martedì 20 agosto 2013

Eva dorme... ed io non mi sento tanto bene


Tempo fa ho letto “Eva dorme”, di Francesca Melandri, edizione Oscar Mondadori.

È, di fatto, un romanzo sull’Alto Adige. Con il “pretesto” di raccontare una commovente e coinvolgente storia d’amore, si passano in rassegna le tormentate vicende dell’Alto Adige, dalla Prima Guerra Mondiale fino agli anni settanta.

Francesca Melandri, con quest’opera, ha scritto un libro composto da due libri in uno: uno è una storia d’amore e sentimenti familiari che riguardano la protagonista, Gerda, e la sua bambina Eva. L’altro è una accurata e avvincente ricostruzione delle vicende che hanno riguardato l’integrazione dell’Alto Adige in Italia, e che fanno da sfondo alla storia di Gerda, con la figura di Silvius Maniago sopra tutte.

Le parti migliori del romanzo sono quelle propriamente di “ricostruzione” della storia di questa terra, poiché l’autrice, mettendo a frutto la sua lunga esperienza come sceneggiatrice televisiva e la sua biografia, ci propone capitoli interi talmente accattivanti e ben presentati da far vivere al lettore episodi storici e momenti di “vita vera”. Il racconto in queste parti è un libro di storia, un romanzo e un’inchiesta giornalistica, insieme, che non stanca e tiene incollato il lettore alle pagine.


Di contro, la parte “contemporanea” del romanzo è meno accattivante, un po’ stereotipata e a tratti stucchevole. Il lungo viaggio che la protagonista Eva, ormai adulta, compie dall’Alto Adige alla Calabria, pur presentando alcune interessanti riflessioni e spunti di interesse, soffre proprio della figura di Eva stessa.

Io mi chiedo perché mai, all’interno di un romanzo comunque gradevole e degno di nota, non banale e anzi stimolante, debba per forza essere presente una figura femminile come quella di Eva.

Eva, divenuta donna, è una libera professionista, che si “guadagna il pane” organizzando feste e ricevimenti, buffet ed eventi per ricchi, ditte, aziende e altri soggetti la cui esistenza è a dir poco a me fastidiosa. È insomma una versione nobile di un misto fra una PR ed una Event Planner, così presa da soddisfare i desideri ed i capricci di gente che, nel migliore dei casi, non sa cosa vuole ma solo ciò che non vuole, non si intende di nulla ma pretende di essere considerata “sofisticata” ed “esperta intenditrice” di qualcosa (vino, cibo, dessert, superalcolici, arte, filatelia, numismatica o chissà che diavolo altro vada per la maggiore in un certo momento).

Eva non è sposata, non desidera legami, è indipendente (qualunque cosa voglia dire), ha un amante da diverso tempo, ovvero un uomo sposato che la raggiunge in ogni dove, in base ai loro impegni e a come riesce a “liberarsi” del suo matrimonio. Viaggi intercontinentali, alberghi e residenze di lusso sono l’habitat “naturale” di Eva, le cui “preoccupazioni” maggiori sono smaltire il jet lag, affrontare nuovi corteggiatori, soddisfare i capricci ed i desideri dei danarosi clienti, spendere le esorbitanti cifre che le vengono corrisposte per il suo lavoro (sempre “naturalmente” eseguito con grande soddisfazione sua e dei committenti) ed incontrare l’amante.

Eva è “ovviamente” bellissima, alta, con un fisico da modella, colta, sempre ben vestita e truccata, con gusto e secondo la moda “alta” del momento.


Ma perché in molti romanzi e sceneggiature proposteci negli ultimi anni, le figure femminili protagoniste devono essere così stereotipate? Perché devono essere così “scontate”e “prevedibili”, al limite dell’omologazione e della pedissequa riproposizione? Mi risulta fastidioso e irritante ritrovarmi di fronte una figura come questa, talmente simile a decine di altre, da rischiare, seriamente, di perdere qualsiasi connotazione e ruolo. Una figura come questa, come quella di Eva, simpatica neanche quando dorme (come recita il titolo), mi rende sgradevole la lettura e la trovo anche un po’ offensiva nei confronti di molte donne, vere, che risultano interessanti e stimolanti anche senza assomigliare per nulla a questa artefatta figura femminile, “libera”, ovviamente realizzata, soddisfatta di sé e fintamente in grado di bastare a se stessa (definizione cara a molte giovani donne!).

Allora a questo punto autori e sceneggiatori farebbero meglio a faticare di meno, impegnarsi poco nella creazione e presentazione di nuovi personaggi e caratteri, poiché basterebbe, semplicemente, prendere una qualsiasi protagonista di “Sex and the City” (sono ben quattro!) e posizionarla nel proprio romanzo o sceneggiatura, anche senza cambiarle nome, così l’effetto “riconoscibilità” sarebbe più facilmente perseguibile!


Ho incontrato molte figure femminili nei romanzi che ho letto, positive o negative, esempi di virtù o di dissolutezza e vizio, donne semplici oppure eroine fuori dal comune, capaci di andare oltre le proprie personali vicende per impersonare un ideale oppure esempio di vita “ordinaria” e perciò vicine a chi legge, indipendentemente da epoche e mode. Quando chi scrive intercetta “l’umano” che c’è in ognuno di noi, riesce a rappresentare pulsioni e sentimenti, emozioni e psiche di chi, quotidianamente, vive e soffre, gioisce e ama, ci parla e si avvicina a noi e noi ai loro personaggi, anche se le parole sulla carta sono state pensate ed ordinate decine o centinaia di anni prima.

Pertanto questo romanzo è occasione, per me, di esprimere, oltre ad un evidente fastidio, anche il dispiacere di assistere ad una omologazione di caratteri e personaggi, femminili in questo caso (ma anche la figura dell’amante è abbastanza avvilente), che, a mio parere, risultano, dopo un po’, poco interessanti e noiose e che rischiano di perdere sapore e appeal, contrariamente alle intenzioni degli autori. Mai come in questo caso diverrebbe segno di originalità “inventare” e proporre un personaggio femminile il più lontano possibile da certi caratteri e schemi, perciò originale e capace di “sorprendere” il lettore.

Un lettore, e spettatore televisivo, come me, ne ha le scatole piene di “Samantha, Carrie, Miranda e Charlotte” (giusto per fare un esempio), personaggi che hanno avuto una loro dimensione, originalità e motivazione a metà degli anni 90, ma che ormai hanno fatto il loro tempo e che, sappiatelo, hanno comunque avuto una loro evoluzione nel corso degli anni e delle “stagioni” proposte. Certi caratteri sono ormai la caricatura di se stessi, talmente stucchevoli e deprimenti da rovinare anche il buono che ci potrebbe essere in un romanzo od una sceneggiatura. Ormai che anche ministri della Repubblica hanno uno spessore ed una rettitudine etica e morale da personaggi di serie televisive di dubbio valore, presentare personaggi femminili come quello di Eva allontana lettori e ne offende le capacità critiche e di analisi. Abbiamo bisogno non tanto di “spessore” o “impegno”, come si diceva un tempo, bensì di qualcosa che ci stimoli e ci faccia piacere incontrare e ricordare con un pizzico di nostalgia e di gusto, che ci renda anche orgogliosi di aver fatto incrociare il nostro cammino con figure di donne che ci soddisfino e ci accompagnino nei nostri giorni.


Io avverto dolore e fastidio quasi fisico quando incontro colleghe e altre donne che invece sembrano l’ennesima brutta copia di personaggi come Eva. Non posso fare a meno di chiedermi se sia la letteratura a rappresentare una realtà ed una condizione, oppure ormai la “barbarie” e lo scadimento etico e morale sia talmente radicato che le serie televisive e prodotti analoghi hanno “gioco facile” ad influenzare usi e costumi e a “dettare la linea” nelle nostre misere vite. Cosa è accaduto fino ad ora? Ci sono possibilità di invertire la rotta? Il timore è che anche chi ricopre posizioni tali da poter intervenire sia ormai nella melma ed anzi abbia contribuito a crearla, pensando di trarne vantaggio (e saremmo di fronte a individui con almeno un po’ di spessore), oppure semplicemente ritenendo che la realtà migliore sia questa, con gli opportuni spazi per esibizionismi e meschinità da happy hour.




2 commenti:

  1. Hai letto Margherita Oggero, La collega tatuata? Avrai comunque visto i telefilm che ne hanno tratto. protagonista inconsueta e dotata di testa prima che di Manolo Blahnik.
    Mi piacciono i romanzi americani perché spesso trovo questo, caratteri femminili (e anche maschili) interessanti e vividi, vivaci e non convenzionali. :-)

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  2. Ciao! grazie per il consiglio! ;-) Autrice inserita in lista acquisti.

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