoine Boyd potrebbe scoprire che i suoi 99 giorni nell'inferno del Rwanda non sono affatto finiti...”.
(sinossi da www.ibs.it)

Sceneggiatura serrata, di derivazione televisiva, con evidenti riferimenti alla Los Angeles di Ellroy, per un albo che si pone a metà strada fra un noir e la puntata di uno dei tanti serial televisivi che provengono dagli Stati Uniti.

Matteo Casali ambienta la storia in una Los Angeles che sembra uscita da un crime drama televisivo (vedete un po’ voi quale…). Nella metropoli descritta da Casali, quindi, il crimine dilaga e sono soprattutto le gang afroamericane dei Crips e dei Bloods a farla da padroni. Antoine Boyd, protagonista del volume, è un detective irreprensibile e ligio alle regole che cerca di svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi.


Il parallelo fra Stati Uniti e Rwanda funziona bene, anche grazie a sapienti flashback, per cui la lotta fra gang richiama lo scontro, e relativo massacro, fra Tutsi e Hutu. Gli Stati Uniti di Casali sono violenti, infami, ingiusti, come il Rwanda, vi è rappresentata una vicenda e schemi che richiamano alla vita vera e vissuta, pertanto la differenza tra la metropoli americana e l’Africa profonda, con le sue baraccopoli, sublima.


Il riferimento ed il parallelo è incarnato da Boyd stesso, profugo sopravvissuto, con tante cicatrici psicologiche ed emotive, ed è esaltato da una feroce denuncia dell’ipocrisia del potere, l’avidità delle corporation, la violenza (innanzitutto psicologica) sui minori, nonché la sotterranea, strisciante corrente di razzismo che impregna ogni ambiente, dalle stazioni di polizia ai network radiofonici che enfatizzano i pregiudizi, fino ai lussuosi uffici dei businessmen, in un certo qual modo più spietati di un Crip o di un Blood, malgrado indossino maschere di rispettabilità.


La trama non è propriamente originale, ma lo è come viene proposta, anche grazie ad una intelligente e stimolante dose di citazioni (letteratura, musica, arte e fatti di cronaca). I disegni di Kristian Donaldson sono più che funzionali alla sceneggiatura, capaci di dare forma e vita ai “fantasmi” di Boyd, con un buon uso del chiaroscuro che accentua la componente tragica della vicenda, accompagnando il ritmo e la lettura dell’albo.


Un buon prodotto, di derivazione statunitense, con un buon sceneggiatore italiano che miscela originalità e convenzioni per darci la possibilità di scendere all’inferno e rimanerne un po’ segnati, almeno sottotraccia, lasciandoci un certo gusto che sa di hard-boiled.


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