Gli
anime derivano
da un neologismo nato in Giappone e ormai diffuso in tutto il mondo
come abbreviazione di animation. Quella a loro riconducibile risulta
una delle industrie di primo piano in Giappone, hanno una storia
lunga e molto complessa ed affascinante, con il merito di ricoprire
un ruolo cruciale dal punto di vista culturale, narrativo, tecnico e
sociale da circa 100 anni.
Per
chi ama il genere, per chi vorrebbe avvicinarvisi, per chi solo
occasionalmente li ha incontrati, un po' anche per chi non li conosce
e magari ci si accosta con molte riserve e qualche reticenza. Una
mia breve e per forza di cose parziale selezione di anime, divisi per
decennio, uno ciascuno dagli anni 80 ai 10 del ventunesimo secolo,
senza Hayao
Miyazaki per rendere il tutto meno scontato.
Akira
(Katsuhiro Ōtomo, 1988)
Titolo
per forza di cose fondamentale, imprescindibile per aver concentrato
fantascienza, politica, analisi sociologica e dei caratteri,
gigantismo rappresentativo ed una sorta di intimismo difficile da
ignorare. Importante per aver (ri)dato vita al rapporto fra
Oriente ed Occidente, oltre che per aver rappresentato in modo nuovo
e non stereotipato i personaggi e gli ambienti, fino a quel momento
noti al grande pubblico attraverso soprattutto le serie anime
trasmesse in televisione, il tutto immerso in una ambientazione ed in
una narrazione cyberpunk. Ammetterete che non è poco. Infine Akira
è riuscito ad anticipare, a rappresentare e predire il futuro come
pochi altri film sono stati in grado di fare, finendo poi per
risultare una vetta fra le vette dell'animazione.
Ghost in
the Shell (Mamoru Oshii, 1995)
Film
a me molto caro, nonostante l'evidente complessità al limite della
comprensione. Ancora fantascienza, ancora e di più cyberpunk,
d'altra parte il periodo era quello giusto, non solo in Giappone ma
anche in Italia. Punto di ispirazione anche per Matrix, i film dei
fratelli/sorelle Wachowski, oltre che altro ancora e summa ma allo
stesso tempo punto di ripartenza per un genere e per una serie di
riflessioni sull'essere, sulle sue forme e le sue possibilità. Il
tutto in una veste grafica e drammatica di alto livello che rende
digeribile un ragionamento complesso e stratificato su tanti, forse
anche troppi temi.
Metropolis
(Rintarō, 2001)
Sebbene
qualche imperfezione e più di un momento non proprio convincente,
rappresenta un apprezzabile e imperdibile tentativo di sintetizzare
diverse concezioni di cinema e di racconto. Evidente è l'intenzione
di omaggiare l’omonimo film di Fritz Lang, cosa che in qualche
passaggio risulta un ostacolo ed un limite, ma siamo di fronte ad un
vero e proprio kolossal nipponico, in cui lo sfarzo visivo, con
relativa goduria per lo spettatore, si accompagna al tentativo di
ricondurre il concetto di coscienza robotica a un discorso politico e
solo minimamente esistenziale. Ad accompagnare il tutto abbiamo una
messa in scena fastosa che integra animazione tradizionale e computer
graphic. Per uno spettatore poco allenato si esagera un po', ma resta
comunque un fascino complessivo di alto livello.
Your
name. (Makoto Shinkai, 2016)
Il più recente
e quello che mi rimane più presente nella memoria, avendolo visto
pochi mesi fa. Emozionante e coinvolgente, leggero e drammatico,
rappresentativo e narrativo, con ogni elemento che funziona alla
grande e svolge il suo ruolo negli spazi e nei tempi che gli vengono
concessi. In Your
name. è
presente
una
non comune poetica in grado di coniugare audaci minimalismi e
distanze abissali, amori adolescenziali e paradossi temporali, slanci
da commedia adolescenziale e fondali pittorici abbacinanti,
mozzafiato sequenze e maniacali rappresentazioni grafiche nella loro
certosina perfezione. Uno stile e un’animazione che si rivela viva
e pulsante, tanto da rendere impossibile non affezionarsi ai giovani
protagonisti e non tifare per loro, struggendosi per le vite che si
incrociano.
Titoli
Bonus:
Una
tomba per le lucciole
(Isao
Takahata, 1988);
Wolf
Children (Mamoru
Hosoda, 2012);
In
questo angolo di mondo
(Sunao Katabuchi, 2016).
Nessun commento:
Posta un commento