Principalmente
due sono gli elementi che mi amareggiano riguardo buona parte dei
cartoni animati trasmessi attualmente in televisione e che
anche i miei figli guardano.
In molte
serie animate proposte manca pressoché totalmente la narrazione,
lo storytelling che un importante ruolo invece rivestiva all'interno
di vecchie produzioni. Un tempo si seguivano le peripezie, le
avventure, le scoperte, le gioie ed i dolori di uno o più
protagonisti, fossero animali antropomorfi, giovani uomini, bambini,
coraggiosi e volitivi orfani, fanciulle vicine all'adolescenza o
all'età adulta, con forti componenti realistiche, storiche o
elementi naturalistici, magici/fantasiosi o di altro genere. Così ci
si appassionava a Candy Candy, Remì, Gigi la trottola
o alle varie eroine a cui venivano affidati specifici poteri, a
termine come Creamy/Yu o senza scadenza come nel caso di Sandy ed
altre ancora. Persino i cartoni animati con i “robottoni”
(mecha per i più pignoli) avevano una loro trama,
a volte lunga, con evoluzione dello scontro fra “Bene” e “Male”,
ovvero fra Terra ed invasori alieni, nonché del giovane
protagonista. All'interno di ogni genere, poi, c'erano maturazioni
delle trame, sviluppo della complessità delle vicende, come, ad
esempio nell'ultimo filone citato, il salto di profondità e qualità
interpretativa e di analisi fra Mazinga Z e Gundam.
Ora,
invece, parecchie produzioni offrono decine di
episodi autoconclusivi, del tutto od in gran
parte slegati l'uno dall'altro, senza un legame fra di loro, in modo
da essere sempre facilmente fruibili, senza la necessità di dover
seguire quotidianamente lo sviluppo di una trama, di cui si
rischierebbe di perdere il filo. Personaggi che hanno poteri e risorse senza che si sappia come ne siano venuti in possesso, bambini o giovani adulti che ricoprono ruoli e posizioni di cui lo spettatore non conosce le caratteristiche o come ci siano arrivati (Peter Parker/Spider Man vs Superpigiamini, tanto per fare un esempio).
Un certo
ruolo lo riveste anche l'attuale modalità di “utilizzo” e la
visione di certe serie animate. In sintesi:
quando ero bambino e con me lo erano tanti altri che ora sono
genitori, si vedeva un episodio al giorno delle proprie serie
preferite all'interno di specifici contenitori televisivi previsti
nell'ambito della programmazione quotidiana su canali generalisti. Per cui si impiegava
tempo per arrivare alla “fine” della storia, anche diversi mesi
nel caso delle serie più lunghe come “Peline
Story”, “Rocky
Joe” o “Lady
Oscar” (ma gli
esempi potrebbero essere tanti e vari). Nella Storia che iniziava con l'episodio 1 e finiva con l'episodio XX,
aveva imprescindibile ruolo una trama sviluppata con impegno e
lodevole capacità, composta di avvenimenti anche cruciali,
personaggi vari e non sempre fissi che completavano ed arricchivano
l'insieme, fatto di elementi positivi come negativi, sorrisi come
lacrime, in cui a volte tristezze e lutti si alternavano con le
felicità e le gioie dei protagonisti.
Risulta quindi quantomeno
singolare constatare come proprio nell’era storica che sembra
mostrarne il suo abuso da parte di svariate figure con ruoli
politici/religiosi/formativi/informativi ed altro, lo storytelling,
come detto veicolo principale in passato delle storie e cartoni
animati per bambini/ragazzi, abbia abbandonato il genere, riducendolo
così ad una serie di episodi singoli ed autonomi, nei casi peggiori
a striscie animate cadenzate da buchi neri logici e infarcite di
demenzialità ed idiozie, senza nessi logico-narrativi.
Il secondo elemento che mi interessa approfondire un po'
è la mancanza di attenzione alla parte
musicale. Non mi riferisco solo alle sigle,
che un tempo erano “il biglietto da visita” di ogni serie,
ragione per cui le si imparava a memoria, si acquistavano le
musicassette che le raccoglievano (una
per ogni annualità di cartoni animati che andava di pari passo con
l'anno scolastico), ed ancora oggi ci
sono folte schiere di flippati
appassionati che ne compongono compilation e vanno ai concerti di
alcuni dei nomi “storici” delle sigle, come I Cavalieri del Re o
Cristina D'Avena, punte di diamante o quasi di una vasta serie di
voci più o meno “prestate” agli anime ed ai cartoni animati. A
parte le sigle, ogni cartone “di una volta”, diciamo fin dalle
prime produzioni anni 30 per giungere agli anime giapponesi anni
70/80/90, dedicavano grande attenzione alle musiche, fossero
originali o prese a prestito da autori classici, jazz, swing e altro
ancora.
Ricordo Bugs Bunny che
tenta di suonare la “Rapsodia Ungherese n.2”
di Franz Liszt mentre un beffardo topolino lo
disturba, oppure l'intera banda Disney
che suona parti del Gugliemo Tell rossiniano
con Topolino direttore d'orchestra. Oppure le musiche degli episodi
di “Tom and Jerry”, così come quelle di Will Coyote, Speedy
Gonzales, Duffy Duck, Porky Pig, Gatto Silvestro, che probabilmente
hanno riscosso e tuttora potrebbero riscuotere successo grazie alle
note e composizioni eseguite, a volte lampi di suono, oppure melodie
semplici o composite, serie armoniche o file di note impazzite.
Pensate: ad ogni movimento di Bugs Bunny o
Will Coyote viene associato un particolare suono, che spesso
proveniva da uno degli elementi di un’orchestra sinfonica.
Ogni particolare era studiato e scelto con cura, con tutti i generi,
dal jazz alla classica considerati utili, efficaci ed essenziali alla
realizzazione dei cartoni animati, dalla sua parte grafico-animativa
a quella sonora.
Mi piace
pensare che in questo modo i bambini facessero la conoscenza della
Musica. Fosse classica, pop, sinfonica, da
camera, operistica, jazz, swing o altro, le immagini veicolavano il
sonoro e da questo traevano ulteriore forza e vitalità. Anche
gli anime facevano la loro parte. C'erano motivi musicali ricorrenti
che sottolineavano i passaggi fondamentali delle storie, alcuni
momenti importanti o i personaggi principali, con temi appositamente
composti. Faccio l'esempio della serie “Heidi”,
le cui “musiche di sottofondo”
erano molto importanti, fondamentali quanto la sigla cantata da
Elisabetta Viviani. Polke, walzer, piccole
romanze o brani pop-sint che creavano l'atmosfera dei monti,
evidenziavano le emozioni della piccola protagonista e dei suoi
amici, introducevano ogni episodio o fungevano da commiato.
Da qualche anno è possibile ascoltarle pressoché tutte su specifici
canali youtube.
Molti
cartoni animati che guardo insieme ai miei figli non hanno questo
elemento, alcuni neanche una sigla decente o degna della funzione che
dovrebbe svolgere. Ritorna ovviamente l'elemento della tipologia di
trasmissione, offerta e fruizione, che ora rende possibile vedere
anche cinque o sei episodi uno dopo l'altro. Questo se ci si limita
alla televisione, se poi ci si sposta sulle piattaforme in streaming
il numero si alza notevolmente. La sigla non ha più senso, anzi
sarebbe una noia risentirla più volte ogni pochi minuti (questo
anche perché la durata dei singoli episodi è diminuita rispetto ad
un tempo, facilitando la visione a ruota libera anche di un'intera
serie o “stagione” della stessa).
A ciò si aggiunge una certa noncuranza delle musiche di sottofondo o
di accompagnamento, con suoni che si limitano, quando va bene, ad
essere onomatopeici, oppure sono assenti o semplice rumore, che nulla
aggiunge ai dialoghi o al visivo. L'eclissi
del sonoro, assente o semplicemente inutile od insulso in molte
serie. Che peccato!
Ma
forse c'è ancora speranza:
fra ciò che guardo in TV, in alternativa a quanto posso scegliere io
da vedere con i miei bimbi, vi è un'eccezione!
“Masha
e Orso” è un piccolo
capolavoro, che alla alta qualità dei disegni, degli sfondi, del
rapporto “verticale” fra i due protagonisti aggiunge una grande
attenzione alla musica, al sonoro ed al suo ruolo all'interno della
macrotrama e dei singoli episodi.
Si va dalle citazioni
delle colonne sonore cinematografiche ai capolavori del repertorio
sinfonico. Dalle suggestioni gioiosamente western ai brani tipici dei
film sportivi, dall'“Also
sprach Zarathustra”
di Richard Strauss che immediatamente riporta all'immaginario
kubrickiano de “2001” al ritmo della “Rapsodia
ungherese”
di Brahms, passando con medesima arte ed efficacia attraverso
Beethoven e Scott Joplin, senza dimenticare la dance ed il pop più
evocativo e divertente. In “Masha e Orso” non mancano le
composizioni
originali,
che hanno lo stesso valore dei classici, che sarebbe bello i miei
bambini imparassero ad ascoltare anche con l'aiuto di un orso delle
foreste russe e della piccola bambina che lo tormenta. Quantomeno
perché così, magari, riterrebbero il loro babbo meno noioso quando
in auto o nel fine settimana inserisce nel lettore un cd di Mozart o
Chopin, di Chet Baker o Bill Evans.
In
fondo la musica di un cartone animato può aiutare molto, veicola in
modo semplice e divertente il senso ed il gusto di brani musicali,
che divengono a volte più importanti del resto, a maggior ragione se
il cartone in questione non ha pressoché per niente dialoghi. Un
po' come poteva accadere in alcuni film muti, in “Masha e Orso”
il formato è quello, ovvero poco dialogo e tanto spazio ai suoni ed
alla musica.
Il contrario di tanti cartoni suoi coevi, che hanno così tanto
dialogo e parlato, a volte stupido, inutile e superfluo, che la
musica non significa più molto e viene essa stessa svilita ed
impoverita delle sue caratteristiche.
La
speranza è che una parte dei nostri bambini riesca, come è successo
a molti di noi, a crescere con la musica classica e con la buona
musica in generale senza quasi accorgersene. Un effetto educativo con
risvolti parainconsci, come succedeva con brani del "Barbiere di Siviglia",
con il “Bolero” di Ravel,
Gershwin della “Rapsodia in Blu”, la serenata notturna di Glenn
Miller
o le suggestioni dateci da Chopin, Čajkovskij, dalla voce di Ella Fitzgerald o di Mina.
Brani
che erano inseriti nella programmazione quotidiana ed in molti
cartoni animati o come sigle di trasmissioni radiotelevisive.
Gli
uni come gli altri ci rendevano familiari brani e canzoni,
probabilmente non ne conoscevamo autori ed interpreti, ma li avremmo
imparati successivamente. Ciò
vale per la musica classica come per altri “classici”, da Frank
Sinatra a Elvis Presley, passando per Louis Armstrong.
Senza parole. Finalmente qualcuno si è ritagliato un po’ di tempo per contestualizzare in modo esaustivo e profondo uno dei veri problemi relativi all’odierna tv per bambini e adolescenti.
RispondiEliminaGiusta riflessione sul pericolo insito nel rendere tutto più semplice. Troppo semplice.
È un pericoloso degrado ai danni dei giovani che costringe a minimizzare sempre più le capacità cognitive. Ebbravo Adribrando!
Grazie "Anonimo"! I cartoni animati sono una cosa seria! ;-) Il tema mi appassiona e mi stimola molto. Comunque la tendenza a "semplificare" le serie animate è presente da molto tempo, anche se in modo diverso e ugualmente colpevole. Sai come? Lo si faceva "post", ovvero spesso l'allora Fininvest acquistava serie giapponesi e le modificava nelle traduzioni e opera tagli censori per fare in modo che anche quelle per adolescenti divenissero adatte per i bambini, considerati incapaci di comprendere dinamiche e situazioni. Esempi? la storica "Lady Oscar", nell'originale nessuno sapeva che fosse una donna, da qui il tema dell'omosessualità presunta o reale e le ambiguità tipiche di una situazione. Su Canale 5 o Italia 1 tutto stravolto, comunque cartone bellissimo. Fra i più recenti "Piccoli problemi di cuore", dove nell'edizione italiana si perdono tematiche come la sessualità, l'incesto, la gravidanza indesiderata e così via. Un saluto affettuoso.
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