Quando
mi trovo a parlare di cinema d'animazione con qualcuno ben al
di sotto dei 30 anni spesso devo fare i conti con qualche abitudine
consolidata, da parte mia e loro s'intende, ed anche con il fatto che
per buona parte di loro i film d'animazione partono essenzialmente da
Toy Story (con uso del computer e stilemi di caratteri che
lo connotano irriducibilmente). Ebbene i miei interlocutori danno
per scontate determinate tecniche ed anche per unica una modalità
d'approccio alla narrazione ed alle immagini. Perciò noto la
tendenza a semplicistiche, ma in fondo non del tutto colpevoli,
distinzioni ed a qualche tutto sommato innocuo pregiudizio.
Questo
però rende loro più difficile considerare e approcciarsi a prodotti
più vecchi, differenti per tecniche utilizzate, per scrittura e
narrazione (tema a me sempre molto caro).
Per fare un esempio, senza cadere sempre nell'animazione giapponese
ed i suoi “mostri sacri”, recentemente ho fatto cenno ad un film
del 1982 per la regia di Don Bluth, “Brisby
e il segreto di NIMH”.
Fino
a qualche anno prima il buon Don
Bluth aveva lavorato per
più di vent'anni per la Disney,
collaborando a diversi successi della “Casa del Topo”, senza però
essere riuscito ad esprimersi compiutamente come avrebbe voluto.
Destino tra l'altro condiviso con altri grandi artisti, fra cui Tim
Burton e John Lasseter (sì proprio il regista di “Edward
Mani di Forbice” ed il fondatore della Pixar). Ebbene,
una volta lasciata la Disney che cominciava un non breve periodo di
crisi creativa e artistica, Bluth fondò una sua casa di produzione
ed il primo lungometraggio fu proprio “Brisby e il segreto di
NIMH”.
Ironicamente
mise a protagonista del film un roditore, infatti lui ed i suoi
collaboratori lavorarono all'antropomorfizzazione dell'animale
simbolo dell'ex datore di lavoro: un topo. Così una graziosa
topolina è al centro della storia, una giovane madre rimasta vedova
e costretta ad affrontare un tumultuoso trasloco dalla comoda tana in
cui vive. Dal punto di vista tecnico tutto nella tradizione, forse
anche con un certo gusto di antico, ma il momento è storico. Ovvero
la prima vera sfida alla Disney, che se non otterrà poi grande
successo al botteghino comunque negli anni a seguire si rivelerà un
buon prodotto, con più di un elemento tecnico e di costruzione della
storia che ancora oggi dicono la loro.
Per
farla breve “Brisby
e il segreto di NIMH”
è un film che intende presentarsi come fuori dal proprio tempo,
quasi demodé, o meglio sospeso in un limbo che per conquistare una
sua immortalità volge lo sguardo con struggente tenerezza al
passato. Ancora oggi è come se si compisse un viaggio a ritroso, dal
punto di vista tecnico, ma così facendo il film riesce a salvarsi
dalle inevitabili usure del tempo, quelle che hanno colpito ed ancora
colpiscono i prodotti che rincorrono i gusti del pubblico moderno e
le mode del momento (ottenendo
grandi incassi, si intende, ma avviandosi ben presto all'oblio ed
all'essere superati da altri appetiti).
Anche grazie a qualche scena “scura” e ad un sapiente utilizzo
del buio e della luce, sia in senso fisico che come concetti, a
distanza di quasi quarant’anni dalla sua realizzazione la storia di
Brisby, tratta da un romanzo di Robert C. O’Brien, è ancora
straordinariamente attuale. Merito
del messaggio ecologista, senza dubbio, con la denuncia e anche la
ridicolizzazione degli esperimenti umani sui topolini, ma anche del
linguaggio cinematografico, elegantemente morbido, ricco di
sfumature, e della sceneggiatura nobilmente semplice così da essere
godibile e rigodibile.
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