Titolo: Il Segreto di Palazzo Moresco
Autore:
Irma Cantoni
Editore:
Libromania – 2018
Seguito de
“Il Bosco di Mila”, Irma Cantoni ne “Il Segreto di Palazzo
Moresco” a mio parere cerca di approfondire il personaggio che
indaga ed allo stesso tempo di aggiungere temi ed analisi alla sua
opera. Dal punto di vista puramente tematico il risultato è
buono, apprezzabile per la serie di personaggi presentati e le
questioni ad essi legate, meno da quello stilistico. La
scrittura, pur mantenendosi su una leggibilità e qualità non comune
nell'attuale offerta di narrativa in generale, tende a volte ad
essere un po' noiosa ed in qualche passaggio stucchevole. Un peccato
perché poche pagine rischiano di rovinare il gusto di una lettura
comunque piacevole ed interessante.
Il
commissario capo Vittoria Troisi si trova questa volta ad indagare
per conto proprio, o quasi, su una serie di intrighi e misteri che
fanno capo ad una famiglia dell'alta borghesia bresciana (come nel
precedente libro tra l'altro), ma la parte forse che intriga
maggiormente il lettore è quanto accade a Roma e che è direttamente
legata ai rancori ed alle torbide questioni che albergano più a
nord. È presente azione ed un minimo di suspense, ma
poco sufficienti a bilanciare le comunque non frequenti digressioni
pseudofilosofiche ed esistenziali che la Cantoni inserisce,
probabilmente sulla scorta di personali esperienze.
La figura
malvagia, il cattivo del romanzo, pur detestabile e che si desidera
venga fermato per le aberrazioni e le violenze di cui è fautore, si
ritaglia un posto migliore e viene quasi da preferirsi alla
commissario capo, che sembra smarrirsi troppo e finire a capo della
vicenda un po' senza meritarselo. La sua condizione fisica, poi,
risulta alla fine poco più di un pretesto per una incursione,
gratuita e di cui non si sentiva il bisogno, su un terreno e temi
come la vita dopo la morte, le percezioni post trauma e sul finire
della vita (insopportabile la sfilza di colori elencati che
apparirebbero a Vittoria dopo un trauma). Un leggero (?)
passo indietro nel complesso del romanzo rispetto a quanto letto in
precedenza, anche se comunque la lettura qualche soddisfazione la
dona.
Ginevra
Moro non crede ai suoi occhi: sul treno che la porta da Brescia a
Milano le sembra di vedersi riflessa in uno di quegli specchi che
deformano la realtà; l'immagine che vede passare dall'altra parte
del vetro è quella di un'adolescente dall'aspetto selvatico,
un'anima alla deriva, una copia di se stessa priva della ricchezza e
dell'eleganza tra le quali è cresciuta. Le strade di Brescia si
preparano intanto ad accogliere il rombo dei motori e lo scintillio
delle carrozzerie delle auto d'epoca che partecipano alla Mille
Miglia. Durante la cena di gala che precede la corsa e vede riunita
tutta la Brescia che conta, la capo commissario Vittoria Traisi
conosce Lodovico Moro, il padre di Ginevra: tra scambi di battute e
galanterie, il collezionista si lascia andare a confidenze sulla sua
vita privata e familiare che lasciano interdetta Vittoria, indecisa
se interpretarle come un tentativo di seduzione o una richiesta
d'aiuto. Quando il corpo di Lodovico Moro viene ritrovato senza vita
nello studio privato di palazzo Moresco, la magnifica residenza che
cela alla stessa maniera tesori d'arte e rancori familiari, Vittoria
è incaricata delle indagini. (da
ibs.it)
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