venerdì 2 settembre 2016

Confini



“Dov’è che non ce n’era. Se volevamo andare nell’entroterra triestino, dovevamo passare dalla zona A alla zona B. Se volevamo continuare verso Lubiana, c’era di nuovo un confine. Dappertutto esibizione di documenti, controlli. Dal sedile posteriore della nostra auto, dove spesso me ne stavo mezzo addormentata e avvolta in una coperta, scorgevo finanzieri, soldati che salutavano. Transenne si chiudevano e si riaprivano. A volte un indecente rovistio nelle valigie. Mi avviluppavo più addentro nella mia coperta. Eppure, non appena quella strana procedura era terminata, mi guardavo intorno: Cosa c’era di diverso di là dal confine? Forse che gli alberi erano più grandi, forse che le persone avevano una faccia più cordiale? E forse che non capivo anche quel che dicevano?
Ambivalenti, questi confini. Provocavano una reazione di sorpresa, di inquietudine, di timore, però avevano anche un loro fascino. Li vivevo come punti di tensione, che risvegliavano la mia curiosità. Per un verso creavano delle barriere fra il consueto e l’inconsueto, che spingevano a scostare la tenda, a guardare attraverso il buco nello steccato, a spiare oltre le transenne. Per un altro verso erano varchi, punti di frizione e di contatto. Intuivo il loro segreto, percepivo però istintivamente anche la loro relatività.” 
(Il mare che bagna i pensieri, di Ilma Rakusa – Sellerio – trad. Mario Rubino)



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