Durante le ultime settimane siamo tornati a vedere drammatiche immagini di dolore, sofferenza e speranza, ci siamo dati l’occasione di leggere di profughi, immigrazione, clandestini e difficile, forse reticente accoglienza. Nei giorni scorsi mi è tornato in mente ed ho ripensato ad un film del 2009 che di immigrazione, amore, ricerca e desiderio di una vita diversa, se non proprio migliore, fa il suo tema centrale.
“Welcome”, del francese Philippe Lioret, meriterebbe diversi passaggi televisivi e di essere proposto e riproposto all’attenzione di quanti, demagogicamente e magari con atteggiamento militante decisamente fuori luogo e fastidioso, inneggiano alla “linea dura” contro gli invasori o, di contro, dipingono come “fratello” o “liberatore” chi giunge nel nostro Paese, od in Europa, da paesi lontani non solo geograficamente.
Lontano da facili semplificazioni e pulsioni centrifughe e/o centripete, il regista ed il protagonista Vincent Lindon, che offre una intensa e drammaticamente contenuta e misurata recitazione, mettono in scena una coinvolgente storia d’amore e di vita, dove i sentimenti e la militanza sociale, quando non politica, si incontrano e rendono giustizia alla realtà di questi anni. Realtà che è piena di sfumature, complessa, difficile da vivere e da rappresentare.
Una narrazione lacerante ed istruttiva, che non nasconde le linee d’ombra e le responsabilità, le colpe persino, sia di chi arriva che di chi si trova nella scomoda posizione di accogliente. Uno dei meriti è rendere evidente come la xenofobia, o pur la sola intolleranza, sia anche la manifestazione della paura che molti di noi provano di fronte a chi è spinto da un’altra paura, se non proprio speculare quantomeno tragicamente simmetrica. Un altro merito è rendere giustizia a differenti posizioni e ragioni, di chi fugge e di chi si sente, a ragione o a torto, ma sempre individualmente, assediato o accerchiato, anche dai propri compatrioti, dai colleghi di lavoro, dai vicini di casa.
Pertanto rendere un dramma sociale, quale è l’immigrazione clandestina in Europa, all’interno di un dramma privato, mi sembra una scelta azzeccata ed efficace, poiché riesce a rappresentare le vicende e “la vicenda” senza esagerazioni o derive ideologico-utopistiche.
Lindon è istruttore, amico, confidente e alla fine “padre” di un ragazzo iracheno in fuga dal suo paese, giunto a Calais per raggiungere, nel Regno Unito, la ragazza che ama. E qui, grazie alla funzionale ed efficace proposta del tema sentimentale, si tratta un’altra questione, niente affatto secondaria. Gli immigrati lasciano il proprio Paese natale, ma rimangono legati ad abitudini, usi e costumi che rischiano di divenire pesante eredità, grave fardello che imprigiona e da cui sembra impossibile derogare. Una nuova vita che sembra troppo simile alla vecchia, nonostante migliori condizioni materiali.
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