sabato 9 marzo 2019

Se vi va di vedere qualche anime



Gli anime derivano da un neologismo nato in Giappone e ormai diffuso in tutto il mondo come abbreviazione di animation. Quella a loro riconducibile risulta una delle industrie di primo piano in Giappone, hanno una storia lunga e molto complessa ed affascinante, con il merito di ricoprire un ruolo cruciale dal punto di vista culturale, narrativo, tecnico e sociale da circa 100 anni.

Per chi ama il genere, per chi vorrebbe avvicinarvisi, per chi solo occasionalmente li ha incontrati, un po' anche per chi non li conosce e magari ci si accosta con molte riserve e qualche reticenza. Una mia breve e per forza di cose parziale selezione di anime, divisi per decennio, uno ciascuno dagli anni 80 ai 10 del ventunesimo secolo, senza Hayao Miyazaki per rendere il tutto meno scontato.


Akira (Katsuhiro Ōtomo, 1988)
Titolo per forza di cose fondamentale, imprescindibile per aver concentrato fantascienza, politica, analisi sociologica e dei caratteri, gigantismo rappresentativo ed una sorta di intimismo difficile da ignorare. Importante per aver (ri)dato vita al rapporto fra Oriente ed Occidente, oltre che per aver rappresentato in modo nuovo e non stereotipato i personaggi e gli ambienti, fino a quel momento noti al grande pubblico attraverso soprattutto le serie anime trasmesse in televisione, il tutto immerso in una ambientazione ed in una narrazione cyberpunk. Ammetterete che non è poco. Infine Akira è riuscito ad anticipare, a rappresentare e predire il futuro come pochi altri film sono stati in grado di fare, finendo poi per risultare una vetta fra le vette dell'animazione.


Ghost in the Shell (Mamoru Oshii, 1995)
Film a me molto caro, nonostante l'evidente complessità al limite della comprensione. Ancora fantascienza, ancora e di più cyberpunk, d'altra parte il periodo era quello giusto, non solo in Giappone ma anche in Italia. Punto di ispirazione anche per Matrix, i film dei fratelli/sorelle Wachowski, oltre che altro ancora e summa ma allo stesso tempo punto di ripartenza per un genere e per una serie di riflessioni sull'essere, sulle sue forme e le sue possibilità. Il tutto in una veste grafica e drammatica di alto livello che rende digeribile un ragionamento complesso e stratificato su tanti, forse anche troppi temi.


Metropolis (Rintarō, 2001)
Sebbene qualche imperfezione e più di un momento non proprio convincente, rappresenta un apprezzabile e imperdibile tentativo di sintetizzare diverse concezioni di cinema e di racconto. Evidente è l'intenzione di omaggiare l’omonimo film di Fritz Lang, cosa che in qualche passaggio risulta un ostacolo ed un limite, ma siamo di fronte ad un vero e proprio kolossal nipponico, in cui lo sfarzo visivo, con relativa goduria per lo spettatore, si accompagna al tentativo di ricondurre il concetto di coscienza robotica a un discorso politico e solo minimamente esistenziale. Ad accompagnare il tutto abbiamo una messa in scena fastosa che integra animazione tradizionale e computer graphic. Per uno spettatore poco allenato si esagera un po', ma resta comunque un fascino complessivo di alto livello.


Your name. (Makoto Shinkai, 2016)
Il più recente e quello che mi rimane più presente nella memoria, avendolo visto pochi mesi fa. Emozionante e coinvolgente, leggero e drammatico, rappresentativo e narrativo, con ogni elemento che funziona alla grande e svolge il suo ruolo negli spazi e nei tempi che gli vengono concessi. In Your name. è presente una non comune poetica in grado di coniugare audaci minimalismi e distanze abissali, amori adolescenziali e paradossi temporali, slanci da commedia adolescenziale e fondali pittorici abbacinanti, mozzafiato sequenze e maniacali rappresentazioni grafiche nella loro certosina perfezione. Uno stile e un’animazione che si rivela viva e pulsante, tanto da rendere impossibile non affezionarsi ai giovani protagonisti e non tifare per loro, struggendosi per le vite che si incrociano.

Titoli Bonus:
Una tomba per le lucciole (Isao Takahata, 1988);
Wolf Children (Mamoru Hosoda, 2012);
In questo angolo di mondo (Sunao Katabuchi, 2016).



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