Egon Schiele. Due donne che si abbracciano, 1915. Museum of Fine Arts, Budapest |
“Vedere
una donna: solo per un secondo, solo nel breve spazio di uno sguardo,
per poi perderla di nuovo, da qualche parte, nell'oscurità di un
corridoio, dietro una porta che non ho il diritto di aprire -
ma
vedere una donna, e sentire nello stesso istante che anche lei mi ha
vista, che i suoi occhi si fissano su dime, interrogativi, come se
dovessimo incontrarci sulla soglia dell'ignoto, questa frontiera
oscura e malinconica della coscienza...
sì,
sentire in questo secondo che anche lei si arresta, quasi
dolorosamente interrotta nel flusso dei suoi pensieri, come se i suoi
nervi si contraessero, sfiorati dai miei.
…
…
Suono, il
boy dell'ascensore chiude la porta dietro di me, tengo la testa bassa
mentre l'ascensore si ferma nella hall: per un istante la cabina è
invasa dal calore e dal rumore, alzo gli occhi, di fronte a me c'è
una donna, indossa un cappotto bianco, il suo viso è abbronzato
sotto una capigliatura scura, pettinata all'indietro con rudezza
maschile, rimango colpita dalla forza, bella e luminosa, del suo
sguardo, e ora ci incontriamo, per lo spazio di un secondo, e provo
l'irresistibile impulso di avvicinarmi a lei, un impulso ancora più
aspro e doloroso di seguire l'immenso ignoto che si desta in me come
un desiderio ardente e un invito -
Abbasso gli
occhi e arretro di un passo. L'ascensore si ferma. Il boy apre la
porta, la donna sconosciuta mi passa accanto con un cenno del capo
appena percepibile - ”
(da “Ogni
cosa è da lei illuminata”, di Annemarie Schwarzenbach –
trad. Tina D'Agostini)
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