sabato 23 marzo 2019

A proposito di "Nebraska", di Alexander Payne


A proposito di “Nebraska”, film di Alexander Payne, ho avuto di recente un confronto con un giovane e simpatico collega. Eravamo entrambi d'accordo di aver visto un bel film, molto intrigante e coinvolgente, ottimamente recitato sia dai protagonisti che dai comprimari, con una superba fotografia ed una narrazione che fila bene e con soddisfazione.

A quel punto, un po' per dare pepe alla conversazione, un po' perché, fondamentalmente, io sono incontentabile ed anche “lievemente” spaccamaroni, ci siamo messi a trovare eventuali punti deboli nel film. Non proprio elementi negativi, si intende, ma quel qualcosa che non fa arrivare “Nebraska” a personali voti molto alti. Ora, per chiarezza, dichiaro che sarei contento se facessero più spesso film di quel livello e che a questa opera di Payne non esiterei ad assegnare un personale 7,5. Quindi potreste chiedermi quali sarebbero le cose di cui dovrei lamentarmi. Bene, di seguito espongo le mie osservazioni.

Il film scorre molto bene, sorretto anche da una colonna sonora particolarmente adatta. Forse scorre troppo bene. Nel senso che assistiamo esattamente a quello a cui ci aspettiamo di assistere. Accade tutto quello che vorremmo accadesse, nei tempi e nelle modalità che vogliamo e che conosciamo, dandoci un certo senso di soddisfazione e quasi facendoci stare bene, come se ci rispecchiassimo nel figlio che asseconda e accompagna il padre vecchio e malandato, o proprio in questo vedessimo una proiezione di noi stessi, del nostro padre e del rapporto che ci lega a lui. Un film sulle difficoltà di relazione fra padre e figlio, fra famigliari e all'interno della famiglia. È effettivamente uno temi presenti nel film, oltre alla terza età e tutto ciò che comporta. Ma manca un guizzo, una trovata, un evento che almeno in parte ci sorprenda e magari ci spiazzi, donandoci vita e movimento, chiamandoci ad un interrogativo, stimolandoci un dubbio e solleticando la nostra personale curiosità. Questo non è presente, il film ci conforta nella sua prevedibilità, ci fa fare pace con parti di noi, ma manca di una porzione di vita. Non è grave, ma mi sarebbe tanto piaciuto ci fosse. 
 
Un altro elemento a cui rivolgo le mie attenzioni è la scelta del bianco e nero. Già sottolineato come la fotografia sia magnifica, ritengo che in questo caso l'opzione di rinunciare al colore alla fine della visione risulti poco più di un vezzo stilistico, al limite di un ammiccare ad un pubblico in cerca di pellicole indie alternative (qui di genuinamente indie c'è poco e va anche bene così). Insomma, il bianco e nero può essere utilizzato per esaltare le forme e le linee, per accentuare e giocare con i contrasti, per sottolineare ambienti e situazioni così come stati d'animo e caratteri. In “Nebraska” tutto questo viene fatto poco e con scarsa convinzione, quasi accidentalmente, lasciando un pizzico di delusione nello spettatore, o almeno nello spettatore che sono io. Quanto ho esposto a bene vedere non sono difetti, per carità, definiamoli limiti, non enormi tanto meno fatali, ma che mi piacerebbe venissero superati in una prossima produzione o da un altro/a regista che si cimentasse con il genere. A proposito, ma che genere di film è Nebraska?
Un uomo anziano e alcolizzato, convinto di avere vinto un milione di dollari alla lotteria per corrispondenza della Mega Sweepstakes Marketing, cerca di raggiungere il Nebraska per incassare il premio. La moglie e i due figli, preoccupati che questa fissazione sia il primo passo verso la demenza senile, pensano di trovargli un posto in una casa di riposo. Vista l’insistenza del padre, uno dei due figli decide di accompagnarlo in macchina, imbarcandosi in un’avventura on the road dal Montana al Nebraska.

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