Titolo: Un
Grande Gelo
Autore:
Arnaldur Indriđason
Traduttore:
Cosimini Silvia
Editore:
Guanda – 2010
Cronologicamente
precedente a “Un Caso Archiviato” di cui ho parlato qualche
settimana fa, “Un Grande Gelo” è un ulteriore esempio
della capacità di Arnaldur Indriđason di elaborare una trama
profonda, partendo da idee, spunti non necessariamente del tutto
originali, riuscendo ad ampliare la tematica, i vari temi proposti e
di riproporli sotto la forma di vicende diverse, di trovare in
piccole storie, anche solo all'apparenza distanti, o al limite
parallele, agganci con la storia principale.
In
“Un Grande Gelo”, l’idea
centrale è
una forte denuncia della discriminazione, il tema principale è
l'intolleranza nei confronti del diverso, che può divenire violento
razzismo,
anacronistico e distorto attaccamento al sé, o a quello che ne
rimane, che porta alla chiusura verso l'altro.
Quello
che colpisce il lettore più duramente è come l'unica
vittima sia un bambino,
un delitto fra i più riprovevoli è il punto di partenza per un
viaggio dentro ed attraverso quella che con una espressione spesso
abusata, se non addirittura fraintesa, viene definita la “banalità
del male”. Si fanno ipotesi e congetture, si battono diverse piste,
che l'ormai conosciuto commissario Erlendur
Sveinsson,
protagonista della serie dei romanzi di indagine poliziesca di
Arnaldur Indriðason, non trascura insieme a Sigurður Óli e a
Elínborg.
Quello
che viene evidenziato è come in una nuova realtà sociale di forte
immigrazione, in Islanda
come negli altri paesi europei, affiori un forte razzismo
nei confronti degli stranieri. Pertanto l'indagine non è
esclusivamente su un delitto, di cui solo alla fine si scopre la
sconcertante e per certi tratti insospettabile drammaticità, ma
anche su una realtà
sociale ed economica,
con il pregio di non scadere nel banale o, peggio, nel didascalico.
Il
gelo del titolo non è meramente quello climatico della lontana
isola, ma anche quello che alberga nel cuore di chi legge, testimone
di un clima
sociale,
di un dramma familiare e culturale, di un crimine che potrebbe avere
molte motivazioni e che si scopre averne, materialmente, solo una, la
più, apparentemente, banale. Questo può fare male e fa divenire
questo romanzo un thriller non per i colpi di scena, la tensione
dettata da un killer o da una serie di delitti, ma per lo scenario
che presenta e che assomiglia così pericolosamente a quello delle
nostre città, delle nostre scuole e luoghi di lavoro, per
l'emarginazione e la povertà che viviamo, facendo nascere
inquietudine per ciò che potremmo vivere nei prossimi anni.
In una Reykjavík avvolta nella coltre di un
inverno che sembra il più freddo di sempre, l'agente Erlendur
Sveinsson affronta un caso che lo costringe a confrontarsi con i
fantasmi del passato. La morte di Elías, dieci anni, madre
thailandese e padre islandese, accoltellato in mezzo alla neve in un
giardino, lo tocca nel profondo. Non è solo l'ennesimo omicidio su
cui investigare, è una vicenda che alimenta in lui l'angoscia per
quel fratello perso da piccolo nel pieno di una bufera? Non c'è
tempo, però, di abbandonarsi ai ricordi dolorosi: il burbero
poliziotto e la sua squadra iniziano un delicato lavoro di indagine.
Il fratellastro di Elías è scomparso: sarà implicato nella morte
del piccolo o teme per la propria vita? (da
guanda.it)
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