sabato 26 ottobre 2019

Her - Lei (2013)



L'attore del momento è Joaquin Phoenix, in virtù della sua prova in “Joker” da qualche giorno nelle sale cinematografiche.
Incuriosito dalle lodi che ha ricevuto, ho recuperato la visione di un film di qualche anno fa in cui è protagonista. Si tratta di “Her- Lei”, di Spike Jonze, del 2013.
Ebbene, lo dico senza mezzi termini, il film non mi è affatto piaciuto, anzi trovo che sia noioso, superfluo e fin troppo scontato, al limite del moralismo da chiacchiere fra mogli annoiate di ricchi professionisti.

Mi accingo ad argomentare il mio lapidario giudizio. Le immagini sono tutte uno sparare colori pastello che dovrebbero comunicare lo stato d'animo del protagonista, ma che si risolvono poi in una sequenza di “smarmellamenti-apri tutto” che invece di donare spessore e profondità finiscono per irritare lo spettatore che sono. Tutta quella diffusione di bagliore e luce probabilmente dovrebbe sopperire alla estenuante assenza di narrazione e accattivarsi le simpatie di chi guarda il film, ma a mio parere basta essere un minimo formati alla visione cinematografica che l'espediente si svela per ciò che è, ovvero un trucco avvilente da soap opera.
Phoenix, impiegato in una ditta che scrive lettere per conto terzi, acquista un sistema operativo di ultimissima generazione e finisce per innamorarsi di Lei, che ha una voce che nella versione italiana è quella di Micaela Ramazzotti. Voce che dopo circa mezz'ora diviene irritante e fastidiosa, non solo per il suono ma anche per ciò che dice e come lo dice. Frasi che neanche nei film di Sorrentino troverebbero spazio, che sembrano scritte solo per poi essere diffuse tramite i social network, magari accompagnate da insulse e vomitevoli immagini di luoghi naturali, animali placidamente addormentati o coppie abbracciate su prati o spiagge, al tramonto o all'alba secondo i gusti del momento.

Proprio un film da coppie, o da chi vorrebbe presto farne parte, sembra “Her”. Adatto a farsi le coccole sul divano, a corteggiare qualcuno che in fondo si sa già che ci sta e magari, se sei un uomo, a mostrarti tanto “sensibile” e “carino” da farti sposare, o al limite da “combinarci qualcosa”. Un pippone da due ore per fighetti che si crogiolano davanti ad immagini patinate, abiti vintage, una colonna sonora scandalosamente ammiccante, dialoghi sul niente e sul nulla spinto, morale scontata ma rassicurante, espressioni piacione sul volto dell'incomprensibilmente lodato Joaquin e così via. Un film spacciato per fantascienza! Si potrebbe dire tutto sommato innocuo e passeggero, ma Jonze ci ha vinto un Oscar® per la sceneggiatura. Sceneggiatura molto limitata e stupefacentemente esile se non assente. Vai con la musica per coprire i vuoti, vai con la luce sparata per limitare la visione del niente, procedi ad una panoramica sulla città ogni cinque minuti per creare una parvenza di profondità, ma i dialoghi purtroppo devono esserci e in più di un passaggio avrei preferito udire rumori intestinali invece delle frasi pronunciate dal “sensuale” sistema operativo e dai pochi umani dotati di voce.


Una masturbazione adatta a molti spettatori, che con uno smartphone appena acquistato potranno sproloquiare con i loro “contatti” sulla pericolosità della tecnologia che limita e sublima i contatti personali, sul fatto che non ci si parla più, che non si sta insieme fisicamente, che si dovrebbe comunicare di più e meglio, e vai con i pistolotti etico-morali. Melassa sintetica che non riesce minimamente ad avvicinarsi alla fantascienza distopica, alla complessità del dibattito, reale ed intrigante nella sua raffinatezza, sul rapporto uomo-macchina. Un protagonista egoista, chiuso nelle sue bassezze e nel suo narcisismo autodiretto, prima vittima e poi, con una logica da bambino delle elementari, carnefice di una ex moglie che non lo sopporta neanche fino al secondo piatto in un pranzo di scuse tardive, pateticamente anticipate da flashback irritanti e fastidiosi anche a livello fisico.

A Jonze è andata di lusso, un film mediamente brutto che diviene quasi di culto, una sceneggiatura imbarazzante che viene premiata, un attore medio che viene spacciato per la nuova star, musiche che fanno la gioia di quarantenni che vanno in giro con i risvoltini nei pantaloni, cardigan vintage, occhiali dalla montatura tartarugata e smartphone pronto a condividere e rilanciare immagini, frasi, foto ed altro superfluo nelle loro giornate da “uomo del 21° secolo”. Estraneo a tutto nel suo essere immerso in quella che è la sua e solo la sua realtà, inconsapevolmente reazionario ed in fondo il collega che non vorrei avere.

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