Noi Italiani
non abbiamo una positiva, diretta esperienza di principi,
probabilmente anzi abbiamo pessimi trascorsi in merito a monarchia.
Indifendibili i Savoia, nel complesso mediocri ma colpevoli di pagine
tra le più tristi del '900, con la vergogna del Fascismo e delle
leggi razziali del 1938. Pessimi i Borbone e via dicendo, pressoché
trascurabili i vari che hanno “amministrato”, per conto di
monarchie ben più illustri, porzioni del territorio della Penisola.
Andando più
indietro nella storia, nonché nella cultura, il pensiero va
all'opera di Niccolò Macchiavelli “Il Principe”. In
quella che era ancora “un'espressione geografica” Machiavelli
descrive e racconta, in un qualcosa che contiene tratti di un
trattato politico, di un manuale e di un vaudeville rinascimentale
come, secondo la sua visione si sostanzierebbe la figura e la
condotta di un regnante, di come si potesse conquistare e mantenere
un “principato”.
Al di là
del famoso aforisma secondo cui “il fine giustifica i mezzi”, in
realtà non contenuto dall'opera ma semplicistica sintesi che travia
e forza alcuni passaggi dell'opera stessa, Machiavelli fu studiato e
finanche preso a modello e fonte di ispirazione.
Ancora oggi
si sente dire quanto sia “molto più sicuro essere temuti che
amati”, infatti nel testo possiamo leggere “E gli uomini hanno
men rispetto di offendere uno che si facci amare, che uno che si
facci temere; perché l’amore è tenuto da un vincolo di obbligo,
il quale, per essere gli uomini tristi, da ogni occasione di propria
utilità è rotto; ma il timore è tenuto da una paura di pena, che
non abbandona mai”.
Inoltre noto
è il seguente passaggio: “Quanto sia
laudabile in un Principe mantenere la fede, e vivere con integrità,
e non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimeno si vede per
esperienzia, ne' nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose,
che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con
astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato
quelli che si sono fondati in su la lealtà”.
Perché,
come ci disse Emil Cioran
“Machiavelli sa troppo bene che un Marco Aurelio è un fenomeno
raro, anzi unico, che è un'eccezione di cui è inutile tenere conto.
I Tiberio, i Nerone, i Caligola, ecco la materia della storia. Ogni
principe degno di questo nome si avvicina più o meno a loro; ogni
principe che conosca il proprio mestiere è un mostro dichiarato o
attenuato e corretto. I suoi sudditi lo meritano. Per questo
Machiavelli lo mette in guardia contro i pericoli
della bontà. Uno Stato non si compone né di
angeli, né di agnelli: è la giungla organizzata.
Tale è l'idea, talora espressa, talora sottintesa, del Principe”.
Le
case regnanti europee non dimenticarono la lezione. Chi più chi
meno, tutte misero in pratica molto di quanto suggerito, mettendoci
anche del proprio probabilmente. Con
una luminosissima ed emozionante eccezione, incarnata in Federico
II Hohenzollern Re di Prussia
detto "il Grande”.
Egli
scrisse: “Machiavelli ... è
stato criticato soltanto da qualche moralista e malgrado loro e la
sua morale perniciosa è stato considerato un maestro della politica
fino ai giorni nostri. Voglio assumermi la difesa dell’umanità
contro questo mostro che la minaccia, opporre la giustizia e la
ragione al crimine e al sofisma: ho tentato di esprimere le mie
riflessioni sul “Principe” capitolo per capitolo, affinché
l’antidoto seguisse immediatamente il veleno […] La storia
dovrebbe eternare solo i principi buoni […] I libri di storia
sacrificherebbero molto alla verità, ma l’umanità ne trarrebbe
vantaggio […] tutti sarebbero convinti che la vera politica dei re,
fondata sulla giustizia, la prudenza e la bontà, è preferibile in
tutti i sensi al sistema incoerente e orrendo che Machiavelli ha
avuto la sfrontatezza di presentare al pubblico”.
Non
furono vacue parole scritte, riflessioni vuote, ma trovarono
corrispondenza non solo nel suo operato di regnante, ma anche nella
sua condotta quotidiana, pubblica e privata. Se ricevette
l'appellativo di “Grande”,
grande
lo
fu
certo per la varietà dei suoi talenti, a partire dalla strategia
militare,
campo a lui non congeniale inculcatogli con una durissima educazione
dal non amato padre Federico Guglielmo, ma Federico fu soprattutto un
illuminato governante,
capace di essere di esempio al suo Paese e aperto alle più
innovative visioni di una politica sana e saggia.
Inoltre
diversi dettagli della biografia di Federico, che fu Re dal 1740 alla
morte nel 1786 appaiono di interesse politico, storico ma anche
artistico e di costume.
Arte
e cultura sono per Federico indispensabili ad un governo di successo:
nota la sua amicizia con Voltaire,
che visse a lungo suo ospite; noto l’ambiente raffinato e
cosmopolita creato da Re Federico nella splendida reggia
di Sans Souci,
detta la Versailles di
Berlino.
In
merito alla musica non fu un semplice appassionato o dilettante ma
interprete virtuoso e musicista di talento.
Federico II compose molta musica di
discreta qualità: Concerti, Sinfonie,
Arie cantate e libretti d’opera, oltre
a ben 121 Sonate per flauto e
clavicembalo, da lui eseguite a corte
con abilità e gusto in duo con l'amatissima sorella Guglielmina.
Di seguito esempi di sue composizioni.
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