martedì 20 giugno 2017

Da qualche parte, oltre l'arcobaleno



Un posto dove non cacciarmi nei guai. Totò, credi che esista un posto del genere? Ci deve pur essere.” chiunque si sia bevuto la storiella raccontataci dallo sceneggiatore sulla superiorità della “casa” rispetto al “lontano da casa”, e creda di conseguenza che la morale del Mago di Oz sia leziosa come un centrino con su ricamato “casa dolce casa”, farebbe bene ad ascoltare il tono struggente di desiderio nella voce di Judy Garland, mentre rivolge il suo faccino al cielo. Quello che ella esprime qui, ciò che rappresenta con la purezza dell'archetipo, è infatti il sogno umano del partire, un sogno che ha una forza perlomeno equivalente alla sua controparte, ossia il sogno delle radici. Al fondo del Mago di Oz c'è una grande tensione tra questi due sogni; ma nel momento in cui la musica ha inizio e quella voce limpida e potente si innalza nel desiderio angoscioso espresso dal canto, qualcuno potrebbe avere dubbi su quale dei due messaggi sia il più forte? Nel suo momento emotivo più potente, questo è senza ombra di dubbio un film sulla gioia di partire, di lasciare il grigiore e fare ingresso nel colore, di ricrearsi una nuova vita nel “luogo dove non ci sono guai”. Over the Rainbow è, o dovrebbe essere, l'inno di tutti gli emigranti del mondo, di tutti quelli che vanno alla ricerca del luogo in cui “i sogni che osi sognare realmente si avverano”. È una celebrazione della Fuga, un grande peana dell'Io Sradicato, un inno – anzi l'inno – all'Altrove.

(Salman Rushdie, da “Il Mago di Oz”, trad. Giuseppe Strazzeri)





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