L'attore
del momento è Joaquin Phoenix, in virtù della sua prova in “Joker”
da qualche giorno nelle sale cinematografiche.
Incuriosito
dalle lodi che ha ricevuto, ho recuperato la visione di un film di
qualche anno fa in cui è protagonista. Si tratta di “Her- Lei”,
di Spike Jonze, del 2013.
Ebbene,
lo dico senza mezzi termini, il film non mi è affatto piaciuto, anzi
trovo che sia noioso, superfluo e fin troppo scontato, al limite del
moralismo da chiacchiere fra mogli annoiate di ricchi professionisti.
Mi
accingo ad argomentare il mio lapidario giudizio. Le immagini sono
tutte uno sparare colori pastello che dovrebbero comunicare lo stato
d'animo del protagonista, ma che si risolvono poi in una sequenza di
“smarmellamenti-apri tutto” che invece di donare spessore e
profondità finiscono per irritare lo spettatore che sono. Tutta
quella diffusione di bagliore e luce probabilmente dovrebbe sopperire
alla estenuante assenza di narrazione e accattivarsi le simpatie di
chi guarda il film, ma a mio parere basta essere un minimo formati
alla visione cinematografica che l'espediente si svela per ciò che
è, ovvero un trucco avvilente da soap opera.
Phoenix,
impiegato in una ditta che scrive lettere per conto terzi, acquista
un sistema operativo di ultimissima generazione e finisce per
innamorarsi di Lei, che ha una voce che nella versione italiana è
quella di Micaela Ramazzotti. Voce che dopo circa mezz'ora diviene
irritante e fastidiosa, non solo per il suono ma anche per ciò che
dice e come lo dice. Frasi che neanche nei film di Sorrentino
troverebbero spazio, che sembrano scritte solo per poi essere diffuse
tramite i social network, magari accompagnate da insulse e vomitevoli
immagini di luoghi naturali, animali placidamente addormentati o
coppie abbracciate su prati o spiagge, al tramonto o all'alba secondo
i gusti del momento.
Proprio
un film da coppie, o da chi vorrebbe presto farne parte, sembra
“Her”. Adatto a farsi le coccole sul divano, a corteggiare
qualcuno che in fondo si sa già che ci sta e magari, se sei un uomo,
a mostrarti tanto “sensibile” e “carino” da farti sposare, o
al limite da “combinarci qualcosa”. Un pippone da due ore per
fighetti che si crogiolano davanti ad immagini patinate, abiti
vintage, una colonna sonora scandalosamente ammiccante, dialoghi sul
niente e sul nulla spinto, morale scontata ma rassicurante,
espressioni piacione sul volto dell'incomprensibilmente lodato
Joaquin e così via. Un film spacciato per fantascienza! Si
potrebbe dire tutto sommato innocuo e passeggero, ma Jonze ci ha
vinto un Oscar® per la
sceneggiatura. Sceneggiatura molto limitata e stupefacentemente esile
se non assente. Vai con la musica per coprire i vuoti, vai con la
luce sparata per limitare la visione del niente, procedi ad una
panoramica sulla città ogni cinque minuti per creare una parvenza di
profondità, ma i dialoghi purtroppo devono esserci e in più di un
passaggio avrei preferito udire rumori intestinali invece delle frasi
pronunciate dal “sensuale” sistema operativo e dai pochi umani
dotati di voce.
Una
masturbazione adatta a molti spettatori, che con uno smartphone
appena acquistato potranno sproloquiare con i loro “contatti”
sulla pericolosità della tecnologia che limita e sublima i contatti
personali, sul fatto che non ci si parla più, che non si sta insieme
fisicamente, che si dovrebbe comunicare di più e meglio, e vai con i
pistolotti etico-morali. Melassa sintetica che non riesce minimamente
ad avvicinarsi alla fantascienza distopica, alla complessità del
dibattito, reale ed intrigante nella sua raffinatezza, sul rapporto
uomo-macchina. Un protagonista egoista, chiuso nelle sue bassezze e
nel suo narcisismo autodiretto, prima vittima e poi, con una logica
da bambino delle elementari, carnefice di una ex moglie che non lo
sopporta neanche fino al secondo piatto in un pranzo di scuse
tardive, pateticamente anticipate da flashback irritanti e fastidiosi
anche a livello fisico.
A
Jonze è andata di lusso, un film mediamente brutto che diviene quasi
di culto, una sceneggiatura imbarazzante che viene premiata, un
attore medio che viene spacciato per la nuova star, musiche che fanno
la gioia di quarantenni che vanno in giro con i risvoltini nei
pantaloni, cardigan vintage, occhiali dalla montatura tartarugata e
smartphone pronto a condividere e rilanciare immagini, frasi, foto ed
altro superfluo nelle loro giornate da “uomo del 21° secolo”.
Estraneo a tutto nel suo essere immerso in quella che è la sua e
solo la sua realtà, inconsapevolmente reazionario ed in fondo il
collega che non vorrei avere.
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