giovedì 6 settembre 2018

A History of Violence (2005)


Tom Stall diventa un eroe dopo aver sventato una rapina nel suo diner uccidendo due criminali per legittima difesa. La sua vita viene stravolta dal circo mediatico che lo spinge sotto l’occhio di tutti, anche di due malavitosi capitanati dallo sfregiato Carl Fogarty. Questi è convinto che Tom sia in realtà Joey, un uomo dal passato criminale. Fogarty inizia a insidiare la moglie e i figli di Tom, che dovrà proteggere la sua famiglia dalla sua stessa, reale identità.

David Cronenberg è tuttora noto per le mutazioni che i personaggi dei suoi film subiscono o vivono sui loro corpi. In varie occasioni le storie da lui create e realizzate sul grande schermo hanno visto protagonisti che cambiavano radicalmente nel fisico, o che sullo stesso fisico basavano le proprie vicissitudini o avventure. “La Mosca”, “Crash” e “Videodrome” sono solo alcuni titoli esempio, ma l'intera carriera del regista canadese è un'esplorazione delle mutazioni del corpo e della carne. Cronenberg nella sua carriera ha saputo studiare le devianze e le ossessioni di ogni genere, dirigendo film tanto belli quanto (talvolta) ripugnanti, per metterci di fronte alla mutazione, al cambiamento, alla transizione dell'essere umano nel e sul proprio corpo, sulla carne.



In “A History of Violence”, invece, la metamorfosi, il cambiamento non è primariamente carnale, centrata sul corpo, sebbene esso stesso e la carne ne siano coinvolti, questa volta attraverso modalità più “classiche”. Il protagonista Tom Stall, un Viggo Mortensen in gran forma che anche grazie a questo film si liberò delle scorie da eroe tolkieniano, vive un cambiamento che è di personalità, attraverso gesti, parole e atteggiamenti. Da mite padre di famiglia a killer freddo e lucido, allenato e abituato alla violenza. Per cui una metamorfosi “intra” che è figlia di un'altra precedente che lo spettatore non ha visto e che è portato ad immaginare, attraverso quanto osserva sullo schermo. Un cambiamento che di fatto è un ritorno ad un qualcosa che si era abbandonato, ma che si conclude con un altro tentativo di ritorno a ciò che si era creato. Una velleità che però è solo illusione, poiché tutto il suo mondo privato ne è rimasto segnato e radicalmente mutato.



Quindi “A History of Violence” può essere definita la storia di un uomo e della sua metamorfosi (come detto, tema caro all’autore) che avviene tutta, senza trucchi o effetti speciali, davanti agli occhi dello spettatore. Avviene di fronte ed all'interno della sua famiglia, qui vista come fondamentale cardine della società e della rispettabilità della stessa oltre che del singolo, con la violenza che è innanzitutto quella di mettere a nudo un uomo di fronte ai suoi affetti, ai suoi figli, a ciò che ha costruito. C'è molto di mito fondativo americano in questo approccio. Mito che allo stesso tempo viene omaggiato e desacralizzato, con bugie, urla, inganni, sesso consumato sui gradini e, appunto, violenza. All'inizio sembra violenza giustificata e giustificabile, poiché esercitata nei confronti di chi insidia e attacca l'armonia individuale e comunitaria, poi viene mostrata come insita nell'uomo. Violenza che viene mostrata come trasmissibile ai propri figli. Tom che poi è Joey l'ha probabilmente imparata/ricevuta da un padre/fratello ed a sua volta la trasmette ai componenti della sua famiglia. La narrazione è colma di tensione e lo spettatore vive il dubbio su quanto sta osservando. Cronenberg incentiva l’esibizione della metamorfosi a vista del personaggio, quasi fosse qualcosa che non ha una reale profondità, psicanalitica, edipica, remota, ma qualcosa che avviene tutta nel presente, sull’epidermide e sul volto mutevole (Viggo Mortensen di fatto passa dall’essere Tom a Joey anche nella stessa scena) del protagonista, così come su quelli della moglie e del figlio maggiore.



Grazie anche alla grande prova del già citato Mortensen, di Ed Harris, di William Hurt e di una sorprendente Maria Bello nel ruolo della moglie del protagonista, questo film risulta di gran lunga uno dei migliori di Cronenberg. Drammatico e monolitico nella sua classicità, a cavallo fra western e noir, con caratteri e stilemi narrativo-rappresentativi di entrambi i generi, “A History of Violence” ci racconta anche di una mitologia nordamericana che viene trattata in modo audace e raffinato, con gli archetipi del focolare domestico, della libertà individuale, del viaggio, della difesa della proprietà privata e dei propri valori. Magistralmente proposti attualizzandoli con un occhio rivolto al classico. Ma qui non c'è eroismo, solo la fredda, abbagliante drammatizzazione del sogno/incubo nordamericano, con parecchia violenza, anche dove non si vede carne o sangue.





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