“Per, per tutta la
vita ho sempre vissuto e lavorato in una grande città. Perché? O, ora che ci
penso è piuttosto imbarazzante, sì, si perché ho, ho questa paura degli spazi
chiusi. Sì, t-tutto mi fa sentire in trappola, in continuazione. Sì, mi, mi
dico sempre che ci deve essere qualcosa di meglio là fuori, ma, f-forse penso
troppo, e io credo che risalga al fatto che ho avuto un'infanzia molto ansiosa.
Sa, mia madre non aveva mai tempo per me. Insomma, quando si è il figlio di
mezzo in una famiglia di 5 milioni non ricevi nessuna attenzione, voglio dire,
com'è possibile. E ho sempre avuto questa, questa storia dell'abbandono,
sapesse, che mi affligge. Mio padre era fondamentalmente un fuco come ho detto
e spiccò il volo quando io ero ancora una larva. E il mio lavoro, poi. Non mi
faccia incominciare, perché mi irrita molto. Vede, io non sono tagliato per
fare l'operaio, glielo dico subito, io, mi-mi sento fisicamente inadeguato,
cioè, io nella mia vita non ho mai sollevato qualcosa che andasse oltre 10
volte il mio peso corporeo e arrivare al dunque: maneggiare la terra, ecco, non
è la mia idea per una carriera gratificante. E tutta questa colata di
entusiasmo per il super organismo che, sa non posso capire, ci provo ma non la
capisco, insomma, io dovrei fare tutto per la colonia e, e che ne è dei miei
sogni?! Che ne è di me?! Insomma devo credere che esista un posto là fuori migliore
di questo o mi raggomitolerei, in posizione fetale piangerei. L'intero sistema
mi fa sentire... insignificante.”
(Z
in “Z la formica”, di Eric Darnell e Tim Johnson - 1998)
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