Ci si può innamorare di un film al punto tale da farlo coincidere con l'amore, con l'idea di innamoramento e tanto da sentire l'esigenza di rivederlo accanto alla persona di cui ci si sente innamorati in quel momento?
A me è accaduto ed accade con “Hong-Kong Express”, il film che preferisco fra quelli di Wong Kar-wai.
Uno shock alla prima visione, non ancora ventenne, ed una continua e ripetuta emozione e scoperta ad ogni successiva occasione. Da diversi anni tengo in un angolo del cuore la voglia, la pulsione di scrivere qualcosa su quest'opera sulle pagine di questo blog. Finora ho cominciato decine di volte nella mia mente, mai soddisfatto o convinto delle parole scelte, delle frasi utilizzate, con sincera emozione pari solo ad una forma di ritrosia, quasi come se volessi tenermi stretto il film. Le immagini e le musiche, i colori ed i dialoghi, ancora oggi dopo più di venti anni, arrivano con una freschezza espressiva che ha del prodigioso, con quella fotografia dai tratti ipercinetici che si esprime in immagini sbavate ed instabili, specie nel primo dei due episodi di cui è composto il film.
Profonda emozione ed eccitazione che dall'intimo risalgono all'epidermide, fotogramma dopo fotogramma, per due lui e due lei. Nel primo episodio lui, abbandonato dalla fidanzata, si innamora di lei, che non lo prende in considerazione, nel secondo lei si innamora di lui, pure suo malgrado single da poco, che non la nota, e se ne va rassegnata proprio quando lui comincia ad accorgersi di lei. Una certa leggerezza, vaga ma sostanziale, che rimanda un po' alla Nouvelle Vague, ma che Wong Kar-wai racconta con il proprio stile che qui si definisce e si mostra splendidamente, per un racconto che tiene in considerazione ciò che è/era una città come Hong Kong alla vigilia del ritorno alla Cina, ma che allo stesso tempo lo sublima e si fa eterno e simbolo di sé stesso e del fenomeno dell'innamorarsi.
Che bello gustarsi ed immedesimarsi negli incontri casuali, le collisioni, i dialoghi e le manie dei personaggi (tra cui la ripetizione quasi ossessiva delle stesse canzoni), smarrirsi e poi sentirsi accolti e quasi coccolati tra gli infiniti possibili in quelle che sono due vicende per certi versi banali, al cospetto di una metropoli di moltitudine umana.
Ma “Hong Kong Express” è anche altro ed oltre questo. È un film dove una sua importanza e fondamentale ruolo lo ricopre il tempo, la temporalità. Un'opera costruita su flussi di coscienza (tutti da godere), dove il tempo riesce a divenire una funzione soggettiva, qualcosa di malleabile, al punto da poter essere dilatato, espanso, rallentato, bloccato. Le linee temporali possono procedere in parallelo o intersecarsi, persino contraddirsi tra loro, fascinosamente vestite di ambiguità, a maggior ragione godibile durante le successive visioni. consecutivi.
Wong Kar-wai gioca quindi con il meccanismo ed il processo dell'innamoramento, tenendosi lontano da quel certo manierismo di cui farà successivamente sfoggio in “In the mood for love”, ed al medesimo momento si diverte con il Tempo, che frammenta, ingarbuglia, confonde, andando oltre la manipolazione del tempo stesso che il cinema ha sempre delegato al montaggio, evitando anche i gratuiti ed autoreferenziali eccessi che Christopher Nolan ci proporrà dopo 20 anni.
Hong Kong Express dunque ancora oggi è esempio, fulgido, di una cinematografia che persegue una poesia del tempo ed una poesia, non melensa, dell'innamorarsi.
Un giovane poliziotto, He Zhiwu, numero di matricola 223, abbandonato dalla sua fidanzata, incontra e si innamora di una misteriosa donna dalla parrucca bionda, implicata in un traffico di droga. Un altro poliziotto, senza nome e designato solo dal suo numero di matricola 663, anch'esso appena lasciato dalla sua donna, una hostess, fa la conoscenza di una giovane ragazza, Faye, che lavora nel chiosco di un fast food. La ragazza prima lo corteggia, poi lo abbandona e infine lo cerca di nuovo. (da wikipedia.org)
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