A proposito
di “Nebraska”, film
di Alexander Payne, ho avuto di recente un confronto con un
giovane e simpatico collega. Eravamo entrambi d'accordo di aver visto
un bel film, molto intrigante e coinvolgente, ottimamente recitato
sia dai protagonisti che dai comprimari, con una superba
fotografia ed una narrazione che fila bene e con soddisfazione.
A quel
punto, un po' per dare pepe alla conversazione, un po' perché,
fondamentalmente, io sono incontentabile ed anche “lievemente”
spaccamaroni, ci siamo messi a trovare eventuali punti deboli nel
film. Non proprio elementi negativi, si intende, ma quel qualcosa che
non fa arrivare “Nebraska” a personali voti molto alti. Ora, per
chiarezza, dichiaro che sarei contento se facessero più spesso film
di quel livello e che a questa opera di Payne non esiterei ad
assegnare un personale 7,5. Quindi potreste chiedermi quali sarebbero
le cose di cui dovrei lamentarmi. Bene, di seguito espongo le mie
osservazioni.
Il film
scorre molto bene, sorretto anche da una colonna sonora
particolarmente adatta. Forse scorre troppo bene. Nel senso che
assistiamo esattamente a quello a cui ci aspettiamo di assistere.
Accade tutto quello che vorremmo accadesse, nei tempi e nelle
modalità che vogliamo e che conosciamo, dandoci un certo senso di
soddisfazione e quasi facendoci stare bene, come se ci
rispecchiassimo nel figlio che asseconda e accompagna il padre
vecchio e malandato, o proprio in questo vedessimo una proiezione di
noi stessi, del nostro padre e del rapporto che ci lega a lui. Un
film sulle difficoltà di relazione fra padre e figlio, fra
famigliari e all'interno della famiglia. È effettivamente uno temi
presenti nel film, oltre alla terza età e tutto ciò che comporta.
Ma manca un guizzo, una trovata, un evento che almeno in parte ci
sorprenda e magari ci spiazzi, donandoci vita e movimento,
chiamandoci ad un interrogativo, stimolandoci un dubbio e
solleticando la nostra personale curiosità. Questo non è
presente, il film ci conforta nella sua prevedibilità, ci fa fare
pace con parti di noi, ma manca di una porzione di vita. Non è
grave, ma mi sarebbe tanto piaciuto ci fosse.
Un altro
elemento a cui rivolgo le mie attenzioni è la scelta del bianco e
nero. Già sottolineato come la fotografia sia magnifica, ritengo
che in questo caso l'opzione di rinunciare al colore alla fine della
visione risulti poco più di un vezzo stilistico, al limite di un
ammiccare ad un pubblico in cerca di pellicole indie alternative (qui
di genuinamente indie c'è poco e va anche bene così). Insomma,
il bianco e nero può essere utilizzato per esaltare le forme e le
linee, per accentuare e giocare con i contrasti, per sottolineare
ambienti e situazioni così come stati d'animo e caratteri. In
“Nebraska” tutto questo viene fatto poco e con scarsa
convinzione, quasi accidentalmente, lasciando un pizzico di delusione
nello spettatore, o almeno nello spettatore che sono io. Quanto ho
esposto a bene vedere non sono difetti, per carità, definiamoli
limiti, non enormi tanto meno fatali, ma che mi piacerebbe venissero
superati in una prossima produzione o da un altro/a regista che si
cimentasse con il genere. A proposito, ma che genere di film è
Nebraska?
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