Un'ora,
un giorno, una settimana a Dunkerque.
Dunkirk
di Christopher Nolan
Nolan,
come in suoi precedenti film, con Dunkirk continua a "giocare"
con il tempo ed in parte anche con lo spazio fisico, con
risultati stranianti per lo spettatore medio, ma anche per quello
maggiormente avvezzo a prove di regia non propriamente ortodosse e ad
una narrazione densa di peculiarità e tentavi di imporre uno stile.
Ciò
che risulta essere carente in questo film è proprio la componente
narrativa, ovvero una delle principali caratteristiche e virtù
del racconto per immagini-parole-suoni.
In
particolare la parte relativa alla "spiaggia"
(1
settimana)
non ha pressoché per nulla scrittura, una sceneggiatura che racconti
oltre che mostrare. Qui si sente la mancanza del fratello del
regista, Jonathan Nolan, che in altri film lo affiancava nella
scrittura e sceneggiatura. Meglio le parti "cielo"
(1
ora)
e "mare"
(1
giorno).
Buona la prova dei tre attori dotati di parola e
trattazione/analisi/sviluppo relativa al personaggio intepretato, tra
cui Tom
Hardy,
il Bane nel film Il
cavaliere oscuro - Il ritorno,
alla guida di un aereo (forse
a Nolan piace farlo recitare con una maschera a coprirgli parte del
volto) e
Kenneth
Branagh, intenso
ed essenziale nelle vesti di ufficiale della Royal Navy.
È
propriamente un
film essenzialmente visivo,
che ha il pregio una ottima fotografia con cielo vero e luce
naturale, con pochi dialoghi, rigidi e strettamente funzionali, dove
all'assenza di parole e racconto si intende supplire con il suono. Il
risultato è che la musica
di Hans Zimmer
è fin troppo pervasiva, il ticchettio di fondo che cresce tende a
dar noia, gli archi dopo un po' stancano.
Forse
è un originale film
di guerra,
dove il nemico non si vede se non attraverso le sue armi, oppure non
è un film di guerra, nonostante il drammatico episodio raccontato
esclusivamente dalla parte
britannica,
altrimenti è un film di reazionaria propaganda se non un'intensa
opera su uomini che attendono, soffrono, si arrangiano, hanno paura,
quando non si uniscono in nome dell'amor di Patria e della comunanza
e vicinanza umana. Probabilmente è il prodotto di un nuovo (?),
differente modo di fare Cinema, che mi risulta distante e freddo,
quantomeno poco partecipe di quanto molto mostrato e poco raccontato,
ma almeno onesto nel presentare un'idea, una visione registica,
ovvero poco incline a certe “furberie” di certi kolossal o
presunti tali. Io essenzialmente ritengo che una certa dose di
furbizia nello scrivere, girare, montare e quindi raccontare sia
necessaria nel momento in cui si sceglie di proporre un film al
grande pubblico, poi sta al buon gusto, all'idea autoriale,
all'onestà nei confronti dello spettatore dosare e scegliere quale e
quanta furbizia utilizzare.
Non
sono certo che ci sia un messaggio in quest'opera di Christopher
Nolan, magari a lui non interessa inserirlo o trasmetterlo, per cui,
di fatto, si differenzia da molti altri film di e sulla guerra, dove
pacifismo, oppure denuncia di questo o quell'aspetto di un conflitto
o di ogni conflitto, anziché approfondimento sull'aspetto
tattico-militare o umano-relazionale, sulla componente civile o su
quella in divisa, sui graduati o sui semplici soldati la fa da
padrone.
Mi
fa piacere avere visto Dunkirk,
ma secondo me nel momento in cui Nolan ha messo mano a fatti reali,
storici, anziché a storie completamente “sue”, o meglio a sua
disposizione, ha risolto con una certa autoreferenzialità e con una
involutiva prova di stile, poiché risulta differente da scrivere
(facendosi
aiutare)
e dirigere un film su fatti inventati, dal proporre una storia
originale ed in cui dare sfogo a creatività/estro/fantasia e
pulsioni personali.
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