sabato 12 luglio 2014

La Grande Guerra # 3

La poesia e la letteratura hanno avuto sempre grande spazio nel raccontare la guerra, le emozioni, le pulsioni, anche solo i drammatici accadimenti.

La Prima Guerra Mondiale non ha fatto eccezione, ma anziché limitarsi a narrare le gesta di eroi e condottieri, glorificare conquiste e successi, poeti e scrittori come Ungaretti, Apollinaire, Rebora, Jahier, Slataper, Hemingway, Remarque hanno descritto il dolore e la sofferenza, propria e dei loro compagni e di chi, casualmente, uomo come loro, indossava una divisa di un altro colore.

Guillaume Apollinaire


Cartolina Postale



Ti scrivo da sotto la tenda
Sul finire di un giorno d’estate
Fioritura abbagliante
Nel pallore celeste
La vampa di una cannonata
Si sfa prima di essere stata.



(da Calligrammi, 1918 - Traduzione di Vittorio Sereni)





Giuseppe Ungaretti



Veglia



Cima Quattro il 23 dicembre 1915

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio

con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.



(da Allegria di naufragi, 1919)





Piero Jahier


Attacco e abbandono della posizione di s. Osvaldo



Mio forte compagno Piero Mancini, è
perché non hai voluto arrenderti; è perché
anche per me hai voluto morire; come mio
padre.

La casa era serena e fedele come l'amavi;
e Gioietta ansiosa a interrogar tutto il giorno
colla vocina: ma dov'è, ma chi ha scritto
ch' è prigioniero e ferito?

Dicevi: sta fermo e non temere
ora io sto fermo; ma tu sei caduto…
nella gloria sei passato
o compagno che mi avevi creduto
o amato

E hai detto quando mi hai lasciato :
tu non dovevi venire
ma non temere, Piero, perché torniamo

Perché hai detto torniamo
se avevi il viso che non può tornare?

Ora, io che sono restato,
mi sento chiamare,
inginocchiato,
vicino alla chiesa...
solo della voce eri armato
colla voce ti sei battuto
o compagno, o amato!

Ma perché hai detto: torniamo
se avevi il viso che non può tornare?
Ora, io che sono restato,
mi sento tanto chiamare.



(da Con me e con gli alpini, 1920)





Clemente Rebora



Viatico



O ferito laggiù nel valloncello
tanto invocasti
se tre compagni interi
cadder per te che quasi più non eri.
Tra melma e sangue
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l'ora,
affretta l'agonia,
tu puoi finire,
e conforto ti sia
nella demenza che non sa impazzire,
mentre sosta il momento
il sonno sul cervello,
lasciaci in silenzio
Grazie, fratello.



(da Canti anonimi, 1922)


Nessun commento:

Posta un commento