giovedì 31 gennaio 2013

Era mio padre (2002)

Toni e scene da tragedia classica, con risvolti edipici, ma purtroppo cè Tom Hanks.


Sam Mendes dirige un bel gangster-movie rispettoso delle regole del genere, scenograficamente di grande livello, con una ricostruzione volutamente antinaturalistica, quasi da fumetto, che perciò funziona, esaltata dall’eccellente fotografia di Conrad L. Hall.

“Era mio padre” vive e si gioca la sua intera fortuna, ed i suoi guai, sui protagonisti (tutti maschili): il vecchio padrino Paul Newman, bello e perfetto, sublime in un personaggio che riesce a coniugare strazio vero e ipocrisia; Jude Law, inquietante “cattivo” (uno dei migliori degli ultimi anni fra quelli non sopra le righe o caricaturali) con la passione per la fotografia; il giovane Tyler Hoechlin, che nella parte del nipote/figlio si presenta molto bene, con un viso ed un’espressività ben dosata, che poi però ha preferito mettere in un cassetto per dedicarsi alle serie televisive (Settimo Cielo e CSI tra le altre); infine (e qui ci sono i guai) un irritante Tom Hanks, che nel proporre il suo lato cattivo non è assolutamente credibile, nonostante padroneggi il mestiere, facendo scadere il pathos da tragedia classica, fondata sul sangue ed il destino.

La regia di Mendes è gradevole ed in alcuni passaggi incantevole, specie quando si lascia guidare dal già lodato C. L. Hall alla fotografia, ma poi lo spettatore “mangia la foglia” e prende a noia il gioco metacinematografico, dove abbondano i riferimenti ai classici americani dei tempi del Proibizionismo, ad esempio al Coppola de “Il Padrino” o, e qui risiede l’inciampo più colpevole, al Leone di “C'era una volta in America”. La regia a quel punto mostra i suoi limiti, poiché pur nella durezza della tragedia, nella vicenda da “romanzo di formazione” e nel finale quasi metafisico non riesce a raggiungere l’anima dei caratteri, il cuore dei personaggi e degli accadimenti, fermandosi al manierismo.

Tyler Hoechlin
Sam Mendes aveva fatto di meglio qualche anno prima (American Beauty). L'estrema cura dell'ambientazione e le doti di tre dei quattro protagonisti, non cancellano del tutto un qualcosa che sa di artificioso, di troppo costruito, non ci fanno godere una dimostrazione di tecnica spacciata per cura del prodotto, che ottiene solo di tenere lo spettatore lontano, catturato ma non veramente partecipe o emozionato.

il padrino Paul Newman ed i nipoti
Jude Law


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