Avevano camminato per due ore, almeno, quando P.,
vincendo la sua reticenza, facendo violenza alla sua abitudine, si rivolse a
lei, diretto, senza formule di cortesia, buone per prendere tempo e chiudere,
così, gli spazi ad impulsi da mortificare, fermare in tempo.
In bocca il sapore della liquirizia che aveva finito
di succhiare pochi minuti prima. Se l’era furtivamente ficcata in bocca per
farsi coraggio, per trovare dentro di sé un po’ di fiducia. Tutta la spinta che
gli veniva da quel dolore, intimo, alla sommità dello stomaco, sopra la cinghia
dello zaino, che aveva stretto forte, il più possibile, quasi a provocarsi una
fatica maggiore, con cui impegnare il corpo e la mente, in modo da pensare il
meno possibile al suo viso. Al suo viso ed alla sua presenza, la sua figura,
qualche passo dietro di lui, in leggera pendenza.
Il volto di G. era rosso di impegno e
concentrazione, ma sempre dannatamente impossibile da fissare senza sentirsi
turbato, compromesso, costretto a sentirsi trasportato in un altro luogo,
doloroso e appagante allo stesso tempo.
“Era, voglio dire, è da mesi che desideravo venire
qui con te”.
Le parole gli erano uscite goffe, leggermente inciampate, ma le
avevano comunque fatto crescere un sorriso. Uno di quei sorrisi che le
brillavano gli occhi, come da tempo ormai P. aveva imparato a riconoscere e che
temeva di non poter più rivedere.
“Mi piace camminare presto al mattino” gli disse,
prendendo appena un po’ di fiato. “mi piace l’odore del bosco umido, ed è bello
che tu sia con me”.
Le parole di lei gli avevano fatto saltare il cuore
in petto, mozzato le parole che stava per pronunciare approfittando dello
slancio. Non riuscì a dire più nulla fino al rifugio, con i pensieri che si
accavallavano, uno dietro l’altro. Parole e sensazioni che si rincorrevano e
gli facevano andare più veloci i piedi, gli rendevano insaziabili le gambe. Le
sue gambe che ora si muovevano febbrili, incapaci di quiete e bisognose di
raggiungere le pietre, i cespugli lì davanti, momentanee mete, parziali traguardi
di una personale impresa.
G. ora faticava a tenere il suo passo ma,
comprendeva, non c’era scortesia nella fretta, nella animosità di P. Era fatto
così, inquieto nel suo intimo, e la camminata svelta ne era il segno più
evidente. Ma andava bene, a lei non dava fastidio, le piaceva quella sua
modalità di vivere i sentimenti, da solo e rivolto, quasi avviluppato, su di
sé.
Nel suo cuore aveva scelto e i sorrisi che gli
donava lo testimoniavano.
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