martedì 4 settembre 2018

Marx: Economia e Politica


Quanti abbiano avuto la pazienza, il tempo, una corretta predisposizione alla lettura ed all'interpretazione, nonché una certa dose di “onestà” critico-storiografica, sono consapevoli che Karl Marx e Friedrich Engels abbiano affermato, nei loro scritti, la necessità che l'Economia fosse predominante rispetto alla Politica.
Fu una loro geniale intuizione, probabilmente la maggiore scoperta da loro operata. Il primato dell'Economia rispetto alla Politica.
Messa così sembra un gran favore, un inconsapevole assist ai capitalisti, ai padroni, alle multinazionali.
Non è proprio così, Economia e Politica avrebbero dovuto dialogare (il materialismo dialettico non è solo questo ovviamente), ma vi prego di farmi scrivere ancora qualcosa su Marx, Engels e quelle che si sono dichiarate incarnazioni politiche e pratiche del loro pensiero, per poi tornare al punto di cui sopra.

Ebbene, partendo da Lenin (immagino non ci sia bisogno di presentarlo), si è assistito e si è vissuta l'autonomizzazione della Politica rispetto all'Economia, operata essenzialmente dai comunisti/socialisti, forse per troppa fretta, forse per una non del tutto corretta interpretazione degli scritti marxiani. La Politica considerata autonoma e superiore all'Economia. Pertanto i comunisti/socialisti, definitesi marxisti, rinunciarono a servirsi di quella che probabilmente fu la più geniale scoperta di Marx.
Quello che nei loro scritti il buon Marx ed il suo sodale Engels prefiguravano, sognavano, era un Eden laico, punto di arrivo del massimo livello di sviluppo economico possibile del capitalismo. Il prodotto di una società ricca, economicamente progredita e stabile, che nel comunismo avrebbe dovuto trovare il mezzo per diventarlo ancora di più, dove il benessere e l'agiatezza sarebbero stati a portata di tutti. Una società egualitaria, giusta, ma anche opulenta, dato che Marx mai auspicò l'eguaglianza nella povertà e nell'indigenza, tanto meno teorizzava una società repressiva, violenta o liberticida. Ruolo centrale aveva ed avrebbe dovuto avere l'Economia, in un contesto più giusto ed equo. Ovvero “da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo i propri bisogni”.
Come si arrivò, invece, nella storia del '900, a società e stati comunisti ove i concetti vennero ribaltati e traditi, è appassionante materia, almeno, ma non solo, storiografica.

Dalla Rivoluzione d'Ottobre con il movimento comunista, nello specifico seguendo il pensiero marxista-leninista, l'Economia fu messa in secondo piano rispetto alla Politica. Si potrebbe dire che in Lenin prevalse l'ambizione di essere un costruttore di Storia, giungendo così a forzare i tempi di un percorso invece lungo, con un parto prematuro, quindi la costruzione del Socialismo in un Paese economicamente e socialmente arretrato, come lo era la Russia zarista. Medesimo errore fu poi commesso da altri, ragione per cui fu legittimo e lo è tuttora, considerare Lenin traditore del pensiero marxiano ed engelsiano, in quanto affidò alla Politica anche i compiti che sarebbero toccati all'Economia. Una sorta di comunismo “asiatico”, che tragicamente aprì la strada a Stalin ed ai suoi epigoni.
Marx ed Engels mai avrebbero voluto la supremazia della Politica rispetto all'Economia, ma neanche che quest'ultima fosse totalmente libera e priva del supporto e dell'opera di verifica da parte della prima. Come detto la Rivoluzione Russa fu il trionfo della Politica sull'Economia, tutta la successiva costruzione del comunismo fu colpevolmente fondata sulla prima che si appropriò dei compiti specifici della seconda, nella aberrante forma della dittatura. Tale costruzione andò incontro alla disfatta, con il movimento comunista mondiale che cercava l'egemonia essenzialmente attraverso la forza, mentre i paesi capitalistici la ottennero sul terreno dell'economia. Vi dice qualcosa il “Piano Marshall”? Gli Stati Uniti se ne servirono per consolidare (alcuni dicono creare) il loro predominio, operando con maggiore forza e convinzione in Europa, arrivando a vincere il confronto planetario con l'Unione Sovietica grazie alla loro superiorità economica, costringendo lo storico avversario ad abdicare (non sconfiggendolo, sia chiaro). Insomma riuscivano a produrre maggiore ricchezza, al di là di come e dove fosse distribuita.
I cari Marx ed Engels, un secolo prima, avevano già capito il problema. Per poter rappresentare una fondamentale (definitiva?) tappa nel cammino dell'umanità sulla strada del progresso, era necessario che il modello di produzione “comunistico” si rivelasse in grado di produrre più benessere rispetto a quello capitalistico.
Quindi non condizioni di vita uguali ma misere, bensì “ricchezza” collettiva, risultato della fatica dell'uomo e base di ogni progresso sociale ed economico, grazie alla quale l'uomo stesso sarebbe divenuto veramente libero.

Ora, per non farla troppo lunga, tuttora si rischia di dover pagare l'errore, commesso anche da parte dei partiti comunisti occidentali, che hanno dimostrato di aver letto e vissuto Marx attraverso l'interpretazione leninista, pur con qualche opportuno aggiustamento e in virtù delle vicende storiche vissute. Va da sé che il Piano Marshall era essenziale per ricostruire un'economia ed un Paese, giacché come marxianamente se ne rese conto Palmiro Togliatti in Italia, per risollevare il Paese era necessario evitare la catastrofe di una bancarotta di Stato, che forse avrebbe portato ad una non proprio auspicabile rivoluzione, pericolosa da gestire e quasi sicuramente destinata a fallire e portare ulteriori lutti e sciagure. In Italia quindi, ma il resto dell'Europa occidentale non se ne differenziò troppo, opportunamente i partiti marxisti scelsero di spingere per una politica di lavoro, quindi di creazione di ricchezza, evitando una strategia di sussidi. Allo stesso tempo, però, a sinistra si è continuato a credere nella possibilità della Politica di riuscire ad esercitare ugualmente l'egemonia sull'Economia, lasciata in toto all'iniziativa capitalistica. Ovvero i partiti e le organizzazioni di sinistra, un tempo comuniste-socialiste, giacché non giunsero ad instaurare la nota “dittatura del proletariato” tanto meno si trovarono ad operare in Stati assolutistici e tirannici, bensì compiute democrazie rappresentative, riversarono forze, energie e risorse intellettuali nella sfera politica ed in quello culturale come creazione e diffusione di cultura, lasciando che gli strumenti della “creazione di ricchezza” rimanessero nella mani dei capitalisti. Capitalisti che, per definizione, puntano e pensano solo alla creazione di capitale, prevalentemente per sé stessi, solo per sé, fregandosene di eventuali regole che non siano a loro esclusivo e totale vantaggio. Quando il Capitale ha dialogato con la Politica lo ha fatto per corromperla a proprio vantaggio, con il Partito Socialista craxiano fulgido esempio di tale manifestazione.

Esiste un capitalismo responsabile? Un capitalismo illuminato? No, solo Adriano Olivetti e chi a lui ha guardato, ha potuto ipotizzare e realizzare il concetto che il profitto aziendale debba essere reinvestito a beneficio della comunità. Le multinazionali, il privato imprenditore ed altri elementi del genere non lo hanno fatto, non lo fanno e mai lo faranno.
La Sinistra, la Politica sociale in generale sta sempre più perdendo il confronto. Avendo creduto nel primato della Politica sull'Economia, illudendosi che la prima potesse disgiungersi dalla seconda, lasciata totalmente in mano al Capitale, ha favorito la vittoria di quest'ultimo. Il Capitalismo, l'economia che esso incarna, aberrazione stessa del più sano concetto di Economia quale sistema di interazioni per soddisfare i bisogni individuali e collettivi, nel rispetto degli elementi che tale sistema vanno a comporre, è nemico della collettività.
La Politica ora dovrebbe riguadagnare terreno, nell'ottica di reale interazione con l'Economia, non per annullarne il primato, poiché in un sistema globalizzato tale prospettiva è irrealizzabile, ma bensì per contenerne e indirizzarne le energie e le inevitabili derive.
A livello di singoli stati ciò è difficile, ma in un'ottica di politica europea è francamente non solo auspicabile, ma imprescindibile, giacché Marx stesso ebbe a scrivere che “tutta la storia dell'industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia a un livello di profonda degradazione”.


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