by Santiago Solìs |
A volte provo una certa nostalgia per gli anni
universitari.
Non tanto per le serate concluse a gare di rutti o
quelle che si prolungavano fino all’alba nello sforzo di guadagnarsi almeno un
bacio della bella di turno, bensì per le occasioni di confronto e
discussione che, “magicamente”, nascevano da semplici frasi o banali e
trascurabili eventi quotidiani.
Ad esempio, mi ricordo, una sera, il giorno dopo
aver visto al cinema l’ultimo film di Stanley Kubrick, “Eyes Wide
Shut”, mi “scappò” di dire che la musica finale era un valzer di Dmitrij
Šostakovič. La reazione, peraltro non necessaria, non si fece attendere:
“chi è ‘sto sciostakovic? Un altro dei tuoi russi del cazzo?”, “un comunista?”.
Ora, per completezza di informazione, il pezzo in
questione era il valzer n.2 della Suite per Orchestra di Varietà (Jazz
Suite n.2). Vi assicuro che da parte mia non vi era intenzione di
esibire cultura musicale (comunque povera), tantomeno di mostrarmi
capace di pronunciare nomi slavi, comunque questo generò una tanto inutile,
quanto lunga, estenuante e a tratti fastidiosa, discussione sul valore di opere
d’arte, letterarie o comunque dell’ingegno ed intelletto a prescindere
dall’autore/creatore delle suddette.
Il buon Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, del
quale mentre scrivo ascolto la Sonata per viola e piano opera 147,
era effettivamente nato russo e fu per tutta la vita un sostenitore degli ideali
rivoluzionari dell’ottobre 1917. Molto semplicisticamente questo farebbe di
lui un “comunista”, nonostante i molti problemi che ebbe con Stalin
e le relative condanne subite. Ebbene questo, a parere del mio interlocutore di
allora (che la Ragione ed il Buon Senso lo abbiano accolto tra le loro
braccia), influenzerebbe in modo decisivo il giudizio sulla sua opera.
Poiché un compositore sovietico, convinto dei fondamenti della
rivoluzione bolscevica e, dopo la morte di Stalin, uno dei maggiori artisti e
rappresentanti della Cultura e dell’Arte di quello che era “L’Impero del
Male”, non poteva essere apprezzato e presentato come un buon modello.
A stigmatizzare tale cretinata basterebbe ben poco,
ma comunque sottolineo come Šostakovič fu membro del Consiglio
Internazionale dell’UNESCO, nota organizzazione comunista e sovversiva, con
particolare delega alla Musica.
Dmitrij Dmitrievič Šostakovič |
Quindi perché tutto ciò? In buona sostanza per evidenziare
come sia ancora attuale il rischio che alcuni si facciano influenzare, ed
influenzino a loro volta, nell’apprezzamento di composizioni, film, libri e
altro, dalla posizione dell’autore in merito ad argomenti quali la politica,
il suo eventuale sostegno ad ideali o temi, la legittima simpatia o antipatia
per leader, capi di stato o religiosi ed affini.
Tanto per rimanere a Šostakovič, negli anni in cui
Stalin ce l’aveva con lui il compositore veniva considerato, a prescindere
dalle sue opere, come un “elemento positivo” da parte degli
anticomunisti e degli occidentali. Cosa curiosa e francamente un po’ disturbata
e disturbante.
Ebbene la questione può essere delicata e foriera di
interpretazioni e problematiche non da poco. Io, da qualche tempo, in modo
probabilmente un po’ sbrigativo, sostengo che chi è sufficientemente dotato di
intelligenza, educazione, buon gusto e onestà intellettuale (ma anche onestà
e correttezza in senso assoluto, giacché di un evasore non mi fido mai), è
in grado di riconoscere un’opera di valore e meritevole di attenzione e
apprezzamento, o viceversa una schifezza, a prescindere da chi ne sia
l’autore. D’altra parte fin troppo danno è stato fatto boicottando od esaltando
film, libri, opere teatrali e musicali in base alla “posizione” del loro
creatore. Mi ricordo che, sempre durante la mia gioventù, spesso mi imbattevo
in individui che, aderenti ad una particolare organizzazione
politico-religiosa oppure a partiti e “chiese” varie, invitavano a vedere,
leggere o ascoltare una cosa oppure un’altra principalmente perché l’autore, o
anche solo l’esecutore, era “uno di loro”, “uno dei nostri”.
Una schifezza è tale e lo rimane anche se è fatta da mio
cugino, a cui magari voglio tanto bene e mi invita a vedere la juve a casa sua.
Una cosa bella la dovrei riconoscere ed apprezzare, anche
se l’autrice è ciellina e il suo sponsor è quel detestabile soggetto della mia
prof di chimica del liceo.
Un film od un libro mi possono piacere o non piacere
indipendentemente dal fatto che il regista o l’autore sia un farabutto, oppure
un esempio di moralità e correttezza.
Io non credo di poter essere considerato un estimatore del
nazionalsocialismo, tantomeno di Adolf Hitler (per quanto, come già esposto, l’individuo sia un efficace argomento per “animare” una serata),
però non posso non rimanere estasiato di fronte al film-documentario Olympia
ed ammirare il lavoro di Leni Riefenstahl, che lo girò, dedicato
alle Olimpiadi estive del 1936. La Riefenstahl era amica di
Hitler, in pratica contribuì in maniera efficace ed evidente all’esaltazione
degli ideali e suggestioni naziste, ma la sua opera è ancora oggi mirabile.
Infatti se in Olympia i protagonisti sono gli atleti (tra cui Jesse
Owens), un posto rilievo la regista lo riserva, abilmente, a Hitler in
tribuna. Si creava un parallelo tra il vigore dei giovani sportivi ed il
capo di un popolo che sulla retorica della potenza aveva impostato la sua
politica. Grande tecnica: teleobiettivi e ralenti sono usati senza
parsimonia, il controluce esalta momenti e dettagli significativi, si sceglie
la luce artificiale per destare emozioni e così via, senza dimenticare il
mirabile montaggio e l’uso, enfatico, delle musiche. Olympia allo stesso
tempo rispetta ed altera la realtà, offrendo dello sport un ritratto avvincente
che segna l’inizio di un filone. Infatti tutte le Olimpiadi successive saranno
filmate ed il cinema, secondo modi sempre più sofisticati, mostrerà immagini
che non potranno non essere debitrici del film di Leni Riefenstahl.
Leni Riefenstahl |
Spero che l’esempio sia
sufficientemente esplicativo. In pratica non mi va giù che, ancora oggi,
qualcuno valuti come sintomo di qualche prurito antisemita ascoltare Wagner, ritenga sconveniente, oppure motivo di simpatia “a
priori”, leggere e godere della lingua usata in “Viaggio al termine
della notte”, appassionarsi delle opere di Ezra
Pound o di Maksim Gor'kij. Ritengo
che valore di un’opera e suo autore possano essere distinti. Al riguardo chiamo
in causa nientemeno che il premio Nobel Luigi Pirandello, che aderì e mai ruppe con il Partito
Nazionale Fascista ed il Fascismo, senza che nelle sue opere ci fosse qualcosa di fascista.
Per cui possiamo tranquillamente ascoltare il già ampiamente ricordato Šostakovič, senza
per questo rischiare di sentirci bolscevichi, guardare il comunque brutto “Alba Rossa” anche se
non siamo filo-americani e nostalgici della Guerra Fredda, leggere Borges anche se
andava a cena con Videla e Pinochet, evitare i film di Bellocchio persino
se ci definiamo di sinistra e altro ancora.
Luigi Pirandello |
Ovviamente detesto quelli che, in virtù di
un’appartenenza o di una affiliazione a qualche “club”, politico, religioso o sportivo che sia
attribuiscono meriti e valore a qualche autore o artista. Ancora peggiore è la
mia opinione su scrittori, giornalisti, cantanti che “giocano” sul conquistare
credito e visibilità grazie ad apposite dichiarazioni e prese di posizione su
temi, tematiche, accadimenti e opinioni/punti di vista su questioni
politico-sociali.
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